La porta rossa 2

cover la porta rossa dueStefano Lentini
La porta rossa 2 (2019)
Rai Com
18 brani

Partitura complessa, problematica e densa questa di Stefano Lentini per La Porta Rossa 2, cosa che lascia ancor più positivamente interdetti se si pensa che è stata scritta per una serie TV italiana, settore che comunque negli ultimi anni ha dato più segnali di vita di quello cinematografico che affonda nel pantano delle semi-vergognose produzioni nostrane che non hanno mai, nella maggior parte dei casi, interesse e cultura sufficienti per dare una qualche chance al comparto musicale. Rispetto alla bella partitura della prima stagione, Lentini sceglie di espandere il discorso iniziato con una fiducia nei propri mezzi che stordisce e convince.

L’impalcatura sonora salta immediatamente all’orecchio per una freschezza desueta che, pur strizzando l’occhio a certi inevitabili “modernismi” mutuati da tanta musicaccia per film statunitense, non casca nelle biecaggini di luoghi comuni oramai assodatissimi e anzi nobilita immensamente anche quei pochi gestures con i quali abbiamo purtroppo familiarizzato ad nauseam.
La portentosa esecuzione dell’Orchestra Nazionale della RAI fa risplendere ancora di più la perizia certosina dell’arte di questo musicista che si pone decisamente al di sopra della media dei nostri giovani compositori.   
Le melodie non tessono traiettorie facilmente prevedibili ma sono caratterizzate da una certa ritrosa espansività e si inscrivono in una sorta di post-minimalismo dove l’arco lirico si esplicita senza remore, alla ricerca di una riaffermazione del diritto di essere sfacciatamente dirette, modernamente classiche.
Gli impasti fenomenali delle timbriche orchestrali con i sintetizzatori sono quanto di più convincente si sia ascoltato in questo campo da moltissimi anni: lascia basiti in questo senso il brano “Danse Macabre” dove il meraviglioso pointillisme dell’introduzione tutta elettronica lascia spazio a una pagina per piano, orchestra e poi synth, in cui le note si inseguono in un gioco affascinante e conturbante dove nulla è lasciato al caso e l’economia musicale si fa generosità artistica.
O ancora il lirismo al neon di “Fierce”, sospinto dalle brutali scariche dei bassi su cui i violini innestano una tematica lampeggiante di estatica rapinosità.
Il brano “Universe 02” poi è un piccolo gioiello fatto di archi pizzicati e contrabbassi dagli strappi tellurici che innervano un canto solitario e disperato in un gioco contrappuntistico delizioso cui infine si unisce in epicedio un coro dalle tinte apocalittiche e ultimative.
Nella seconda parte della partitura i toni sono sempre più terragni, umbratili, disperati in quello che per certi versi diventa un De Profundis per l’umana condizione, le cui eleganti evoluzioni psicologiche stendono un velo pietoso su gran parte della produzione musicale per il cinema mondiale contemporaneo.
Discorso a parte, poi, per la meravigliosa idea di contaminare, rielaborare, riorchestrare La Traviata di Verdi. Davvero la facilità e al bravura con la quale Lentini si impadronisce dell’eloquio verdiano trasfigurandolo e illuminandolo, accentuandone le tinte forti, scure è spettacolare.
Bastino il “Preludio Atto I”, sanguigno e ribollente con l’aggiunta di terrificanti boati, di vaga matrice zimmeriana, che anziché rovinare il tutto rendono il panorama ancora più infernale e disperato.
Oppure “Solinga” dove il soprano Carmen Buendìa con cristallina bravura domina le forze oscure del coro e dell’orchestra o ancora “Un Dì Quando le Ceneri” in cui un paesaggio immerso nella nebbia tecnologica partorisce il coro verdiano più maledetto e ultraterreno che si potesse concepire.
Concludiamo citando probabilmente il piece de resistance della partitura, “La Fenice”, dove sinuosi archi si avvinghiano su una parafrasi del Dies Irae contrappuntandola a uno dei temi principali in un abbraccio letale che urla dal fondo di un pozzo disperato tutta la luce nera di questa partitura, riverberando nel contempo tutto il talento di un compositore di cui certamente sentiremo parlare molto.

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