Odia il prossimo tuo

cover_odia_il_prossimo_tuo.jpgRobby Poitevin
Odia il prossimo tuo (1968)
GDM Music 2077
22 brani (20 di commento + 2 canzoni) - durata: 50' 53"



Per musicare i western da lui diretti, Ferdinando Baldi ha sempre chiamato artisti che hanno assolto il loro compito in modo tale da lasciare un segno: Anton Garcia Abril per Texas, addio (1966), una tra le migliori colonne sonore del genere, Stelvio Cipriani per Blindman (1971), Carlo Savina per Comin’ at ya! (1981).

Odia il prossimo tuo, western convenzionale e dallo stesso regista considerato poco riuscito, si avvale parimenti di un commento tutt’altro che scontato e confezionato con buona maestria da un compositore che sta oggi vivendo una fase di piena rivalutazione grazie soprattutto al contributo della GDM Music, promotrice delle recenti pubblicazioni di molti dei suoi lavori per il cinema e, in particolare, di tutti quelli dedicati al western all’italiana: Robby Poitevin.
Lo score, mai edito in precedenza neppure in edizioni antologiche, ha un andamento circolare: inizia e finisce con una performance canora di Raul (tracce 1 e 22) impegnato in un testo sull’amicizia (altrove la canzone è infatti indicata col titolo “Two friends”). Il tema principale, malinconico e dal sapore vagamente balcanico, non è altro che una versione strumentale del brano cantato, ma la sua particolarità è che viene spesso eseguito dalla fisarmonica, strumento raramente usato nel western (tracce 2, 6, 12, 18, 20). La continua reiterazione di questa melodia struggente, in alcuni passaggi affidata anche al flauto, crea uno strano contrasto con le scene di violenza e di sadismo presenti in dosi massicce nel film.
In altri casi l’esposizione del medesimo tema è affidata alla tromba, come nelle tracce 13, 14, 17 e 18, e qui rientriamo invece nella dimensione del western all’italiana più riconoscibile; lo stesso dicasi per la traccia 21, dove, dopo un’introduzione per tromba in puro stile deguello, ci imbattiamo in una forsennata cavalcata guidata dall’orchestra d’archi. Altri aspetti interessanti sono l’uso insistito del basso elettrico nelle sequenze drammatiche (tra le altre si faccia attenzione alle tracce 5, 10, 11, 19) e l’inserimento di qualche melodia d’impronta etnica (tracce 4 e 15).
Tirando le somme, la OST di Robby Poitevin non è propriamente classificabile come uno spaghetti western classico, ma proprio per questa sua sottile ricerca di soluzioni alternative, merita senza dubbio di essere riscoperta e apprezzata.
Per finire, mi rivolgo a tutti gli appassionati ricordando loro che ci sono ancora buone possibilità di rintracciare una copia del CD senza troppe difficoltà. Cercatelo, dunque, finché siete in tempo!

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