“Una grande lezione di musica per film” – Parte Sessantaduesima

foto ciak cuffie film music

“Una grande lezione di musica per film” – Parte Sessantaduesima

Siamo arrivati alla 62^ parte delle nostre interviste-lezioni di Musica Applicata alle Immagini e imperterriti continuiamo a proporre le nostre sei classiche domande, selezionate dalla redazione anni addietro, da riportare ai compositori di ieri e di oggi, per farci svelare le loro esperienze sullo scrivere per il Cinema, la TV, il Teatro ed altri media. Una sequela di chiacchierate indispensabili per coloro i quali vorranno sperimentare le loro doti compositive ancora alle prime armi con l’Ottava Arte, come si addice ad una reale lezione di musica per film.
Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete un vostro score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?

foto irene bello

Irene Bello (Eneri) (compositrice del film I-N, dei corti Stop invasione!, Buongiornissimo!1 e Naik)

1) Tenendo conto che l’ondata di libertà espressiva dei compositori di musica per film, viene molto spesso arginata dalle richieste dei registi e dei produttori, il mio primo approccio al lavoro è quello di trovare il giusto canale comunicativo con il committente, prima ancora di approcciarmi alla sceneggiatura. Questo per evitare che la lettura iniziale possa portarmi a creare in testa un’idea troppo radicata e lontana da quella che è invece la richiesta; trovo che sradicare un’idea sia più complicato che farla nascere da zero. Successivamente mi occupo di scegliere i colori del vestito che indosseranno le mie note e realizzare i temi portanti, costruendo mattone dopo mattone una strada abbastanza solida da poter percorrere.

2) Suonare con l’orchestra lascia in bocca un sapore indubbiamente più dolce, ma ci si fa le ossa anche quando vengono a mancare queste bellissime possibilità. I limiti ci portano in qualche modo a percorrere strade alternative e a sviluppare nuove capacità e nuove tecniche, come quella della Programmazione Orchestrale Virtuale, d’avanti alla quale qualcuno storcerebbe il naso, io invece strizzo l’occhio alle innovazioni, tenendo però sempre ben strette le certezze e le esperienze del passato. Parlando appunto di library e capacità di programmazione midi, sono dell’idea che utilizzando questa nuova tecnologia, il musicista non solo si faccia compositore, ma anche programmatore, direttore d’orchestra e infine fonico, imprimendo a pieno la propria personale impronta.

3) Una volta comprese le richieste del regista, visionare il premontanto mi aiuta sicuramente a settare le mie frequenze su quelle del montatore, in qualche modo ne percepisco il “battito” che lo ha accompagnato in fase di montaggio e mi lascio trasportare dal suo bpm naturale.

4) In questa catena di produzione che è il cinema, se qualcuno vacilla, la struttura diventa poco solida per tutti, quindi avere le idee chiare è a mio avviso il più importante anello. Nessun vento sarà mai favorevole per chi naviga senza sapere dove vuole andare, pertanto l’unico elemento che può crearmi una vera difficoltà è la poca comprensione della richiesta, che può essere dovuta ad una diversità di linguaggio tecnico usato tra le parti. Se voglio superare un inghippo lo faccio semplicemente trovando una forma di linguaggio comune e comprensibile a tutti, e poi, citando un famoso film, “bisogna provare, provare, provare, provare, provare…”.

5) Non mentirò dicendo che era il mio sogno da bambina, anche se già ne ero affascinata, ma la passione è arrivata per vie traverse. Durante i miei tour come cantautrice/compositrice molto spesso mi veniva detto che quello che scrivevo sembrava scritto per un film. Alla fine ho dovuto e voluto dare peso alla vox populi e ho cominciato ad esplorare un mondo che fino a quel momento avevo ammirato solo da lontano, attraverso il grande schermo, ma che poi ha trovato il modo di raggiungermi.

6) Toccare con mano la materia contenente il proprio lavoro è come se rendesse tutto più reale, e di certo non farei come Mastro Don Gesualdo con la sua “Roba”. Comunque, nonostante l’avanzare del tempo, i supporti fisici mi ricordano che ho fatto parte anche di un passato, ma più che su un CD mi piacerebbe sentire uscire la mia musica dal giradischi di mio padre, che mi ha fatto sempre sentire tanta bella musica sin da quando ero piccola.

foto angelo marrone

Angelo Marrone (compositore dei film The Dressmaker, Siamo Inferno, Chiudi Gli occhi e Guardami, Géant!, Petite Blanche)

1) Comporre significa compiere un’idea, attraversando un percorso. Ma come si trova l’idea? Faccio un passo indietro. Camminiamo insieme su queste righe. Ho la certezza che un passo ha la stessa importanza di tutto il cammino così come una nota pesa quanto la composizione stessa. Trovo straordinaria l’analogia tra l’approccio e la composizione. Ho bisogno di camminare, uscire, osservare, indagare, riflettere e allo stesso tempo, sullo stesso terreno, cercare di uscire da me, osservarmi, indagarmi, riflettermi. Camminare mi aiuta a delineare le idee per focalizzarmi su quella che poi diventa l’idea da percorrere. Gli eventi che osservo andranno a delineare quel percorso di eventi sonori. In tutto questo poi spiegare come avvenga la declinazione in musica non mi è ancora molto chiaro ma arriva un esatto momento in cui mi rendo conto che non c’è bisogno di camminare più. La musica è troppo più grande di me e mi sento sempre un po' inadatto e inadeguato ma orgoglioso di aver intrapreso questo cammino. Il lavoro del compositore è come quello del musicista e non c’è differenza tra individuo e strumento; in quel momento bisogna lasciarsi veicolare da un linguaggio, che sa parlare con noi meglio di quanto siamo in grado di parlare di lei e come per ogni musicista, studio ed errori diventano nutrimento quotidiano. Per questo in maniera provocatoria al “devi aspettare l’ispirazione” rispondo che l’ispirazione non esiste. L’intuizione può facilitare qualsiasi individuo. L’ispirazione non è il mestiere, ci fa luce solo su una strada meno illuminata che arriva prima alla meta. Penso che l’idea vada custodita con cura e personalmente decido di imboccare una nuova strada solo dal momento in cui ho compiuto, fino in fondo, un’idea musicale.

2) Utilizzo Virtual Instruments che variano in base all’esigenza o al processo creativo. Il problema più evidente è che uno strumento virtuale non respira e non ha un’anima che lo fa vibrare. Questa problematica ovviamente si propone solo dal momento in cui la scelta ricade sul virtuale per problemi di budget. Sia chiaro che, se per esprimere al meglio l’idea musicale, sia necessaria la tecnologia, dai synth agli strumenti virtuali, la problematica di cui sopra si annulla.
In alcune occasioni, quando il budget non copriva un’intera orchestra, ho optato per registrare tutte le prime sedie e miscelarle con suoni campionati invece, quando il budget non permetteva nemmeno questo tipo di approccio, emulo l’orchestra e tendo a miscelarla con fasce sonore campionate.

3) Ritengo fondamentale, prima di approcciare qualsiasi composizione, farmi raccontare dal regista quello che nella sceneggiatura non c’è, cercare di cogliere e interiorizzare tutte le sue espressioni; vedo prendere vita i personaggi ascoltando, non quello che recitano, piuttosto ciò che sentono. Questo momento è privilegiato perché vengo a contatto con un’intimità che è concessa a pochi.
Non penso che la temp track sia il problema ma quanto l’ascolto della stessa possa influenzare il compositore. La difficoltà sorge nel momento in cui non riesco a prendere le distanze da quel premontato come se non mi fidassi di me stesso. E’ il rischio del rapporto dell’uomo con la musica ma non della musica con l’uomo. Sia chiaro che ogni composizione nasce da un foglio bianco che disorienta ed è chiaro che se ci copriamo gli occhi, quando possibile, ci affidiamo all’udito.

4) La domanda è molto interessante ma lo sarebbe ancora di più se qualcuno avesse una risposta applicabile matematicamente ad ogni volta che ci si “inghippa”. Penso che inciampare faccia naturalmente parte di un cammino, anzi è una conferma che si sta proseguendo. Benedetto l’inciampo e la capacità di apprezzarlo. Quando cado probabilmente ho solo mosso i miei passi su un terreno che non conoscevo e sul quale non ero pronto. Basta rialzarsi, riprendere il cammino, allenarsi e anche voltarsi e guardare la strada percorsa. Altre volte, quando la caduta è ruvida basta tendere la mano perché se in questo momento scrivo, in questo momento tu stai leggendo e con queste poche parole, abbiamo annientato, insieme, una convezione temporale; inciampare, a questo punto, non significa necessariamente fermarsi. Se siamo qui è perché nessuno si salva da solo e se smarrisco un suono, l’inghippo può risolversi in uno sguardo.

5) Simpaticamente l’episodio che racconto risale al mio esame di maturità. Ero di fronte la commissione e ho davvero realizzato che avevo concluso un percorso. Per un momento è come se su quella sedia fossi solo. A destra visualizzavo un pianoforte, con i suoi 88 tasti, a sinistra le migliaia di pagine di lettere, architettura, matematica... voi che avreste scelto? Successivamente ho scoperto che gli 88 tasti alla mia destra andavano sommati a centinaia di migliaia di pagine, errori di gioventù. Mi sono realmente approcciato alla musica dopo la maturità scientifica ma la direzione da intraprendere era chiara e ho iniziato a muovere i primi passi. Quando attraversiamo un percorso, non scopriamo nuovi posti, scopriamo noi stessi, quegli orizzonti hanno sempre abitato lì concedendoci di condividere il loro spazio nel nostro tempo.

6) Il focus non è il CD ma la qualità che un supporto fisico può contenere. La digitalizzazione rivela anche un’altra problematica, la riproduzione diventa sempre più smart e il supporto di riproduzione spesso risulta inadatto; potenzialmente ci sono “fenomenali poteri cosmici in un minuscolo spazio vitale”. Non voglio generalizzare in maniera propagandistica ma la direzione è che il genio rimanga chiuso nella sua lampada.

FINE SESSANTADUESIMA PARTE

foto nota pellicola new

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