First to the Moon – The Journey of Apollo 8

cover first to the moonAlexander Bornstein
First to the Moon – The Journey of Apollo 8 (Inedito – 2018)
Notefornote Music NFN-9008
12 brani – Durata: 51’42”



All’incirca 50 anni fa, tre astronauti partirono dalla Terra e per la prima volta si diressero verso la Luna. I loro nomi? Frank Borman, Bill Anders e James Lovell: i primi astronauti a lasciare la Terra. Il documentario First to the Moon racconta la loro storia, iniziata nel dicembre del 1968, tra lotte sociali, disordini nei campus e la guerra ardua in Vietnam. Questi ardimentosi uomini si avventurarono in territori sconosciuti. Furono i veri esploratori del programma Apollo. Precisamente dell’Apollo 8.

A commentare in musica le gesta temerarie di Borman, Anders e Lovell è stato chiamato il compositore semisconosciuto californiano Alexander Bornstein: nel carnet una sequela di contributi come compositore addizionale in serie e film, per titoli quali Supernatural, Lost in Space, Agent Carter, Baywatch, Bad Moms, e come autore in proprio di una cinquantina di pellicole, telefilm, corti e documentari. La score per First to the Moon possiede marcate impronte zimmeriane nella sua andatura magniloquente ed epica, come si addice ad una spedizione spaziale di tale portata, con alcune sorprese che non ti aspetti proprio dietro l’angolo. Fin dal brano d’apertura del CD su etichetta Notefornote Music, “1968”, con intro elettronica atmosferica tensiva e il sopraggiungere dell’orchestra in levare su percussioni metalliche incessanti che ad un tratto si bloccano, facendo apparire un leitmotiv di impronta epica molto in linea con lo stile di Hans Zimmer per film eroici. L’orchestra Sinfonica di Budapest viene usata prepotentemente per risaltare gli ottoni. Il secondo pezzo, “Crew”, si mostra quietamente lieve, con un tema che ispira serenità e al contempo scoperta interiore prima di affrontare la missione valorosa. La lunga traccia di 7’14”, “The Good Earth”, ha il sapore dei commenti astratti alla Thomas Newman, con fiati e archi in primo piano su effetti sintetici liquescenti, però a metà traccia vira verso latitudini elettroniche anni ’80 alla Tangerine Dream e Giorgio Moroder, nelle quali il motivo portante eroico si stacca dagli stilemi zimmeriani per divenire pura essenza stellare. Le orchestrazioni di Tracie Turnbull, gli arrangiamenti di Bryan Winslow e la direzione d’orchestra di Peter Illenyi in tal senso danno ancora più vigore alla partitura che se no potrebbe risultare, ad un ascolto disattento, la solita solfa attuale di emuli di Zimmer & soci. “Becoming Apollo 8” è un brano in crescendo per archi, percussioni, sintetismi metallici, dove il leitmotiv, grazie agli archi e gli ottoni in controcanto tra attimi sospesi e aggressioni telluriche, si fa ancora più pomposo e solenne. “Model Rockets” è una danza ondulatoria per archi ed effetti synth ossia un vero e proprio andirivieni dinamico. “Go for Launch” cresce piano piano su effetti roboanti sintetici e tensivamente accresce anche l’angoscia di fallire per gli astronauti, con quel sound anni ’80 succitato, che rende il tutto ancora più drammatico. “TLI” è genuino astrattismo sonoro moroderiano e tangeriniano che nella seconda parte assume connotazioni grandiose in un crescendo al cardiopalma. “Earth’s Grasp” ci fa tuffare in una costellazione infinita di movimentazioni sintetiche eteree che tra ardimento e paura ci cullano in uno spazio senza suono e infinito. “Dark Side of the Moon” è il brano più esteso della OST, ben 10’31”, che inanella, su di un pentagramma dalle mille possibilità creative, una sequenza di pagine che passano dall’astrazione newmaniana di cui sopra alla delicatezza del tema lieve per chitarra acustica, dal piano sospeso che sostiene tamburi che palpitano emozionati e avvinti dalla bellezza sconfinata dello spazio e della Luna come i cuori degli astronauti che hanno vissuto per primi l’avventura più grande della loro vita e dell’umanità intera, tutto in un crescendo orchestrale e sintetico all’unisono che, anche senza aver visto un fotogramma del documentario in esame, fa rivivere all’ascoltatore tutta la potenza sensazionale ed emozionale di Frank Borman, Bill Anders e James Lovell, con una performance orchestrale e un’orchestrazione piena e possente che non poco ricorda quella del compianto James Horner per il bellissimo film Apollo 13 di Ron Howard con Tom Hanks. “Earthrise” sorge lieve per archi per poi esplodere in un ‘tutti’ orchestrale. “Fireball” descrive la conclusione di una missione epocale con gli archi che espongono solennemente il tema principale su percussioni militaresche, per deflagrare subito dopo in una tumultuosa pagina action al fulmicotone. L’ultimo brano dell’album, “What We Really Discovered”, è la degna chiusura rasserenante e trionfante di una colonna sonora che si apprezza ascolto dopo ascolto per la sua semplicità tematica che, non mi si fraintenda, non è banalità bensì una soluzione egregia e avvolgente per creare emozioni dalla prima all’ultima traccia. Bravo Alexander Bornstein!

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