Outlander – The Series Vol. 1 & Vol. 2

Bear McCreary
Outlander – The Series Vol. 1 (Id. – 2014 – 2019)
Sony Classical 88875082792
13 brani - Durata: 50’27”



Bear McCreary
Outlander – The Series Vol. 2 (Id. – 2014 – 2019)
Sony Classical 88875082792
15 brani - Durata: 65’11”



Sing me a song of a lass that is gone,
Say could that lass be I?
Può una canzone popolare (forse la più famosa del repertorio folkloristico scozzese) trovare il plauso generale, tanto da diventare il tema portante di un’intera serie televisiva? La risposta è sì, soprattutto se il reparto musicale è affidato esclusivamente a un singolo compositore, e per giunta molto capace. È ciò che è accaduto con la serie di successo Outlander, targata Starz, a oggi alla sua quarta stagione (la quinta è in via di riprese) e che, a partire dal 2015, vede riuniti di nuovo assieme lo showrunner Ronald D. Moore e il compositore Bear McCreary dopo i fasti di Battlestar Galactica. Tratto dall’omonimo ciclo di romanzi scritti dall’autrice americana Diana Gabaldon, la serie è incentrata sulle avventure di Claire Randall, un’infermiera reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, che torna indietro nel tempo fino al periodo delle Rivolte Giacobite, nella Scozia di metà Settecento, dopo aver attraversato un cerchio di pietre magico nei pressi di Inverness.
La colonna sonora della prima stagione è stata pubblicata in due volumi distinti: il primo contiene i commenti musicali ai primi 8 episodi, mentre il secondo raccoglie il materiale migliore prodotto per l’intera stagione. Sin dalla sigla di apertura (di cui, all’inizio dell’articolo, abbiamo riportato i primi versi), si percepisce come McCreary abbia intenzionalmente voluto dare importanza alla musica e alla strumentazione tradizionali: su un motivo ormai diventato iconico, suonato da fiddle, bodhràn, thin whistle, cornamusa e arpa celtica, il testo della “Skye Boat Song” nella versione di Robert Louis Stevenson, è qui rielaborato per adattarsi alle vicissitudini della protagonista. Cantate con calore e maestria dalla moglie del compositore, Raya Yarbrough, le strofe ci invitano a familiarizzare sin da subito con le tematiche e gli avvenimenti che si avvicendano nel prosieguo della storia, raccontata dal punto di vista di Claire.
Procedendo nell’ascolto, ci si rende conto immediatamente di come la composizione affidata a McCreary si sia avvalsa di una ricerca filologica molto curata e meticolosa circa la produzione musicale scozzese del XVIII secolo: accanto a due ulteriori temi principali di concezione apparentemente moderna, ovvero il “Love’s Theme” dedicato all’amore tra Claire e l’Highlander fuorilegge Jamie Fraser e il tema dedicato al viaggio nel tempo, ovvero “The Dance of the Druids” (rielaborazione musicale di una preghiera appartenente ai Carmina Gadelica – una raccolta di salmi, invocazioni, incantesimi e malocchi raccolti nelle Highlands e nelle Isole di Scozia dal reverendo Alexander Carmichael a inizio ’900), trovano spazio in entrambi gli album numerosi brani che recuperano e rielaborano jig, reels e laments propri di una tradizione antica di cui il tempo sembra aver apparentemente cancellato il ricordo, ma che qui ritornano prepotentemente alla ribalta in una resa a volte magniloquente, a volte ruvida, a volte commovente e malinconica. Motivi come “Loch Lomond”, “Bonny Katherine Ogie”, “Comin Thro’ the Rye”, “Clean Pease Strae”, “Ye Jacobites By Name”, “The Highland Widow’s Lament”, ma anche “My Bonnie Moorhen”, “Weel May the Keell Row”, “Wanderin’ Willie”, “Maids”, “When You’re Young Never Wed an Old Man”, “MacPherson’s Farewell” e “Sleepy Maggie” – titoli già di per sé evocativi – sono ben noti a chiunque si sia avventurato nei pub dei vicoli di Edimburgo o nei villaggi delle Highlands; eppure, d’altro canto, risultano all’istante familiari anche all’orecchio di chi non abbia mai varcato i confini scozzesi, nonostante l’aura di esoticità che li avvolge.
Come già puntualizzato, piuttosto che utilizzare una grande orchestra, McCreary ha preferito affidarsi soprattutto al suono dei singoli strumenti tradizionali, ai quali si affiancano, oltre a un nutrito reparto di percussioni, anche la fisarmonica e la viola da gamba – strumento impiegato soprattutto nella musica scozzese di epoca barocca. Tuttavia, l’inserimento di una sezione di archi accompagnata dal canto femminile è stato opzionato per quelle scene di climax che necessitavano strenuamente di un determinato pathos: è il caso dei brani “People Disappear All the Time”, “The Losing Side of History”, “The Wedding, The Veil of Time”, “Fort William Rescue”, “The Summoning”, “The Key to Lallybroch”, “Tale of the Tusks” e “Hand Surgery”, dove i tre temi principali precedentemente individuati fanno da contrappunto ad armonie di più ampio respiro.
Così come ha avuto inizio con “The Skye Boat Song”, allo stesso modo la prima stagione si conclude in maniera circolare con il brano “Setting Sail”, una versione orchestrale estesa della canzone, affidata tanto al canto di Raya Yarbrough, quanto alla sezione di archi. In questo brano, McCreary ha infuso tutta la sua ispirazione e conoscenza accumulate nel corso di 16 episodi – all’incirca in un anno di lavoro – e le ha applicate a quello che è stato uno dei primi brani realizzati sin dal concepimento della serie. Per stessa ammissione del compositore, “la realizzazione della musica per la prima stagione di Outlander mi ha cambiato radicalmente, e le differenti variazioni sul tema della poesia di Stevenson rappresentano proprio questo viaggio.
Noi non possiamo che essere d’accordo con le parole di McCreary e, se pensiamo all’importanza del retaggio culturale da cui il compositore ha attinto a piene mani per commentare le splendide immagini in movimento che hanno fatto e continuano a fare grande questa serie (soprattutto a livello scenografico), non possiamo che essere lieti di averlo accompagnato nella sua avventura, seppur come semplici fruitori.

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