Tourist Trap

cover_tourist_trap.jpgPino Donaggio
Horror Puppet (Tourist Trap, 1979)
Full Moon/Wizard Entertainment WE 00842
25 brani – Durata: 41’00”



«Un gruppo di ragazzi cade nell’agguato di un folle. Il film si distingue per l'atmosfera malata e a tratti magica, dovuta in gran parte alla colonna sonora di Pino Donaggio».
Fine della citazione. A dirlo è Wikipedia, nella voce dedicata al film diretto nel ’79 dal regista indipendente americano David Schmoeller. La non scontata sottolineatura dell’elemento musicale accende i riflettori su una partitura appartenente alla fase iniziale del maestro veneziano, ed in particolar modo afferente a quella fetta di produzione indipendente di genere (thriller-horror prevalentemente) nella quale Donaggio perfezionò in assoluta libertà creativa e indipendenza, produttiva e culturale, il proprio statuto di compositore cinematografico.
Su questo fronte, la collaborazione con Schmoeller, proseguita poi con Crawlspace (Striscia ragazza striscia) e Catacombs la prigione del diavolo, si rivelò particolarmente preziosa perché offri al musicista l’occasione di sperimentare soluzioni, tecniche, espedienti e diciamo pure trucchi del mestiere destinati a confluire nella formazione del suo personalissimo stile. Ecco perché, un anno dopo la riedizione Intrada di Crawlspace (Catacombs uscì una decina d’anni fa per la Digitmovies), questa nuova edizione di Horror Puppet va salutata con soddisfazione visto che a distanza di decenni ci rioffre una delle partiture più immediate, efficaci e suggestive forse dell’intera carriera di Donaggio.
“Horror”, recita il titolo italiano; ed in effetti il film si situa in quel filone “survival”, all’epoca e successivamente fiorentissimo, che vede il consueto gruppo di ragazzi sprovveduti e sfortunati cadere in balìa di uno o più maniaci assetati di sangue; nella fattispecie, un folle che gestisce una sorta di museo popolato da sinistri manichini. L’atmosfera morbosa, minacciosa è declinata grottescamente sin dall’incipit dei Main title, con i guizzi dissonanti di un clarinetto sull’effetto percussivo delle raganelle, quasi a suggerire immediatamente un’andatura marionettistica, non-umana, alla vicenda. Le dissonanze di attesa degli archi, sul rullo di timpani, di “The black room” insinuano ulteriore angoscia nel climax, dimostrando anche come la scrittura orchestrale di Donaggio (perfettamente restituita dalla direzione del fedele Natale Massara) sia l’elemento centrale  per la costruzione delle sue atmosfere. Da notare anche il ruolo, molto “d’epoca” e altrettanto inquietante, della spinetta come sostegno timbrico: ma “The pool” ci sorprende con interventi solistici del violoncello, dell’organo, del vibrafono, a formare un impasto sonoro bizzarramente anomalo. La chiave di volta dello score è però l’idea di utilizzare dei vocalizzi femminili sussurranti, quasi gementi,  vicinissimi ai microfoni e senza eco: ve n’è un primo assaggio in “Love theme/Shrine” e l’effetto, nella sua elementarietà concettuale, è semplicemente agghiacciante. La formazione classico-barocca di Donaggio è l’altro fattore costante del suo percorso, soprattutto nei primi anni, così come quella melodico-cantautoriale; ve n’è uno scampolo nella dolcezza cantabile e avviluppante del Love theme, così come nell’imperioso, insistito disegno e poi nel dispiego dei violini. Ma è in “Davey’s waltz” che si affaccia una seconda idea forte: un ¾ sghembo e ostinato, atonale e fondato sull’arpeggio continuo dei violini, ai quali si allinea ben presto il terrificante, “ominous” direbbero gli anglosassoni (qualcosa come maligno, insinuante, velenoso), coretto femminile. Dopo l’ossessiva, ipnotizzante riproposizione del tema, cantilenante e torvo, di Davey in “Wife” e “Visit ad Davey’s house”, le voci femminili diventano protagoniste in un ansimante cicaleccio da brividi sia in “Mannequins” che “Mannequins come forth”, precedendo la pura suspence music di “Hearthburst”, su progressioni degli archi ed evoluzioni acute del clarinetto; ma le pause di stasi emotiva si alternano agli accumuli di tensioni, in una successione continua, da “The fight/Revelation” a “In the water”, passando per glissandi degli archi e liquide fioriture dell’arpa (”Dreamwake”); se “Stalking” ripopone il disegno di fuga a una voce dei violini, “Mannequins on guard” perfeziona contrappuntisticamente il gioco delle voci femminili, calibrandone le provenienze, per insistere poi ossessivamente sulle triadi accelerate dei violini; “Love theme/Confession” è l’esposizione più pacata e lirica del tema d’amore, ancora nel contrappunto dei violini con viole e celli, lungo una linea melodica tra le più felici del compositore. Ma intervengono i tremoli furiosi e l’intervento violento del pianoforte di “’Jerry’ to the rescue”  a spezzare l’oasi di serenità, peraltro subito ripresa; “Dance/Going home” unisce insieme la musica dei Main title, con lo staccato del clarinetto, le voci aliene e il valzer di Davey, per offrirci poi una versione più mossa e disinvolta del love theme e sprofondare infine in una serie di bruschi, dissonanti fraseggi degli archi, preparatori di una versione da incubo del “Davey’s waltz”, accompagnata da uno scampanìo funebre.
Al love theme infine il compito, sugli “End title” di concludere la partitura all’insegna della rasserenante componente melodica che tuttavia abbiamo visto essere solo una delle componenti di questo preziosissimo lavoro del primo Donaggio: eppure già comprovante la sua piena maturità e soprattutto la totale consapevolezza e padronanza di quegli arnesi del mestiere e di quella fantasiosa creatività che ne avrebbe di lì a ben presto fatto un compositore di riferimento per tutti quei registi interessati ad avere, nel contributo musicale, un “personaggio in più” del racconto filmico.

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