Cinema Rarities For Violin and String Orchestra

cover morricone cinema raritiesEnnio Morricone
Cinema Rarities For Violin and String Orchestra (2023)
Marco Serino, solo violin and leader
Orchestra di Padova e del Veneto
Arcana A554
17 brani – Durata: 55’40”



<<L’intenzione qui, in una prosecuzione simile e dissimile del primo disco, è stata quella di esplorare composizioni legate al violino dando però priorità a brani non così noti se paragonati a Mission o a La leggenda del pianista sull’oceano e alla fama che questi hanno presso il grande pubblico. L’accento sulla rarità, espresso esplicitamente anche nel titolo di questa raccolta, va di pari passo con l’italianità dei brani selezionati. La scaletta è caratterizzata infatti dalla presenza di tre suites che si legano ad altrettanti registi italiani e a film che, se paragonati a quelli di Leone, non sono riusciti ad arrivare all’estero>>. Le parole del violinista Marco Serino, qui anche in veste di direttore d’orchestra dell’organico dell’Orchestra d’archi di Padova e del Veneto, contenute nel libretto in una meticolosa intervista a cura di Alessandro De Rosa (il biografo ufficiale di Morricone nel libro stranoto “Inseguendo quel suono”), sono illuminanti sulla motivazione di questo secondo album tributante il Maestro Ennio Morricone, dopo quello del gennaio 2022 (leggi recensione) dal titolo “Cinema Suites For Violin and Orchestra”: un CD che è, sì un omaggio al compositore romano premio Oscar con il quale il violinista ha collaborato per diversi anni in concerto e nelle recording session delle sue colonne sonore, ma prima di tutto una onesta, eccellente e accorata riesecuzione su arrangiamenti originali o riadattamenti voluti e in taluni casi trascritti dallo stesso Morricone – non come molti altri album in circolazione che usano il nome del Maestro romano solo per vendere fuffa, tra l’altro con arrangiamenti discutibili o ignobili, quindi diffidate gente, diffidate e cercate di capire se chi esegue è stato veramente un musicista stimato da Ennio, che ha lavorato con Lui –.
Questo secondo album tributo è anche dedicato al pianista e compositore Leandro Piccioni, che ha lavorato con Morricone sia in tour che in sala d’incisione per alcuni anni, venuto a mancare il 6 maggio scorso, ricordandolo nell’esecuzione dell’ultima traccia del CD, “Main Theme” da Lolita di Adrian Lyne del 1997, che Serino e Piccioni eseguivano in concerto nella versione piano e violino solisti; e partiamo proprio dall’ultimo brano, cosa che solitamente nelle recensioni musicali non si fa, però uno strappo alla regola per Piccioni, che stimavamo tanto, si può fare: al piano il compositore e musicista Ludovico Fulci (Classe di ferro, I bastardi di Pizzo Falcone) che sostituisce il compianto Leandro, venuto a mancare un mese prima della registrazione di questo disco ma presente nel precedente, esegue una melodia circolare che il violino fa melodrammaticamente venire fuori in tutta la sua tragicità sentimentale, con gli archi in controcanto lievi, per contornarne ancora di più quella profondità intima data dalla fanciullezza innocente, incantante e infranta della protagonista, spregiudicatamente bella da spezzare il respiro, come il tema di Morricone.
I primi due brani del CD sono tratti da La califfa di Alberto Bevilacqua del 1970 (“Notturno” e “La cena”) in cui Serino accentua sentitamente la drammatica cantabilità tematica, in contrappunto agli archi che in maniera solenne magnificano le due melodie, che ancestralmente risuonano barocche (soprattutto la seconda), con il violino che sa essere al contempo ‘anima e corpo’ del pentagramma poetico morriconiano, al suo splendore compositivo. La “Mauro Bolognini Suite”, eseguita qui in prima assoluta, che va a ricordare uno dei più lunghi sodalizi nella carriera di Morricone che con il regista Mauro Bolognini (Pistoia, 28 giugno 1922 – Roma, 14 maggio 2001) realizzò 15 film, vede tre partiture: “Intro” è una pagina di musica assoluta, uno stridente e concitato urlo del violino in modalità dissonante con gli archi sullo sfondo tremebondi, oscuri, che nella seconda parte del pezzo assurge tetramente a grido disperato e alienato; “Main Theme” da Per le antiche scale (1975) per piano solo iniziale e il violino trascinante nella sua accecante, dolorosa e universale amabilità, che narra quel luogo della mente che può essere una porta sul buio o sulla luce e che nessuno all’infuori di chi le apre può scoprire dove condurranno realmente; “Ricordo d’amore” da L’eredità Ferramonti (1976), che De Rosa nel booklet ci ricorda essere il tema che apre il documentario di Tornatore Ennio quando “Morricone dirige nel suo studio di casa dopo la sua ginnastica mattutina“, è un leitmotiv dalla laboriosità e attrattiva uniche, un inno all’amore, sia quello che fa soffrire che quello che fa rasserenare e grazia la vita, che Serino, con la compagine orchestrale al massimo fulgore espressivo, performa con una tale veemenza e ardita gioia da sedurre chi ascolta.
“Quattro adagi” inizia con il tema “Chi mai” da Maddalena di Jerzy Kawalerowicz del 1971, reso noto in Joss il professionista del 1981 diretto da Georges Lautner (divenuto una specie di tema-inno della Francia), per clavicembalo riprodotto al sintetizzatore e piano in contraltare, archi melodiosi e il violino che vocalizza ‘pittoricamente virtuosistico come una pennellata delicata e vibrante al medesimo tempo’ il leitmotiv in tutta la sua inneggiata meraviglia; il “Tema di Deborah” da C’era una volta in America del 1984 di Sergio Leone è, in qualsivoglia performance rispettosa dell’originale avvenga, l’apogeo dei temi d’amore nella carriera di Morricone, scuotente anche il cuore più incrollabile, che nell’esecuzione di Serino culmina in una eco contrappuntistica solista avvolgente e rimembrante, come poche altre volte sentita in separate versioni, da pelle d’oca; “Addio monti” dallo sceneggiato I promessi sposi di Salvatore Nocita del 1989 è un altro di quei temi di cui non poterne fare a meno, quelle melodie che dischiudono lo spazio e il tempo dell’amore per mostragli nuove vie senza confini e pareti invalicabili, un leitmotiv che nelle corde di Serino diviene Ragion Pura come intesa da Kant, “ogni forma di conoscenza che si ha prima di ogni esperienza, quindi a priori”, pertanto aprioristicamente essenza dei sentimenti appassionati in note; “Vatel’s Theme” da Vatel di Roland Joffé del 2000 con lo scambio fiorettistico e delicatissimo tra archi e violino a rubarsi la scena leitmotivica, sigilla uno dei temi ottocenteschi beethoveniani più intimi scritti da Morricone.
Il “Theme” da Il clan dei siciliani di Henri Verneuil del 1969 in questa reinterpretazione che mantiene la sua fascinazione folclorica sicula, con tanto di marranzano e clavicembalo a contorno, Serino si diletta con gli archi dell’Orchestra di Padova e del Veneto ad essere di volta in volta prima donna o retrovia, cantando sempre e comunque il leitmotiv melanconicamente austero e dolorosamente funereo, pur nella sua certificata grandezza melodica accorata. “Quasi un Vivaldi” da Revolver di Sergio Sollima del 1973 è baroccamente vivace, seducentemente dispotico nel suo incedere classico semi assalente. La “Taviani Brothers Suite” che contiene “Ritorno a casa” da Allonsanfàn del 1974 e “Tema principale” da Il prato del 1979, dapprima liricamente e liturgicamente strugge con il primo tema e subito dopo, con l’altro tema, teneramente agonizza e come una pregheria laica particolarmente sentita magnetizza: Serino riesce ancora una volta ad essere nella sua esecuzione singolo strumento e orchestra insieme, facendo comprendere quanto sincero amore e reverenza vi sia in questa sua ennesima prova solistica discografica.
La “Silvano Agosti Suite” vede la performance del tema “Dedicato a Maria” (la moglie di Morricone) dal film del 2001 La ragion pura e “Romanza quartiere” da Quartiere del 1987: il primo brano esprime tutta quella gratitudine e amore inesauribili che solo un compositore di tale portata lirica e conoscitiva esistenziale poteva mettere su pentagramma per colei che lo ha accompagnato, compreso, ammirato, curato, supportato e amato tutta la vita, con un’aria d’amore non banale, dolcemente struggente e segretamente intima, cantabilmente operistica, puccinianamente morriconiana, che Serino e l’orchestra tutta rendono totalmente un Inno all’Amore Autentico che fa versare non poche lacrime all’ascoltatore; la seconda traccia è un leitmotiv tipicamente alla Ennio, con quella indulgente affabilità armonica di matrice popolar-religiosa in nuce che può essere al contempo storia di vita vera e fiaba antica. “L’uomo dell’armonica” da C’era una volta il West di Leone del 1968, prima del summenzionato brano da Lolita, è il penultimo pezzo di questo straordinario album, dove Serino si sostituisce alla celebre armonica solista di Franco De Gemeni con le sue gridanti, piangenti e latranti acciaccature e folli evoluzioni strumentali, con “l’impiego di tecniche particolari, come l’uso di portamenti e diteggiature quasi jazzistiche, oppure ho giocato molto sull’effetto ponticello ricercando un suono sfibrato”, portando a compimento un’esecuzione veramente perfetta e sorprendente.   

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