Spotlight

cover spotlightHoward Shore
Il caso Spotlight (Spotlight, 2015)
Howe Records HWR-1021
18 brani – Durata: 33’25”

Howard Shore è un compositore cui la coerenza stilistica e la forte personalità non hanno mai impedito un’estrema varietà di toni, atmosfere, ambienti, mezzi espressivi. In lui coabitano suggestioni e ispirazioni diverse, che gli consentono di collaborare con i più svariati registi e progetti senza smarrire la propria identità ma dimostrando ogni volta di sapersi innovare aderendo alle situazioni e ai contesti più complessi.

Noi lo conosciamo soprattutto come co-autore musicale dell’universo dark e morboso di David Cronenberg, o per le tonalità epiche dei cicli tolkieniani di Peter Jackson, o per il fantasismo multicolore delle partiture per Martin Scorsese. Ma c’è un altro Shore, apparentemente più dimesso e appartato, che rifugge dalle sonorità squillanti e predilige i colori sottilmente psicologici, le sfumature emotive, gli scenari metropolitani, le drammaturgie interiori o sociali, a volte concedendosi persino alla commedia purché dietro il sorriso si celi un’ombra di malinconica riflessione (si pensi a Big o Mrs. Doubtfire). Ed è con questo spirito che ora il maestro canadese torna su un tema, quello della pedofilia nella Chiesa, che aveva già affrontato in Il dubbio (2008, di John P.Stanley, con Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman), anche se in una chiave più psicologicamente diretta, conflittuale e drammatica.
Stavolta il modello del film di Tom McCarthy è invece il film-inchiesta di denuncia giornalistica alla Tutti gli uomini del Presidente, dove al posto del Washington Post c’è il Boston Globe e in quello di Robert Redford e Dustin Hoffman ci sono Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Michael Keaton nei panni di giornalisti decisi a svelare le complicità e le connivenze della curia americana nei casi dei preti pedofili. Tema scottante, ma svolgimento tutt’altro che scandalistico o comiziale, che predilige appunto la cronaca dei fatti ad una facile e transitoria indignazione di superficie. Ed è un atteggiamento che Shore sembra aver fatto proprio con una partitura tutta sottovoce, quasi occultata, assolutamente antiretorica, che conferisce al racconto una paradossale, quotidiana “normalità”.
L’organico della breve partitura è ridotto, come altre volte in Shore, proprio in funzione di questa semplificazione espressiva: un pianoforte in costante primo piano, arpa, chitarra, tastiere, poca elettronica. Subito (“Spotlight”) ecco un tema pianistico fluido e conversevole, ma intriso di colloquiale mestizia; impronta accentuata in “Deference and complicity” attraverso un politonalismo avvolgente che in “Investigative journalism” cede il passo ad un ritmo più mosso e al suono metallico, artificiale dei synth, che comunicano bene l’efficienza e la determinazione dei protagonisti, non compromesse da coinvolgimenti emotivi. In “Legacy” tornano pianoforte e chitarre in forma di una ballata scorrevole ma sempre con una punta di allarme sottotraccia, anche se il ritmo si mantiene sostenuto e le idee melodiche caratterizzate da una semplicità volutamente orecchiabile, quasi “televisiva” (“The directories”), nella quale il leit-motiv di apertura non stenta a farsi riconoscere. Più complicato “Keep silent”, dalle sonorità dichiaratamente ”groove” e intricate, così come “Summer investigation”, ovvero il massimo di dinamismo che in questo score Shore sembra disposto a concedere all’azione. Ben diverso, pur nella sua brevità, il momento di meditazione per solo piano di “The children”, un frammento di puro neoclassicismo quasi bachiano; il moto incessante dell’arpa e la severa melodia del piano di “Pressure of the church” annunciano però un incupirsi dei toni, che tuttavia il musicista affronta se possibile rarefacendo ancor più l’economia linguistica della partitura, che a volte sembra volersi limitare ad un puro accompagnamento di chitarre (“The sealed documents”) disturbato dal tremolo di qualche strumento ad arco isolato. Ancora un pianoforte meditabondo si aggira incerto, sostenuto da arpa e pochi archi suonati sul ponticello, in “The Globe newsroom”, preparando una lenta variazione della melodia principale per arpa e piano in “Courthouse”; a sorpresa ecco spuntare un cenno iniziale del corno solo (sinora di strumenti a fiato non v’era traccia) in “Practice and policy”, ripreso poi più energicamente e assertivamente. Shore calibra la timbrica centellinandone il potenziale evocativo, come dimostra la riconoscibile ma distante presenza dell’organo in “City on the hill”, quasi a ricordarci che comunque di Chiesa e di suoi adepti stiamo parlando. “Pain and anguish” è poi pagina di una desolazione tipicamente shoreiana, pur nella sua sinteticità, così come l’allucinato “Night Mass”, con effetti corali e distorsioni placate con difficoltà dall’onnipresenza rassicurante del pianoforte. Lungi dal concedersi ad un trionfalismo fuori luogo, “Delivering the news” mobilita un violino in un rapidissimo, virtuosistico disegno di arpeggio raddoppiato dall’arpa a sostenere i severi accordi del piano nella sua riesposizione del principale, scabro materiale tematico. E infine di nuovo il liquido fluire dell’arpa affianca il pianoforte e il moto perpetuo del violino in “The story breaks” in una ricapitolazione che non si discosta dall’intimo, pudico ritegno che ha caratterizzato tutta la partitura, quasi un’elegia per una ricerca della verità che mai come in questo caso è sostenuta da un’urgenza e una necessità squisitamente etiche.

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