Esploratore di note: Dario Marianelli e "Anna Karenina"
Intervista esclusiva al compositore italiano vincitore del premio Oscar.
Dario Marianelli è il compositore italiano che oggi probabilmente meglio rappresenta la nostra tradizione cine-musicale sulle scene internazionali e non a caso è stato più volte da molti definito una sorta di “nuovo Morricone”. L'onorabile (e assai ingombrante) titolo è stato appiccicato a tanti autori diverse volte ma, al di là delle etichette che si possono attaccare, il compositore pisano – vincitore del premio Oscar nel 2007 per la colonna sonora di Espiazione (Atonement) – sembra essere oggi l'unico italiano operante nella musica applicata ad aver trovato una vera dimensione internazionale paragonabile a quella appunto di Morricone, ma anche a quella di Nino Rota e Mario Nascimbene. La vera curiosità casomai è che Marianelli, a differenza dei suoi predecessori, ha coltivato il suo talento ed ha mosso i suoi primi passi molto al di fuori dei confini italici (Marianelli vive e lavora a Londra dal 1990).
Il successo e i premi ottenuti a partire dal 2005 (grazie alle partiture per I fratelli Grimm di Terry Gilliam e soprattutto Orgoglio e pregiudizio, che inaugura la sua collaborazione con il regista Joe Wright e per la quale ottiene la sua prima nomination all’Oscar) stimolano ancora di più la brillante vena creativa del compositore, che firma alcune partiture che si distinguono per la singolare funzione drammaturgica (si veda la fenomenale “destrutturazione” beethoveniana de Il solista, sempre di Joe Wright) e per un lirismo assai poco convenzionale (le melodie liquide e “nebbiose” del recente adattamento di Jane Eyre), molto attento a non cadere mai nella facile trappola del sinfonismo più prevedibile e tantomeno in quella dell'imperante minimalismo diatonico di gran voga nelle colonne sonore odierne.
Marianelli si definisce in primo luogo un partner, un collaboratore e soprattutto un alleato dei realizzatori. E' consapevole del ruolo di servizio della composizione cinematografica, ma non per questo rinuncia al suo essere musicista a 360 gradi come dimostra l'eccezionale prova di Anna Karenina, ancora una volta insieme al regista Joe Wright e per la quale ha ottenuto la sua terza nomination all'Oscar. In questa intervista esclusiva per ColonneSonore.net, Dario ci parla del suo lavoro per questo adattamento del grande classico di Tolstoj, del suo rapporto con il regista Joe Wright e del suo modo di intendere il mestiere di compositore di musica per film.
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ColonneSonore: Anna Karenina è la tua quarta collaborazione con il regista Joe Wright. Sembra che abbiate trovato un'intesa artistica davvero ideale. In quale modo è evoluta la vostra collaborazione in questi anni? E qual è il segreto del vostro successo insieme, secondo te?
Dario Marianelli: Ci siamo trovati bene dall’inizio, forse perché abbiamo scoperto abbastanza velocemente che avevamo, ed abbiamo, l’aspirazione ad elevare la musica da accompagnamento a personaggio: è un cammino che abbiamo esplorato dall’inizio, in tutte le collaborazioni finora.
CS: Anche questa volta avete affrontato un classico della letteratura di ogni tempo. In quale modo tu e Joe avete cominciato a lavorare su Anna Karenina? E quali sono stati gli aspetti (e le sfide) principali da affrontare?
DM: La prima conversazione è sata una breve telefonata: Joe era molto eccitato, e mi disse che aveva avuto l’idea di girare Anna Karenina come se fosse un balletto. Io non capii molto bene cosa Joe avesse in mente in quel momento: l’idea successiva di ambientare il tutto all’interno di un vecchio teatro non si era ancora materializzata. Ma Joe sapeva fin dall’inizio che la coreografia e la musica avrebbero giocato un ruolo essenziale. L’idea di usare coreografia e musica per raccontare la storia ha voluto dire che sia io che il coreografo (Sidi Larbi Cherkaui) abbiamo dovuto iniziare a lavorare quasi prima di tutti gli altri, perché era necessaria la musica come base delle coreografie: gli attori dovevano imparare movimenti abbastanza complicati, e Joe doveva pianificare le riprese.
CS: Come nel caso di Espiazione (Atonement), anche qui la partitura svolge un ruolo assai “obliquo” e trasversale, per certi versi in modo ancora più audace: la musica gioca con destrezza dentro e fuori i confini del testo cinematografico, mescolando musica diegetica e pagine di commento. La musica è parte del mondo in cui vivono i personaggi e allo stesso tempo anche narratore esterno. In che modo tu e Joe avete strutturato questo delicato approccio creativo?
DM: Avevamo già sperimentato in Espiazione questo tipo di approccio, almeno in parte. In un certo senso in Anna Karenina il lavoro è stato piú semplice: non eravamo preoccupati di ritrovarci troppo sopra le righe, anzi, c’era proprio il gusto di scoprire in quanti modi diversi potevamo sovvertire la convenzionale divisione tra colonna sonora e suoni interni al mondo dei personaggi. L’approccio era abbastanza chiaro fin dall’inizio: dovevamo trovare dei temi che potessero funzionare sia come musica interna — per esempio i valzer durante il ballo — ed allo stesso tempo che potessero essere variati e sviluppati in altre situazioni, e potessero quindi prendere la funzione di commento esterno.
CS: Proprio per questo aspetto, immagino che tu abbia dovuto svolgere parte del lavoro già in fase di pre-produzione, dunque ben prima di quanto non si faccia solitamente. Hai usato la sceneggiatura come punto di partenza? Quanti e quali temi principali hai composto in questa fase?
DM: I primissimi pezzi sono stati composti sulla base della sceneggiatura, ed erano i due valzer, una mazurka (che poi e’ stata quasi completamente abbandonata dopo le riprese, eccetto per il finale) vari pezzi per pianoforte che in momenti diversi dovevano essere “suonati” da qualcuno degli attori, varie transizioni e cambi di scena: come quello alla fine dell’Ouverture, oppure dal treno all’ufficio con gli impiegati che timbrano le scartoffie a ritmo di musica, e poi dall’ufficio al ristorante dove Oblonsky incontra Levin; poi vari pezzi dove si vedeva qualche musicista, il trombettista che accoglie Levin e Kitty nella casa in campagna, ed altri che poi sono stati scartati dopo le riprese. I due valzer comunque erano i pezzi piú importanti, e contengono i due o tre temi principali del film.
CS: Come nelle precedenti collaborazioni con Joe, anche in questo caso c'è una particolare sinergia tra musica ed effetti sonori. In più di una occasione i rumori diventano parte del tessuto musicale della partitura, abbattendo quelli che in genere sono confini molto marcati. Avete un modus operandi specifico per questo aspetto? Oppure è qualcosa che nasce spontaneamente nel corso della realizzazione del film?
DM: Abbastanza spontaneamente: idee e occasioni si presentano da sole. Ma è anche vero che le cerchiamo, e in Anna Karenina molte sono state pianificate prima delle riprese.
CS: Spesso il compositore di musica per film vede il proprio lavoro bistrattato in fase di missaggio e di post-produzione, soprattutto a causa di una colonna effetti sonori sempre più densa ed affollata, mentre tu e Joe dimostrate quanto invece si possa rendere collaborativo questo aspetto. Tu credi che il compositore possa o debba essere maggiormente coinvolto anche dopo l'incisione della partitura, a differenza di quanto accade di solito?
DM: La norma è la mancanza di coinvolgimento del compositore allo stadio iniziale della progettazione di un film: la mia esperienza con Joe, che invece mi chiama ancor prima che la sceneggiatura sia completata, è stata un’esperienza molto positiva. Nella post produzione il problema principale è sempre la mancanza di tempo, perché tradizionalmente il compositore viene ingaggiato piuttosto tardi. Cerco di ovviare all’inconveniente, iniziando a lavorare il prima possibile, al più tardi dall’inizio del montaggio. Poi, personalmente credo che una volta che la musica è registrata il compositore fa bene a tirarsi indietro, e lasciare al regista, al direttore del missaggio e, se c’è, al supervisore musicale il compito di arrivare ad un risultato finale bilanciato, tra dialogo, effetti sonori e musica.
CS: L'ambientazione del film e la natura letteraria della storia (la Russia dell'Ottocento) ti hanno in qualche modo “imposto” un trattamento orchestrale molto specifico, legato alla letteratura sinfonica di quel periodo. Allo stesso tempo, la partitura è colma di venature folkloristiche e popolari. In quale modo sei riuscito a fondere questi due aspetti così distinti? Hai fatto studi e ricerche particolari sulla musica russa del periodo?
DM: Una delle cose che ho fatto all’inizio del lavoro è stata di ascoltare molto la musica che è considerata l’inizio della scuola nazionale russa. Glinka e soprattutto Balakirev furono per esempio molto influenti sull’approccio di Mussorgsky o Rimsky Korsakov e della musica della seconda metà dell’ottocento, che a sua volta ha preparato il novecento russo. Mi interessava molto cercare di capire come la scuola nazionale russa fosse stata più o meno “inventata” da musicisti colti, educati nella tradizione occidentale, che avevano deciso di usare la musica popolare come fondamento di una musica “autentica”. In questo modo ho ascoltato anche molte delle canzoni popolari che Balakirev aveva trascritto e usato per vari arrangiamenti. È stata una ricerca un po’ vaga, nel senso che non avevo nessuna intenzione di comporre dei “pastiche” di compositore russi: volevo invece avvicinarmi agli stessi riferimenti che avevano a disposizione i compositore russi della seconda metà dell’ottocento. Naturalmente è un impresa improbabile, perché non è possibile dimenticare il novecento russo — credo che si senta abbastanza nella musica di Anna Karenina.
CS: Oltre a Tchaikovsky e Mussorgsky, mi pare di aver colto nella tua partitura richiami all'ironia beffarda di alcune pagine di Shostakovich, in particolar modo le “Jazz Suites”, soprattutto per la contaminazione tra forme popolari e lessico sinfonico. E' stato un riferimento voluto da parte tua? Oppure è stata la naturale conseguenza di esserti “immerso” nella musica russa?
DM: Un po’ tutti e due: sicuramente le Jazz Suites erano presenti da qualche parte nella mia memoria, ma è anche vero che per un anno sono stato molto immerso in musica russa di ogni tipo, e sono sicuro che le influenze o contaminazioni sono molte.
CS: Hai utilizzato forme legate soprattutto alla danza e al balletto, come mazurka, polka, valzer. Nel corso del film la musica diventa base della coreografia non solo dei movimenti dei personaggi (come nella scena quasi “viscontiana” del ballo), ma anche di quelli della macchina da presa. In che modo avete trovato questa perfetta sincronizzazione?
DM: Joe aveva cominciato a pensare a come girare la scena del ballo molto presto. Insieme abbiamo cercato di immaginare più o meno quanto potessero durare le varie sezioni, e sulla base di quei tempi approssimativi ho scritto i due valzer e la mazurca. A quel punto Larbi ha cominciato a coreografare i pezzi, con un gruppo di ballerini della sua compagnia di danza. Ci siamo visti poi alcune volte a Londra, con Joe, dove abbiamo provato con gli attori e i ballerini, e si sono rivelati necessari diversi cambiamenti. Poi io sono andato ad Anversa, dove Larbi risiede e lavora, e di nuovo abbiamo provato come funzionava la musica con la danza, e come potevamo cambiare e migliorare. Durante questo periodo Joe stava progettando minuziosamente le riprese del ballo, che si sono svolte a Shepperton Studios nell’arco di qualche giorno. Tutte le sezioni della scena sono state girate mentre la musica (registrata temporaneamente con sintetizzatori) suonava da un’enorme altoparlante, e durante le scene con dialogo veniva ascoltata dagli attori e dai ballerini con minuscoli auricolari ben nascosti.
Inevitabilmente poi, durante il montaggio, abbiamo scoperto che la scena era di parecchio più lunga del dovuto, ed è stato necessario molto lavoro per ristrutturare, rimontare e in gran parte anche riscrivere la musica, per arrivare al risultato finale. Insomma, la sincronizzazione c’era dall’inizio, ma c’è voluto parecchio lavoro per mantenerla attraverso i vari stadi della lavorazione.
CS: Nel corso della partitura c'è una melodia folclorica (“Byeroza”) cantata da uno dei personaggi che diventa poi uno temi principali del film. Come hai trovato questo tema?
DM: Nel corso del casting, mentre cercava attori e comparse per il film, Joe si è imbattuto in una giovane musicista/attrice di origine russa, Aruhan Galieva. L’idea di usare il folclore russo come uno dei punti cardinali della bussola musicale esisteva fin dalle primissime conversazioni, e abbiamo chiesto ad Aruhan se poteva registrare per noi una selezione di canzoni popolari, in modo da averle a disposizione durante la pre-produzione. Non ne era chiarissima la destinazione all’interno della storia, in quel momento. In ogni caso, due o tre delle canzoni che Aruhan ha cantato ci hanno molto colpito, ed in particolare “Byeroza”, che suonava quasi “familiare” immediatamente. Mi sono poi ricordato che Byeroza aveva colpito anche Tchaikovsky, il quale l’aveva utilizzata nella quarta sinfonia. Mi sembrava un buon auspicio, e ho cominciato ad usarla all’interno dei pezzi che stavo scrivendo (in modo piuttosto diverso da Tchaikovsky).
CS: A proposito dei temi della partitura, ci puoi raccontare la loro genesi e il modo in cui li hai variati e trasformati nel corso del film? Ho notato un lavoro particolarmente accurato e preciso, quasi concertistico, in tal senso.
DM: Forse più che in ogni altro film al quale ho lavorato, in Anna Karenina sentivo molto la necessità di costruire completamente il mondo sonoro partendo da pochi elementi. Mi sembrava importante che nel claustrofobico mondo immaginato da Joe all’interno del teatro i vari temi dovessero convivere a stretto contatto con i personaggi, o diventare anch’essi invisibili (ma udibili) personaggi della storia. Come dicevo, il primo dei temi a comparire è stato quello del primo valzer: lo ho pensato come un tema che potesse, all’occorrenza, diventare piuttosto tragico, o perlomeno doloroso. Come spesso avviene nella mia musica il “tema” è formato in realtà da due melodie accoppiate (un tema e un controtema, se si vuole), e nel resto della partitura sia tema che controtema appaiono più volte, sia da soli che insieme — oppure da soli ma insieme a nuovi controtemi, i quali a loro volta funzionano come temi autonomi in altre occasioni. Forse è un lavoro “concertistico”, ma per me ha più a che vedere con i fili che si intrecciano all’interno della storia.
CS: Mi è molto piaciuto lo sviluppo delle tessiture e il modo in cui sei riuscito a dare densità a idee musicali apparentemente semplici. Il tema di Anna è emblematico in tal senso, soprattutto nel modo in cui si sviluppa dal suo inciso iniziale per poi diventare un avviluppante melodia. In quale modo trovi i tuoi temi? E quanto è importante per te riuscire a dare una identità melodica precisa ai personaggi?
DM: Li trovo al pianoforte, o alla mia tastiera comunque con un suono di pianoforte, generalmente. In realtà non mi interessa molto l’identità melodica dei personaggi, la trovo ridondante, dal momento che i personaggi l’identità ce l’hanno già. Preferisco pensare ai temi del film come altri, invisibili personaggi, magari l’incarnazione sonora di idee astratte, o motivazioni, o aspirazioni non realizzate, desideri non detti, destini non ancora compiuti. E anche altro: un’occhio esterno che guarda, empatizza ma non interviene, come il coro nella tragedia greca.
CS: Quando scrivi un tema, lo senti già nella tua testa nella sua veste orchestrale?
DM: Non sempre: a volte un particolare suono (orchestrale o no) è veramente la prima cosa, l’idea stessa, ma spesso — e soprattutto con Joe— la musica inizia semplicemente con il pianoforte, e viene orchestrata successivamente.
CS: Il film in costume e/o di ambientazione storica ha sempre consentito al compositore un trattamento musicale particolarmente appagante dal punto di vista orchestrale e sinfonico, come dimostra la storia della musica per film. Credi che il genere di un film sia anche oggi, nell'era post-moderna, un aspetto capace di influenzare, nel bene e nel male, la sua colonna sonora?
DM: Sicuramente, ma credo che sia una questione di definizione, e non mancano le eccezioni per fortuna. Un film è di ambientazione storica se usa certi costumi o un certo linguaggio: ma si può rifare Shakespeare in chiave moderna, ovviamente, e a quel punto diventa meno chiaro se si è fatto un film moderno o storico. La musica è per me uno dei personaggi, e il compositore a volte indossa un costume come gli altri attori. Sarebbe un errore però, credo, pensare che il costume coincida con il personaggio: anche indossando un costume l’attore deve pur sempre pescare in sé stesso per trovare qualcosa di vero, che abbia la possibilità di risuonare con il pubblico.
CS: Ci puoi raccontare la tua collaborazione con Dustin Hoffman nelle insolite vesti di regista per il film Quartet? Com'è stato lavorare con lui?
DM: Molto divertente. Dustin Hoffman è un uomo pieno di esperienza e di aneddoti molto buffi, e li sa raccontare. Il lavoro per Quartet è stato piuttosto semplice: era un film pieno di musica classica, e soprattutto di Verdi: in particolare il Rigoletto ha una parte importante nella vicenda. Ho proposto a Dustin di derivare tutta la colonna sonora (non molta: più che altro pezzi di collegamento fra una scena e un’altra, e un leggero commento alla parte più malinconica della storia) dalle melodie del Rigoletto. L’idea è piaciuta, e credo che il risultato finale sia una partitura poco intrusiva, che sostiene gentilmente e da dietro le quinte alcuni dei momenti contemplativi senza portare riferimenti completamente incongrui all’interno del tutto.
CS: Anche quest'anno eri candidato all'Oscar in una cinquina davvero prestigiosa, in compagnia di talenti come Alexandre Desplat, Mychael Danna, Thomas Newman e John Williams. Quanto è importante per il compositore vedere il proprio lavoro apprezzato e riconosciuto dai propri colleghi?
DM: Dà soddisfazione, sicuramente. Nel caso degli Oscar, in particolare, la candidatura arriva proprio dai colleghi compositori, la qual cosa fa molto piacere.
CS: Consentimi una domanda leggermente campanilistica: quanto il tuo essere italiano influisce sul modo di scrivere musica e sul tuo lavoro di compositore di musica per film?
DM: A dire il vero non lo so. Sono abbastanza conscio della differenza che c’è fra un modo un po’ “americano” di scrivere musica per film, e un modo più “europeo”. Ma sono discorsi un vaghi: in pratica credo che la formazione degli individui si mescoli col gusto personale in maniera sempre diversa, come dimostra l’enorme varietà di approcci e talenti presenti nella musica da film in questo momento.
CS: Molti dei nostri lettori sono aspiranti compositori che sognano un giorno di poter raggiungere una platea internazionale, come è accaduto a te dopo tanti anni di studio e gavetta. Hai un consiglio da dare a chi vuole fare questo mestiere?
DM: Essere molto fortunati, prima di tutto. Comunque direi che forse una delle cose più importanti è il capire che un film è un lavoro di gruppo, dove si scopre un po’ la vicenda come se si fosse in una terra sconosciuta, una spedizione insieme a un team di esploratori che si aiutano a vicenda. Credo che sia la cosa più difficile per tanti compositori, che passano anni a sviluppare il mestiere da soli, molto spesso facendo spedizioni solo all’interno della propria mente, in mondi interiori dove le parole e la comunicazione con altri scarseggiano.
CS: Fino ad oggi il tuo nome non è ancora apparso in un film di produzione italiana. C'è un regista o un autore italiano con cui ti piacerebbe lavorare?
DM: Credo che se mi telefonasse Marco Tullio Giordana direi di sì.
CS: Ultima domanda: Cos'è la musica per film secondo Dario Marianelli?
DM: Non penso molto alla musica per film come una cosa separata dalla musica in generale. Penso a come la musica si è combinata, nei secoli, con teatro, danza, poesia, religione e rito, cerimonia, circo, oppure come ha raggiunto in certi momenti un’autonomia propria, e credo che le distinzioni siano piuttosto arbitrarie.
Si ringrazia Chantelle Woodnut (Air-Edel Management) per la collaborazione. Un sentito ringraziamento a Dario Marianelli per sua cortesia e disponibilità.