Chicche del Cinema Muto
Chicche del Cinema Muto
Nel periodo tra le due guerre, una forte voglia di cinema invase i diversi strati della popolazione italiana, creando diverse opportunità per l’apertura di strutture dedicate a queste rappresentazioni nei centri urbani di piccola taglia, ma anche orientando in una certa direzione l’attività di alcuni settori specifici della popolazione. Tra i casi più emblematici, troviamo la categoria dei musicisti: sebbene il cinema muto stesse entrando nella fase discendente della sua parabola, esso resisteva ancora in provincia, innescando il bisogno di complessi musicali che si dedicassero all’accompagnamento del cinema muto.
Oggi vogliamo passare in rassegna il repertorio di uno di questi piccoli complessi operanti in Ortona (CH), città di cui ci siamo già occupati in quanto città natale di Guido Albanese, prolifico compositore di musica da film nel periodo tra le due guerre (leggi articolo). Il suo trasferimento a Roma ed i suoi rapporti con la SIAE e con l’EIAR furono importanti per esporre i musicisti locali a novità musicali che altrimenti difficilmente avrebbero potuto acquisire. Bisogna considerare che ad Ortona, in quel frangente storico, erano attivi tre cinema (contro gli “zero” attuali): negli anni ’20 esisteva un cinema all’aperto (in legno), poi negli anni ’30 aprirono il cinema “Corso”, ed il cinema “De Francesco”, che alternavano proiezioni mute e sonorizzate.
Abbiamo ritrovato il repertorio dedicato al cinema muto da un complesso cameristico ad organico variabile, la cui base era composta da archi, flauto, clarinetto e mandolino (e/o chitarra). Il nonno di chi scrive (Luigi di Tollo) impiegava il flauto, ed è scovando nelle carte di famiglia che ci siamo imbattuti nel repertorio affrontato durante le esecuzioni cinematografiche. Non si trattava di un complesso di “specialisti”, come non era specializzata la maggior parte dei complessi che svolgevano questa attività: ne deriva una sostanziale contaminazione tra musiche provenienti da matrice diversa; e se oggi la cifra stilistica di questo repertorio ci sembra riconducibile a quel periodo storico, possiamo affermare che nel periodo tra le due guerre, nella provincia Adriatica, questa operazione di contaminazione culturale poté sembrare molto ardita, una sorta di “crossover” ante-litteram.
Senza voler entrare in una classificazione del repertorio, non possiamo non notare, innanzitutto, che il complesso utilizzava con disinvoltura temi derivanti dal repertorio musicale legato al territorio. Ho voluto appositamente evitare il termine “popolare”, in quanto quelle a cui ci si riferisce come “canzoni popolari” abruzzesi, altro non sono che le canzoni dialettali d’autore, partecipanti negli anni alle “Maggiolate” abruzzesi: di queste canzoni non c’è traccia nel repertorio eseguito. Fenomeno interessante, in quanto potrebbe derivare sia dalla contemporaneità degli eventi (detto in altre parole, la Maggiolata era in quel periodo troppo recente per essere conosciuta e suonata), sia dalla scelta consapevole di lasciare fuori questo tipo di repertorio, probabilmente a causa del suo aspetto predominantemente vocale, o comunque legato alla natura del testo cantato. Facciamo questa precisazione perché, viceversa, il gruppo attingeva senza remore ad altre composizioni conosciute sul territorio, quali i “Miserere” del Venerdì Santo ed il “Sant’Antonio”, tradizionale rappresentazione sacra (ma non troppo) messa in scena a gennaio di ogni anno per proteggere il bestiame. Trattandosi questi due filoni musicali di brani destinati a momenti e stati d’animo ben specifici (solennità straziante nel primo caso, allegria burlesca nel secondo), il complesso usava pragmaticamente queste composizioni in sequenze cinematografiche associate a questi stati d’animo collettivi. Ad esempio, abbiamo testimonianze dell’uso del “Miserere di Chieti” (quello cioè composto da Selecchy intorno al 1740) ne L’inferno di Berardi e Busnengo, mentre il “Sant’Antonio” di Ortona fu utilizzato in diverse riprese dei film di Charlie Chaplin.
Interessante rimarcare che, oltre al celebre “Miserere” di Selecchy, venivano utilizzati diversi altri “Miserere”, tra cui quello attribuito a “Catena”, che non è riconducibile a nessun rito della settimana santa in Abruzzo. Per quanto riguarda il “Sant’Antonio”, oltre a quello popolare ricostruito da Luigi Di Tollo negli anni ’20, ne veniva usato anche uno composto da Tommaso De Francesco (ultimo maestro di cappella della Cattedrale di Ortona) nel 1927.
Inoltre, si può notare la presenza (abbastanza ingenua) di suoni e rumori annotati nelle partiture: questi erano state introdotti nell’immaginario collettivo dal movimento futurista, a cui si era ispirato un complesso musicale chiamato “La Banda Futurista”, in cui gli strumenti più disparati si esibivano (e si esibiscono ancora oggi) a fianco di strumenti più tradizionali. A questo complesso Guido Albanese dedicherà un brano intitolato, appunto, “La Banda Futurista” (anche se sulla paternità di questo brano ci sarebbe da discutere, ma lasciamo la discussione ad altre sedi); sono inoltre presenti, nel repertorio del complesso, due brani di Guido Albanese: “Il tuo nome” e “I bersaglieri”: brano di carattere religioso il primo, mentre non ha bisogno di dettagli il secondo.
Sono poi presenti i brani della grande tradizione operistica italiana, esattamente per lo stesso motivo enunciato in precedenza (“In quelle trine morbide”, “Havanera” da Carmen, “Sempre libera”, “Faust” di Gounod, “Mefistofele” di Boito), e di compositori di cui non abbiamo più memoria, che insinuano nella mente di chi scrive il dubbio di alterazioni dei cognomi dovuto al passaparola ed alla copia (tutte le parti strumentali sono manoscritte).
Non mancano i rapporti con la storia del proprio tempo: tra le numerose marce troviamo il brano “Fuoco d’anima fascista”: questo nome non compare nei repertori bandistici del periodo, e si tratta invece della marcia attualmente nominata “Anima Festosa”, composta da Giovanni Orsomando (papà della celebre annunciatrice televisiva), che però era nata durante il ventennio con il nome “Anima fascista”: particolare molto interessante quest’ultimo, in quanto sulla parte da noi consultata appare il titolo “Fuoco d’anima fascista” (quasi a voler rimarcare il concetto), mentre su una copia più recente, sempre presente in archivio e sicuramente effettuata nel periodo repubblicano, il titolo riportato è semplicemente “Anima” (in cui il concetto risulta un po’ “annebbiato”). Altra chicca, la marcia “Principe Eugenio”, la cui dedica all’epoca era stata ricondotta al principe Eugenio di Savoia Carignano, fratello di Vittorio Emanuele II, generale ed ammiraglio, riorganizzatore dell’esercito sardo ed italiano. In realtà si tratta della marcia “Prinz Eugen”, scritta da Leonhard Heinzmann in onore dell’Eugenio di Savoia che sconfisse i Turchi a Belgrado. E’ interessante notare che su molte parti separate utilizzate dal complesso è presente il timbro dell’Opera Nazionale Balilla: non siamo stati in grado di dare una spiegazione univoca al fenomeno, e lo lasciamo come una curiosità aperta (tra le tante) sull’argomento.
Nel nome della “non specializzazione”, sono poi presenti brani importati dalla frequentazione delle orchestre e orchestrine parrocchiali, quali gli improbabili “Inno a San Donato” e “Inno a San Pietro in Vincoli”, oltre a messe di autori locali (Rocco Teti) e brani più conosciuti associati a cerimonie religiose (Perosi soprattutto, e l’immancabile “Ave Maria” di Schubert). La perla rara, per gli appassionati di questo repertorio, è il brano “I soldati” (l’autore non è restituito in partitura) in cui gli esecutori hanno i momenti cinematografici corrispondenti alla musica riportata in partitura, ma purtroppo, in questo caso, non sappiamo di quale film muto si trattasse.
Insomma, un repertorio ritrovato da far risuonare in qualche proiezione di film muto… ci stiamo lavorando.