Harry Potter and the Half-Blood Prince

cover_harry_potter_halfblood.jpgNicholas Hooper
Harry Potter e il Principe Mezzosangue (Harry Potter and the Half-Blood Prince, 2009)
New Line Records 79404391522
28 brani – durata: 1 h 2' 53''

La lunga saga dedicata alle avventure del giovane Potter giunge con Il Principe Mezzo-sangue al sesto capitolo; ad occuparsi dello score musicale, di nuovo l'inglese Nicholas Hooper, già autore del precedente L'Ordine della Fenice. Il debutto cinematografico del piccolo mago era stato accompagnato dalla musica forte, passionale, ricchissima di sfumature di John Williams, rimasto al timone fino al Prigioniero di Azkaban; il suo primo sostituto, Patrick Doyle, si è mostrato all'altezza del compito, portando nel mondo magico del Calice di Fuoco la consueta grazia melodica e l'eleganza che da sempre contraddistinguono il suo lavoro.
Le musiche di Hooper, subentrato come si diceva con l'episodio numero cinque, possono contare su una certa sensibilità e su un marcato spirito malinconico che ben si addice agli ultimi film della saga ma, inevitabilmente raffrontate alla grandezza delle colonne sonore di Williams, le sue partiture suonano irrimediabilmente piane, povere di inventiva, poco originali, incapaci di produrre qualcosa di più di un semplice insieme di tracce graziose e rispettose dello svolgersi del racconto. La toccante, sorprendente purezza di brani come “A Windows to the Past” (Azkaban) non è rintracciabile nei lavori di Hooper, così come l'inventiva e la dolcezza nascoste dietro al “Potter Waltz” di Doyle.
Per Il Principe Mezzosangue Hooper si attiene al contenuto narrativo delle scene da commentare, senza particolari guizzi inventivi: spicca per potenza “Journey to the Cave”, bello e teso soprattutto nella seconda parte; notevole anche “Farewell to Aragog”, con le sua atmosfera però fin troppo gonfia di tristezza per un momento non poi così drammatico (la cerimoniosità con cui viene dato l'ultimo saluto al disgustoso ragno Aragog ha nella storia anche connotazioni ironiche, visto che l'unico ad esserne sinceramente addolorato è Hagrid). Buone anche le tracce “In Noctem”, con quei fascinosi cori oscuri, e “Malfoy's Mission”, dallo sviluppo più elaborato anche se forse un po' anonimo nel definire la drammaticità dei momenti più cupi; per il resto lo score si adagia su pezzi gradevoli, mai troppo intrusivi, delicati, ma in sostanza spesso anonimi. Si pensi a “Ginny” che, invece di caratterizzare la personalità peculiare della ragazza, e la sua maturazione emotiva qui giunta alla pienezza, si limita a sottolineature romantiche del fascino che la piccola dei Weasley esercita ora per la prima volta sull'amico Harry. Discutibili, infine, alcune scelte musicali che vedono protagonista un ritorno spesso incongruo di temi già presenti nei film passati, in particolare nell'Ordine. Che ad allietare l'ingresso dello spettatore nei locali dei Wizard Wheezes, il negozio di scherzi magici di Fred e George, sia la melodia dei “Fireworks” che avevano celebrato la loro esplosiva fuga da scuola nel film precedente, è corretto e legittimo; molto meno corretto è riprendere ancora quel tema nei titoli di coda con “Weasley Stomp”, il cui spirito brioso risulta del tutto inadatto alla conclusione tragica di questo sesto capitolo. Ancor meno spiegabile è la presenza del tema del “Dumbledore's Army” (l'organizzazione studentesca segreta messa in piedi da Harry nell'Ordine) sulle immagini dei provini per il Quidditch che vedono Ron impegnato come aspirante portiere. E anche “Ron's Victory”, che avrebbe dovuto essere un brano determinante nel celebrare il ritorno del Quidditch nel Principe, si limite ad essere un incrocio tra “Quidditch, Third Year” di Azkaban (senza però riprodurne la tensione e la potenza) e “The Flight of the Order”, probabilmente come riferimento all'idea di volo. Quasi impercettibile, infine, la presenza del tema di Hedwig che appare velatamente  in “Opening” e torna poi, curiosamente, nel già citato “Ginny”.
Benché non si possa negare che le composizioni di Hooper siano quantomeno piacevoli,  esse,  unitamente ad una regia, curata di David Yates che sembra spesso mancare di immaginazione e di personalità, appaiono inadeguate a trasferire sullo schermo la complessità, la fantasia e il senso di meraviglia che sono invece elementi essenziali delle storie create da J. K. Rowling. Un eventuale ritorno di John Williams per il settimo e ultimo capitolo, I Doni della Morte, nelle sale diviso in due parti, potrebbe donare una degna conclusione musicale ad una saga che al cinema non sempre è stata valorizzata come avrebbe meritato.

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