Relatos Salvajes

cover_relatos_salvajes.jpgGustavo Santaolalla/AA.VV.
Storie pazzesche (Relatos Salvajes, 2014)
Quartet Records QR182
11 brani (7 di commento + 4 canzoni) – durata: 35’80”



Tra Tarantino, Almodovar (che lo produce) e la commedia volgare americana degli ultimi anni, un po’ pulp, un po’ demenziale, a tratti kitch, le storie selvagge (dal titolo originale) divise in sei episodi di Storie pazzesche diretto dall’argentino Dariàn Szifron con il bravissimo Ricardo Darìn (Il segreto dei suoi occhi) hanno nella colonna sonora un punto disturbante, contrappuntistico e straniante con quelle incursioni canzonettistiche pop che ad un ascolto distratto risulterebbe stancante.
Andando, invece, in profondità e gustando la vera essenza episodica del film sull’aggressività animalesca dei personaggi di una società basata sulla prevaricazione e sulla disuguaglianza economica, allora si capisce il lavoro in sottrazione e atonale, dissonante che il due volte premio Oscar Gustavo Santaolalla (I segreti di Brokeback Mountain, Babel) ha realizzato, supportato da un pugno di canzoni che contrastano dolcemente e morbidamente il suo taglio sonoro infastidente. Gli unici momenti in cui il compositore argentino rilassa l’ascoltatore, facendogli percepire un leitmotiv, sono relegati ai titoli di testa “Relatos Salvajes” con un tappeto di violini in cui una chitarra elettrica e un basso elettrico su ritmiche affievolite ed etniche, coadiuvati da tastiere quasi ad imitare un organo elettrico, enunciano il tema portante tex-mex che richiama le atmosfere della OST de I diari della motocicletta, poi “Babel Short and Dialog” di matrice balcanica con estratti di dialogo del film e “Bombita” con un tema per archi, percussioni e tastiere in cui esplode in tutta la sua carica emotiva e direi eroica tra passaggi in crescendo e attimi di quiete apparente. Altrimenti Santaolalla traccia percorsi angosciosi dalle coloriture orchestrali e sintetiche oscure, come nel lungo (6’33”) “La propuesta”, pura “scary music” di attesa, nel luogo in cui, verso il finire del pezzo, i violini abbozzano un temino desolante su ritmiche metalliche cardiache, “Pasternak” costruito su attacchi di archi tetri e sottilmente dolorosi, tra una dissonanza e l’altra su effetti sintetici deprimenti (il tema principale cerca di affiorare qui e la ma viene soffocato), “Las ratas” sembrerebbe addolcire la vicenda ma in realtà sottintende tutta la follia ferina del protagonista dell’episodio, come anche “El màs fuerte” atonalmente lacerante, gracchiante e spigoloso. Insomma il compositore di On the Road e I segreti di Osage County gioca con il rumore a creare un logorio sonoro continuo e perturbante che difficilmente porta ad un secondo ascolto. Le quattro canzoni alleggeriscono il tutto e spaziano dal noto “Love Theme from Flashdance” del premio Oscar Giorgio Moroder alla cover pop settantina all black di “Fly Me to the Moon (In Other Words)” ad opera di Bobby Womack all’elegia celestiale femminile di Lucien Belmond di “Aire Libre” per chiudere con David Guetta e la sua disco-dance “Titanium”.      

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