“Una grande lezione di musica per film” – Parte Sessantunesima
“Una grande lezione di musica per film” – Parte Sessantunesima
Giunti alla 61^ parte delle nostre interviste-lezioni di Musica Applicata alle Immagini, proseguiamo nel farvi entrare a gamba tesa nel mondo professionale del comporre colonne sonore, grazie alle risposte di autori di ieri e di oggi, giovani e anziani, tutti con le loro peculiarità di approccio sul girato. Le nostre classiche sei domande sono una vera forma di analisi esperienziale sullo scrivere per il Cinema, la TV, il Teatro ed altri media, per questo assai importanti per coloro che vogliono e vorranno cimentarsi con uno dei lavori tra i più belli del mondo, il Compositore di Colonne Musicali.
Domande:
1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?
2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?
3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?
4) Avete un vostro score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?
5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?
6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?
Matteo Portelli (compositore del documentario Rosso di sera)
1) Ogni lavoro richiede un approccio diverso, ma sicuramente l’elemento comune è per me il riuscire a stabilire una connessione con la storia che si sta raccontando, e con le persone che la raccontano. Ascoltare, dialogare, e osservare attentamente, prima di tutto, per allineare il mio stile a quello del lavoro a cui sto partecipando, per trovare un modo, perché le mie caratteristiche musicali possano trovare punti di contatto con il contesto. Da questa prima fase riesco a capire a grandi linee il mondo in cui muovermi, gli strumenti da usare, alcune scelte su larga scala che mi permettano di restringere il campo d’azione. Poi segue generalmente una fase di “improvvisazione”, in cui provo a suonare liberamente sulle immagini, per capire i punti di snodo, per individuare sonorità e melodie che posso usare, fase in cui tendo a riempire molto, per procedere poi per sottrazione, capendo quali sono le cose che effettivamente hanno più senso. Da lì il lavoro è in discesa; si tratta di rifinire, adattare, colorare, sempre confrontandomi con le persone con cui sto collaborando.
2) Non mi sono ancora dovuto mai porre il problema! Lavoro con strumenti elettronici, sintetizzatori, sequencer, o con strumenti da band (basso, chitarra, batteria); chi mi ha affidato dei lavori sa che questo è il mio mondo. E’ capitato per alcuni lavori di usare suoni orchestrali virtuali, che cerco però tendenzialmente di evitare, trovando soluzioni che possano dare sensazioni sonore simili a quelle di un’orchestra, ma senza essere delle simulazioni. Fino ad oggi ho sempre preferito usare un suono evidentemente “finto”, una string machine, un mellotron, piuttosto che cercare di emulare una vera orchestra. Nell’ultima colonna sonora che ho realizzato, per il documentario Rosso di sera di Emanuele Menotti, che è il primo lungometraggio a cui ho lavorato, ho utilizzato dei sample di archi; non li ho però suonati per cercare di ricreare un vero e proprio suono orchestrale, ma si è trattato piuttosto di campioni, loop, frammenti, effettati e manipolati, messi in layer con suoni di synth, che hanno contribuito a dare un senso cinematografico all’insieme; un’eco sonora delle timbriche orchestrali, timbriche che hanno comunque una loro storia in questo ambito da cui non si può del tutto prescindere.
3) Famigerata, dite bene! L’uso di musiche temporanee è chiaramente fondamentale per chi sta ideando un film (o uno spettacolo teatrale, o una qualsiasi drammaturgia); aiuta a prevedere il risultato finale, a individuare atmosfere, ma chiaramente il rischio di affezionarsi a certe sonorità, a basarsi su degli “appuntamenti” specifici dati dalle tracce scelte è molto alto. Credo sia necessario che regista e montatore siano in grado di capire quali sono le cose che rendono quelle tracce giuste per le diverse scene, di isolare i diversi piani di ascolto che le rendono efficaci, di avere consapevolezza che quella sensazione non verrà mai ricreata in modo identico; e il compositore allo stesso modo deve saper capire in che modo restituire quell’emozione e quell’atmosfera usando il proprio stile e il proprio gusto, e avere il coraggio, a volte, anche di spostarsi dal riferimento, quando è convinto di poter dare un contributo in più. Tutto questo si basa su un rapporto di fiducia e di dialogo. Credo che più dialogo c’è più la musica riesce a fondersi nel racconto. Io cerco di avere un livello di coinvolgimento più alto possibile con regista o montatore, di sottoporre versioni provvisorie, di lavorare anche in presenza, perché le visioni estetiche e artistiche per definizione non possono mai coincidere del tutto, e penso che solo il confronto tra queste visioni possa portare a un incontro che funzioni davvero!
4) Il lavoro che mi ha messo più in difficoltà è stata la realizzazione della colonna sonora di uno spettacolo teatrale, Abitare il ritorno di Fabiana Iacozzilli. Si trattava di uno spettacolo di teatro di figura, senza una vera e propria recitazione; in scena dei performers compivano azioni con dei puppets di carta, o con altri oggetti di carta. Il fatto che fossero scene senza parti parlate mi aveva indotto inizialmente a immaginarmi una colonna sonora molto piena, molto ricca. Ma la regista aveva una visione totalmente diversa, aveva bisogno di molto silenzio, di far emergere il suono del palco, i fruscii della carta, o altri rumori anche imprevisti. Ci ho messo un po’ a capire l’importanza del silenzio in questo lavoro (e anche in generale), e anche laddove volevamo mettere musica trovare quella giusta mi ha richiesto molto più tempo delle altre volte. Per una scena in particolare ho fatto tantissimi tentativi, forse 5-6 brani diversi; tutti a loro modo “andavano bene”, ma nessuno era quello giusto davvero. Alla fine insieme alla regista abbiamo capito che la musica di cui la scena aveva bisogno era una semplice nota, una nota fissa, lunga alcuni minuti, con un unico suono, con lievissime modulazioni timbriche. Anche qui comunque, come dicevo sopra, l’inghippo è stato risolto dialogando e capendo le motivazioni artistiche della regista.
5) Non so se lo sono ancora diventato, forse sì, forse lo sto diventando. Ho fatto diverse colonne sonore per spettacoli teatrali, alcuni cartoni animati, diversi cortometraggi, e da poco ho lavorato per la prima volta a un film, Rosso di sera, di Emanuele Mengotti. Non c’è stato un passaggio vero e proprio, lavoro da sempre con la musica, come produttore, come fonico e come musicista, e tra le varie cose mi è capitato che persone che conoscevo mi affidassero la realizzazione di musica per i loro progetti; piano piano questa cosa si è strutturata fino a che mi potessi definire “compositore”. Spero che sia un percorso che andrà avanti, perché sarebbe l’unione di due grandi passioni, quella per la musica e quella per il cinema; comporre la colonna sonora di un film è un sogno, da sempre. Farlo per la prima volta è stato bello più di quanto immaginassi; trovo che la musica, quando si fonde con un racconto, con delle immagini, con l’emozione di una storia, possa dare e ricevere una ricchezza enorme, mi emoziona pensare di poter contribuire alla magia del cinema, come anche a quella del teatro. L’ascolto di un disco per me, che di dischi ne ho sentiti e lavorati tanti, rimane una specie di bene primario, una funzione vitale quasi, ma mi rendo conto che la musica in un film ha tutta una serie di sfaccettature incredibili, perché si mette in relazione con altre forme d’arte e di comunicazione.
6) Eh, fondamentale ovviamente. Ma non riguarda certo solo le colonne sonore! E’ chiaro che la possibilità di dare un supporto fisico al proprio lavoro dia una dignità che le pubblicazioni digitali non potranno mai dare. Paradossalmente ho sempre pensato che avere la propria musica stampata su un disco la renda eterna (per usare un termine un po’ altisonante!), la fissi nel tempo, anche se in realtà ad essere eterno dovrebbe essere proprio il digitale. Ho sempre messo online le colonne sonore degli spettacoli teatrali che ho realizzato; ma qualche anno fa alcuni membri della compagnia con cui ho lavorato ne hanno fatto stampare una in vinile, in pochissime copie; ecco, quel lavoro là ha una dignità diversa, un’identità più forte, esiste di più, indipendentemente dal fatto che sarà ascoltata da più o meno persone!
Orazio Saracino (compositore dei cortometraggi Dinosaurs and Bumblebees e El Hijo, del documentario Vietato l’ingresso realizzato per il Teatro degli Arcimboldi di Milano)
1) Il metodo varia a seconda della tipologia di colonna sonora da realizzare. Per esempio, per quelle orchestrali parto quasi sempre dalla stesura della partitura (attraverso l’impiego di un software di notazione musicale), e solo dopo passo alla DAW, lavorando sui suoni. Quando, invece, la colonna sonora è prevalentemente elettronica, la sviluppo direttamente sulla DAW. Fondamentali anche i temi: essendo un pianista, preferisco concepirli al pianoforte (avendo la fortuna di disporre di uno strumento che ti dà già una visione orchestrale), per poi orchestrarli solo successivamente.
2) Le tecnologie odierne riescono ormai a sopperire quasi pienamente all’eventuale impossibilità di usare un organico orchestrale. Certo, realizzare un orchestral mockup che risulti quanto più realistico possibile richiede molta conoscenza ed esperienza sia nella programmazione che nella gestione degli strumenti virtuali (e delle relative automazioni), oltre ad una cura maniacale del dettaglio. Ovviamente ogni volta che le condizioni di budget lo consentono è sempre preferibile ricorrere a strumentisti reali, o quantomeno a soluzioni ibride che conferiscano un sufficiente tocco di realismo alle orchestrazioni virtuali.
3) Punto di partenza del processo creativo è sempre la lettura approfondita della sceneggiatura. Solo così è possibile iniziare ad entrare nella psicologia dei personaggi principali. É poi fondamentale un confronto preliminare con il regista (in alcuni casi anche con il music supervisor) al fine di ragionare insieme sia sulla spotting session in modo da stabilire con precisione punti di ingresso e uscita della musica che sulle caratteristiche della stessa in funzione delle varie scene. L’eventuale utilizzo di temp track rappresenta un’arma a doppio taglio: da un lato fornisce al compositore un’idea più chiara della colonna sonora immaginata dal regista (idea che, a volte, lo stesso regista non riesce a trasmettere in modo efficace mediante il solo utilizzo delle “parole-chiave” o delle frasi descrittive), dall’altro comporta per il compositore il rischio di “appiattirsi” sulle temp track, peccando in originalità.
4) Per il momento no, non mi è mai capitato. Ogni colonna sonora cui mi sono approcciato fino ad oggi aveva le sue peculiarità e i suoi punti critici, ma globalmente sono sempre riuscito a gestirle. È fondamentale avere una comunicazione chiara e serrata con il regista per partire sin da subito con le idee chiare.
5) Nasco come pianista classico, passato poi al jazz. Mi sono appassionato alle tecniche compositive già durante il corso di armonia complementare, passione che si è poi consolidata durante gli anni di studio di composizione in Conservatorio. Ho sempre visto nel processo creativo musicale un’estensione di me stesso, in grado di dar voce a ciò che non riuscivo ad esprimere con le parole. Passione che è andata di pari passo con quella per la musica per cinema, capace ogni volta di farmi emozionare come poche altre forme d’arte, forse per il potere emotivo enormemente amplificato dalle immagini e dalle parole. Diventare compositore di musica per film è sempre stato un mio pallino. Quando ho deciso che sarebbe diventata la mia professione? Quando ho frequentato il master in film scoring del M° Francesco De Donatis. È stato allora che, oltre a completare la mia formazione tecnica, ho acquisito la forma mentis indispensabile per diventare imprenditore di me stesso e presentarmi al meglio all’industria del cinema.
6) Ahimè il CD fisico sta diventando quasi un oggetto d’antiquariato. In pochi, per lo più appassionati, dispongono ormai di dispositivi in grado di leggerlo (persino le autoradio non hanno più il lettore integrato). Va da sé che le possibilità di vedere pubblicata una colonna sonora su CD fisico siano sempre più ridotte al lumicino. Ad ogni modo, resta l’importanza della pubblicazione anche se su piattaforma digitale. Avere la fortuna di lavorare con editori che valorizzano l’opera musicale, anche attraverso la pubblicazione dell’album, conferisce ancor più valore all’opera stessa e alla musica per film in quanto forma d’arte a sé stante, pur essendo al tempo stesso integrata con il visivo.
FINE SESSANTUNESIMA PARTE