24 Nov2014
L’epifania del suono: intervista al pianista Simone Pedroni
L’epifania del suono: intervista al pianista Simone Pedroni
In quanto appassionati, siamo sempre stati molto attenti e sensibili al modo in cui la musica applicata viene presentata in concerto. Nel nostro paese il repertorio cinematografico comincia a diffondersi con maggiore frequenza nei programmi delle principali orchestre sinfoniche, ma anche in concerti da camera e recital di solisti. E’ quest’ultimo il caso di Simone Pedroni. Il pianista novarese – vincitore nel 1993 della medaglia d’oro al prestigioso concorso “Van Cliburn” negli Stati Uniti – coltiva da tempi non sospetti una attenzione particolare nei riguardi delle partiture scritte per il grande schermo, in particolare quelle del compositore americano John Williams. Nei suoi recital, Pedroni propone infatti pagine pianistiche tratte da alcune celebri musiche per film di Williams (ma anche di Nino Rota), molto spesso trascritte ed arrangiate da lui stesso, accanto a pezzi di Debussy, Liszt e Chopin.
Il pianista è infatti un grande sostenitore dell’idea che la migliore musica per film è degna di stare accanto ai grandi capolavori della musica classica. La caratura internazionale della sua carriera (ha suonato come solista insieme a orchestre come la Royal Philharmonic, la Dallas Symphony Orchestra, la Filarmonica di Mosca, l’Orchestra Nazionale del Belgio, nonché con tutte le principali compagini nazionali, da Santa Cecilia alla Verdi) aiuta notevolmente l’espansione e la rivalutazione critica di un repertorio che finalmente comincia ad essere considerato con la giusta dignità in ambito concertistico. Pedroni ha inoltre contribuito alla diffusione della musica da concerto scritta da compositori cinematografici italiani: ha infatti inciso il Concerto “Piccolo mondo antico” di Nino Rota per Decca ed ha eseguito la prima mondiale del Concerto per Pianoforte e Orchestra di Luis Bacalov sotto la direzione dell’autore, in entrambi i casi con l’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”.
Abbiamo incontrato Simone dopo il suo recital tenutosi a Milano lo scorso 12 Ottobre, dove ha eseguito suites per pianoforte tratte dalle colonne sonore di Lincoln, Harry Potter e Storia di una ladra di libri (The Book Thief), per parlare insieme a lui del suo rapporto con la musica e della sua relazione con il repertorio cinematografico. In attesa del grande concerto sinfonico che Pedroni dirigerà il prossimo Settembre all'Auditorium di Milano insieme all'Orchestra Verdi, dedicato interamente alle musiche della Saga di Star Wars...
ColonneSonore.net: Raccontaci il tuo incontro con la musica. A che età è avvenuto?
Simone Pedroni: Ho cominciato a suonare il pianoforte a 9 anni, quindi relativamente tardi. Feci i primi studi a Novara e in seguito mi diplomai al Conservatorio di Milano. Successivamente ho fatto il perfezionamento all’Accademia di Imola e dopo di esso una serie di concorsi, fino ad arrivare al 1993, quando vinsi la Medaglia d’Oro al concorso “Van Cliburn” negli Stati Uniti. Parallelamente alla mia carriera di pianista ho anche coltivato un amore per la musica da film. Ho sempre avuto due passioni nello specifico: una è l’organo, l’altra la musica da film. L’organo mi ha sempre affascinato per il suono. Sono sempre stato affascinato dai suoni come colore. A volte ascoltando dei pezzi “vedo” dei colori: sono molto sensibile all'aspetto coloristico del suono e cerco di valorizzare le sovrapposizioni timbriche anche quando eseguo al pianoforte ad esempio la musica di Debussy. Ma la stessa cosa succede anche quando suono Rachmaninov. Sono due compositori più vicini di quanto si pensi. Nel 1897 Rachmaninov compone i “Momenti musicali op.16”, i quali con un altro linguaggio potrebbero essere dei pezzi di Debussy, che in quegli anni non aveva ancora scritto nulla di così interessante. I primi pezzi impressionistici di Debussy sono le “Estampes”, che risalgono al 1903. Nel primo dei “Momenti musicali” di Rachmaninov, durante la riesposizione, il tema scompare e sentiamo solo un fregio di note rapide: il tema di fatto non c'è, ma lo straordinario illusionismo strumentale di Rachmaninov ce lo fa comunque percepire.
CS: Raccontaci ora come è nata la tua passione specificamente per la musica da film.
SP: Beh, le radici sono antiche. Potrei dire che risalgono all’infanzia, quando andai a vedere al cinema Il ritorno dello Jedi. Lo vidi sei volte di fila (naturalmente in due giorni)! Era ancora l’epoca in cui si poteva rimanere in sala a rivedere il film più volte di seguito. Rimasi letteralmente inchiodato alla poltrona, ma ero colpito soprattutto dalla musica. Ero all’inizio del mio percorso di musicista e per la prima volta mi resi conto di quanto grande ed importante fosse il lavoro dell’orchestra sinfonica dietro le immagini di un film. Come dicevo prima, insieme al pianoforte ho sempre coltivato la passione per la musica da film, in particolare per John Williams. Ricordo che andavo alla ricerca di LP e CD e cercavo di recuperare tutto il possibile, anche pezzi rari, come la colonna sonora di Checkmate, o ristampe introvabili di vecchi album del passato. La collezione dei dischi di Williams è stata fondamentale per me: mi sedevo in poltrona o steso sul pavimento e ascoltavo la musica. I film per cui era scritta mi interessavano relativamente. Riuscivo a cogliere la bellezza della sua musica in sé, per la sintassi, per lo stile originale, per l’uso di un linguaggio tradizionale ma sempre espresso in modo nuovo e totalmente personale. Anche nei suoi lavori meno noti, si sente una voce distinta e riconoscibile.
Quando vinsi il Concorso Van Cliburn era il 1993, l’anno in cui uscì Schindler’s List. Avevo fatto una trascrizione del tema principale di quella colonna sonora basandomi sulla versione che c’è nel disco e decisi di eseguirla come bis per i concerti che feci negli Stati Uniti e in Europa (ricordo che lo suonai sia a Parigi che a Milano). Tenni un recital a Boston, nella bellissima sala del conservatorio accanto alla Symphony Hall con in programma musiche di Bach, Haydn e Rachmaninov e poi, come bis, feci il tema di Schindler’s List. Uscirono alcune buone recensioni critiche su diversi giornali, ma una mi colpì in particolare: nella chiusura dell’articolo il recensore scrisse “La musica di Williams è bella ma il suo posto non è la sala da concerto”. Mi piacerebbe andare oggi da quel critico e vedere se avrebbe ancora il coraggio di scrivere la stessa cosa, quando le grandi orchestre in tutto il mondo suonano brani di Williams regolarmente.
CS: Secondo te da dove nasce questa difficoltà ad accettare questo tipo di repertori in sala da concerto, che forse ancora permane in alcuni ambienti?
SP: In alcuni ambienti permane, è vero, specialmente in Italia, anche se non nelle grandi orchestre, ad esempio, l'orchestra Verdi ha sempre inserito nelle proprie stagioni programmi di musica per film: ricordo che eseguirono il tema di Star Wars già nel 1994. Io penso che sia soltanto un pregiudizio, come afferma anche Emilio Audissino nel suo libro su Williams, pregiudizio critico che ha origine nella diatriba ottocentesca tra musica pura e musica a programma e che nella cultura odierna si trasferisce nell'incapacità di apprezzare tutto ciò che non nasce come musica da concerto, senza stimarne il valore intrinseco. Questo è accaduto ovunque, anche negli Stati Uniti. Un analogo pregiudizio critico colpi anche la musica di Puccini: Debussy all'epoca la definì “musicaccia”. Poi arrivarono gli studi critici seri su Puccini e la riscoperta della sua musica, ma in realtà il pubblico l’aveva sempre amato. Lo stesso discorso potremmo farlo per Rachmaninov. In un articolo che ho letto di recente a tal proposito era scritto: “Sono 100 anni che Rachmaninov ha successo. Come critici dobbiamo chiederci perché la sua musica riscuota questo grande apprezzamento”. La fortuna critica arriva sempre dopo la fortuna reale, ovvero quella tributata dal pubblico. E oggi la stessa cosa sta accadendo con Williams. Io che sono nel campo della musica posso testimoniarlo di persona. Ho aspettato questo momento per molto tempo e finalmente è arrivato, tanto che quest’anno ho ideato anche un festival estivo ad Alagna Valsesia intitolato “Da Bach a Williams”. In questo particolare contesto estivo possiamo trovare sia gli appassionati di musica classica che vengono a sentire Brahms, ma anche i giovani e i bambini che vengono per ascoltare le musiche di Harry Potter. E dunque se i melomani ascoltano così anche Williams (e se lo godono), i giovani e i bambini possono essere coinvolti in un vero e proprio concerto dove si suonano anche brani di Bach e Mussorgsky.
CS: Quando suoni un brano di Williams, che cosa cerchi di tirare fuori dalla musica? Qual è il lavoro di preparazione che fai?
SP: Il processo di interpretazione non nasce a tavolino, ma studiando la partitura. Questo vale per tutta la musica, che sia Williams, Ravel o Beethoven. Bisogna capire che cosa succede nella partitura: cosa la fa funzionare, qual è il gioco timbrico dell'orchestrazione, il contrappunto, e come il tutto possa poi trasformarsi in coinvolgente evento sonoro. Questo ė quello che io definisco "Epifania del suono", quando la musica diventa un fatto reale, un'esperienza autentica. La musica non esiste senza qualcuno che la suoni e questo è ciò che la rende diversa da tutte le altre arti. Un brano, che sia un Notturno di Chopin o il tema di Anakin, esiste solo se c’è qualcuno che mette le mani su uno strumento. E ogni volta suonerà in modo diverso, anche se le note sono le stesse. Dunque io mi pongo di fronte a una partitura di Williams - che sia la suite di Lincoln, The Book Thief o Harry Potter - con quella stessa attitudine: cerco di vedere quello che c’è dentro, cercando di capire e poi comincio a provare. Il pianista ha il vantaggio di avere sempre la tastiera sotto le mani e dunque provo subito delle soluzioni interpretative e timbriche fino a che la musica diventa parte di me, ed è solo così che la posso restituire a chi ascolta. Nella musica di Williams, per quanto mi riguarda, la natura cinematografica passa in secondo piano e sono soltanto i suoni a parlare, in un linguaggio musicale compiuto, bello, che dà soddisfazione interiore sia a chi suona che a chi ascolta. Bisogna amare ciò che si suona. A volte può succedere che ci si senta in dovere di difendere ciò che si ama, ma la verità è che non c’è bisogno di difendere nessuno, e Williams non ne ha alcun bisogno. Certo egli è in una posizione privilegiata per quello che riguarda la sua carriera e il successo che ha ottenuto. Ma forse è proprio per questo che sembra non preoccuparsi più di tanto di come vada interpretata la sua musica.
CS: Quando lavori sulle trascrizioni per pianoforte di brani orchestrali, che tipo di percorso segui?
SP: Innanzitutto scelgo dei pezzi che immagino possano suonare bene al pianoforte. Una parte del lavoro è trovare dei suoni sul pianoforte che possano restituire lo stesso spessore emotivo della versione originale. Ora sto cercando di analizzare razionalmente il processo, ma in realtà è un fatto istintivo. Nel caso di “The Blue and Grey” nella suite di Lincoln, nella versione originale c'ė un ostinato ritmico di una stessa nota eseguita dagli archi, ma lo stesso passaggio suona benissimo anche al pianoforte. La strumentazione ricorda un po’ “Le Gibet” di Ravel, con una singola nota ripetuta, attorno a cui succede di tutto. L’ispirazione forse nasce da lì, ma in realtà non è una cosa studiata scientemente, è tutto molto spontaneo. È da molto che lavoro su queste trascrizioni, saranno 7-8 anni e mai avrei pensato di poter suonare un intero concerto con questo genere di repertorio. Tuttavia bisogna fare attenzione, poiché non tutto si può trascrivere con efficacia. Il tema di Star Wars, ad esempio, sul pianoforte non suona bene. Non so dirvi esattamente il perché, ma si sente che manca qualcosa. Il tema di Harry Potter invece, nonostante la densità dell’orchestrazione originale, funziona benissimo. Suonando in pubblico bisogna capire cosa è in grado di funzionare a livello concertistico. Alcuni pezzi sono troppo legati all’immagine sonora originale. Ad esempio, la riduzione per due pianoforti della “Sagra della primavera” di Stravinsky forse è più bella per chi la suona che per chi la ascolta...
CS: Quali sono le partiture di Williams che più ti affascinano?
SP: Beh in generale ogni partitura ha caratteristiche proprie che la rendono unica e non è possibile stilare una graduatoria tra opere come E.T. o Le streghe di Eastwick!
Ad esempio, trovo che Presunto innocente sia una colonna sonora sottovalutata: in essa ci sono delle pagine molto intense dove viene fuori la prorompente vena drammaturgia di Williams, come nella scena della confessione della moglie del protagonista. Un’altra grande partitura è L’impero del sole. Qui possiamo vedere la capacità di Williams (e anche di Spielberg) di evocare il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza e rispecchiare in modo eloquente quello che succede in quella stagione della vita, ciò che passa nel cuore di chiunque è stato bambino. Williams riesce sempre a descrivere bene l’innocenza, la semplicità interiore del protagonista, probabilmente perché lui stesso ha conservato ciò che si definisce "infanzia spirituale".
CS: Secondo te quale posto occupa la musica per film all’interno della storia della musica del Novecento?
SP: E’ una forma d’arte che ha tutta la dignità per poter stare anche nella sala da concerto. Anzi, eseguirla dal vivo aiuta a legittimarla ancora di più, poiché molto spesso all’interno del film si perdono una miriade di dettagli della scrittura sinfonica. Guardando le partiture di Star Wars ci si accorge di quanto siano ricche e complesse ad ogni livello, tematico, coloristico ed esecutivo. E questo nel missaggio del film si perde spesso in gran parte. Insomma, la grande musica per film ha tutto il diritto di avere un posto nella sala da concerto, come nel caso di Williams, ma lo stesso discorso vale per Herrmann, Korngold, Waxman, Steiner, Rozsa e molti altri.
CS: Che cosa ci puoi anticipare a proposito del concerto con musiche dai film della Saga di Star Wars che dirigerai l’anno prossimo con l’Orchestra Verdi? Come è nata l’idea?
SP: Ho voluto strutturarlo perché fosse davvero come una “opera senza canto”, presentando quello che ė davvero l'anima di questi film, cioè i temi e i leitmotiv legati alle situazioni e ai personaggi. Qui davvero possiamo toccare con mano la realizzazione delle intenzioni intime di Williams, quando ebbe a dichiarare che il cinema ha nel '900 un ruolo culturale analogo a quello avuto nel '800 dal melodramma, e come egli lavori, fatte le debite proporzioni, di conseguenza. Nella prima parte apriremo con il tema dei titoli di testa, ma poi ci sarà come un flashback con i brani degli episodi I, II e III, quando Anakin è ancora un bambino per poi arrivare alla sua storia d’amore e al passaggio al Lato Oscuro. Eseguiremo anche i tre brani corali previsti, tra cui “Duel of the Fates”. Nella seconda parte invece presenteremo i brani degli Episodi IV, V e VI. Il tutto è quindi concepito come un'opera in due atti.
Star Wars evoca, in fondo, un mondo parallelo, un mondo diversissimo visivamente ma emotivamente simile al nostro ed ė singolare vedere nelle partiture l’evoluzione di Williams dalla prima trilogia alla seconda. C’è una conoscenza ancor più profonda del suono e del colore, ma soprattutto della prospettiva psicologia della storia che sta raccontando. Geniale, ad esempio, è come ha trasformato il tema di Darth Vader (“Imperial March”) nel tema del se stesso innocente quando era ancora Anakin. E dunque questo concerto l’ho pensato proprio così: presentare la musica dei sei film per mettere in risalto il modo in cui essa percorra l'arco narrativo della caduta e della redenzione di Anakin Skywalker.
Un altro aspetto importante è che chi suona in orchestra ama molto eseguire Williams, non solo perché è musica scritta bene ma anche perché, in fondo, tutti gli esecutori sono stati per due generazioni segnati del fenomeno Star Wars e dall'impatto emotivo che questa musica ha suscitato e continua a suscitare.
CS: Quando verrà eseguito?
SP: Lo presenteremo come concerto in stagione giovedì 3 settembre e domenica 6 settembre 2015 all’Auditorium di Milano.
CS: Anche se manca ancora un po’, possiamo già dire che non vediamo l’ora!
Un sentito ringraziamento a Simone Pedroni per la sua infinita cortesia. Il sito ufficiale del pianista: www.simonepedroni.com
In quanto appassionati, siamo sempre stati molto attenti e sensibili al modo in cui la musica applicata viene presentata in concerto. Nel nostro paese il repertorio cinematografico comincia a diffondersi con maggiore frequenza nei programmi delle principali orchestre sinfoniche, ma anche in concerti da camera e recital di solisti. E’ quest’ultimo il caso di Simone Pedroni. Il pianista novarese – vincitore nel 1993 della medaglia d’oro al prestigioso concorso “Van Cliburn” negli Stati Uniti – coltiva da tempi non sospetti una attenzione particolare nei riguardi delle partiture scritte per il grande schermo, in particolare quelle del compositore americano John Williams. Nei suoi recital, Pedroni propone infatti pagine pianistiche tratte da alcune celebri musiche per film di Williams (ma anche di Nino Rota), molto spesso trascritte ed arrangiate da lui stesso, accanto a pezzi di Debussy, Liszt e Chopin.
Il pianista è infatti un grande sostenitore dell’idea che la migliore musica per film è degna di stare accanto ai grandi capolavori della musica classica. La caratura internazionale della sua carriera (ha suonato come solista insieme a orchestre come la Royal Philharmonic, la Dallas Symphony Orchestra, la Filarmonica di Mosca, l’Orchestra Nazionale del Belgio, nonché con tutte le principali compagini nazionali, da Santa Cecilia alla Verdi) aiuta notevolmente l’espansione e la rivalutazione critica di un repertorio che finalmente comincia ad essere considerato con la giusta dignità in ambito concertistico. Pedroni ha inoltre contribuito alla diffusione della musica da concerto scritta da compositori cinematografici italiani: ha infatti inciso il Concerto “Piccolo mondo antico” di Nino Rota per Decca ed ha eseguito la prima mondiale del Concerto per Pianoforte e Orchestra di Luis Bacalov sotto la direzione dell’autore, in entrambi i casi con l’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”.
Abbiamo incontrato Simone dopo il suo recital tenutosi a Milano lo scorso 12 Ottobre, dove ha eseguito suites per pianoforte tratte dalle colonne sonore di Lincoln, Harry Potter e Storia di una ladra di libri (The Book Thief), per parlare insieme a lui del suo rapporto con la musica e della sua relazione con il repertorio cinematografico. In attesa del grande concerto sinfonico che Pedroni dirigerà il prossimo Settembre all'Auditorium di Milano insieme all'Orchestra Verdi, dedicato interamente alle musiche della Saga di Star Wars...
ColonneSonore.net: Raccontaci il tuo incontro con la musica. A che età è avvenuto?
Simone Pedroni: Ho cominciato a suonare il pianoforte a 9 anni, quindi relativamente tardi. Feci i primi studi a Novara e in seguito mi diplomai al Conservatorio di Milano. Successivamente ho fatto il perfezionamento all’Accademia di Imola e dopo di esso una serie di concorsi, fino ad arrivare al 1993, quando vinsi la Medaglia d’Oro al concorso “Van Cliburn” negli Stati Uniti. Parallelamente alla mia carriera di pianista ho anche coltivato un amore per la musica da film. Ho sempre avuto due passioni nello specifico: una è l’organo, l’altra la musica da film. L’organo mi ha sempre affascinato per il suono. Sono sempre stato affascinato dai suoni come colore. A volte ascoltando dei pezzi “vedo” dei colori: sono molto sensibile all'aspetto coloristico del suono e cerco di valorizzare le sovrapposizioni timbriche anche quando eseguo al pianoforte ad esempio la musica di Debussy. Ma la stessa cosa succede anche quando suono Rachmaninov. Sono due compositori più vicini di quanto si pensi. Nel 1897 Rachmaninov compone i “Momenti musicali op.16”, i quali con un altro linguaggio potrebbero essere dei pezzi di Debussy, che in quegli anni non aveva ancora scritto nulla di così interessante. I primi pezzi impressionistici di Debussy sono le “Estampes”, che risalgono al 1903. Nel primo dei “Momenti musicali” di Rachmaninov, durante la riesposizione, il tema scompare e sentiamo solo un fregio di note rapide: il tema di fatto non c'è, ma lo straordinario illusionismo strumentale di Rachmaninov ce lo fa comunque percepire.
CS: Raccontaci ora come è nata la tua passione specificamente per la musica da film.
SP: Beh, le radici sono antiche. Potrei dire che risalgono all’infanzia, quando andai a vedere al cinema Il ritorno dello Jedi. Lo vidi sei volte di fila (naturalmente in due giorni)! Era ancora l’epoca in cui si poteva rimanere in sala a rivedere il film più volte di seguito. Rimasi letteralmente inchiodato alla poltrona, ma ero colpito soprattutto dalla musica. Ero all’inizio del mio percorso di musicista e per la prima volta mi resi conto di quanto grande ed importante fosse il lavoro dell’orchestra sinfonica dietro le immagini di un film. Come dicevo prima, insieme al pianoforte ho sempre coltivato la passione per la musica da film, in particolare per John Williams. Ricordo che andavo alla ricerca di LP e CD e cercavo di recuperare tutto il possibile, anche pezzi rari, come la colonna sonora di Checkmate, o ristampe introvabili di vecchi album del passato. La collezione dei dischi di Williams è stata fondamentale per me: mi sedevo in poltrona o steso sul pavimento e ascoltavo la musica. I film per cui era scritta mi interessavano relativamente. Riuscivo a cogliere la bellezza della sua musica in sé, per la sintassi, per lo stile originale, per l’uso di un linguaggio tradizionale ma sempre espresso in modo nuovo e totalmente personale. Anche nei suoi lavori meno noti, si sente una voce distinta e riconoscibile.
Quando vinsi il Concorso Van Cliburn era il 1993, l’anno in cui uscì Schindler’s List. Avevo fatto una trascrizione del tema principale di quella colonna sonora basandomi sulla versione che c’è nel disco e decisi di eseguirla come bis per i concerti che feci negli Stati Uniti e in Europa (ricordo che lo suonai sia a Parigi che a Milano). Tenni un recital a Boston, nella bellissima sala del conservatorio accanto alla Symphony Hall con in programma musiche di Bach, Haydn e Rachmaninov e poi, come bis, feci il tema di Schindler’s List. Uscirono alcune buone recensioni critiche su diversi giornali, ma una mi colpì in particolare: nella chiusura dell’articolo il recensore scrisse “La musica di Williams è bella ma il suo posto non è la sala da concerto”. Mi piacerebbe andare oggi da quel critico e vedere se avrebbe ancora il coraggio di scrivere la stessa cosa, quando le grandi orchestre in tutto il mondo suonano brani di Williams regolarmente.
CS: Secondo te da dove nasce questa difficoltà ad accettare questo tipo di repertori in sala da concerto, che forse ancora permane in alcuni ambienti?
SP: In alcuni ambienti permane, è vero, specialmente in Italia, anche se non nelle grandi orchestre, ad esempio, l'orchestra Verdi ha sempre inserito nelle proprie stagioni programmi di musica per film: ricordo che eseguirono il tema di Star Wars già nel 1994. Io penso che sia soltanto un pregiudizio, come afferma anche Emilio Audissino nel suo libro su Williams, pregiudizio critico che ha origine nella diatriba ottocentesca tra musica pura e musica a programma e che nella cultura odierna si trasferisce nell'incapacità di apprezzare tutto ciò che non nasce come musica da concerto, senza stimarne il valore intrinseco. Questo è accaduto ovunque, anche negli Stati Uniti. Un analogo pregiudizio critico colpi anche la musica di Puccini: Debussy all'epoca la definì “musicaccia”. Poi arrivarono gli studi critici seri su Puccini e la riscoperta della sua musica, ma in realtà il pubblico l’aveva sempre amato. Lo stesso discorso potremmo farlo per Rachmaninov. In un articolo che ho letto di recente a tal proposito era scritto: “Sono 100 anni che Rachmaninov ha successo. Come critici dobbiamo chiederci perché la sua musica riscuota questo grande apprezzamento”. La fortuna critica arriva sempre dopo la fortuna reale, ovvero quella tributata dal pubblico. E oggi la stessa cosa sta accadendo con Williams. Io che sono nel campo della musica posso testimoniarlo di persona. Ho aspettato questo momento per molto tempo e finalmente è arrivato, tanto che quest’anno ho ideato anche un festival estivo ad Alagna Valsesia intitolato “Da Bach a Williams”. In questo particolare contesto estivo possiamo trovare sia gli appassionati di musica classica che vengono a sentire Brahms, ma anche i giovani e i bambini che vengono per ascoltare le musiche di Harry Potter. E dunque se i melomani ascoltano così anche Williams (e se lo godono), i giovani e i bambini possono essere coinvolti in un vero e proprio concerto dove si suonano anche brani di Bach e Mussorgsky.
CS: Quando suoni un brano di Williams, che cosa cerchi di tirare fuori dalla musica? Qual è il lavoro di preparazione che fai?
SP: Il processo di interpretazione non nasce a tavolino, ma studiando la partitura. Questo vale per tutta la musica, che sia Williams, Ravel o Beethoven. Bisogna capire che cosa succede nella partitura: cosa la fa funzionare, qual è il gioco timbrico dell'orchestrazione, il contrappunto, e come il tutto possa poi trasformarsi in coinvolgente evento sonoro. Questo ė quello che io definisco "Epifania del suono", quando la musica diventa un fatto reale, un'esperienza autentica. La musica non esiste senza qualcuno che la suoni e questo è ciò che la rende diversa da tutte le altre arti. Un brano, che sia un Notturno di Chopin o il tema di Anakin, esiste solo se c’è qualcuno che mette le mani su uno strumento. E ogni volta suonerà in modo diverso, anche se le note sono le stesse. Dunque io mi pongo di fronte a una partitura di Williams - che sia la suite di Lincoln, The Book Thief o Harry Potter - con quella stessa attitudine: cerco di vedere quello che c’è dentro, cercando di capire e poi comincio a provare. Il pianista ha il vantaggio di avere sempre la tastiera sotto le mani e dunque provo subito delle soluzioni interpretative e timbriche fino a che la musica diventa parte di me, ed è solo così che la posso restituire a chi ascolta. Nella musica di Williams, per quanto mi riguarda, la natura cinematografica passa in secondo piano e sono soltanto i suoni a parlare, in un linguaggio musicale compiuto, bello, che dà soddisfazione interiore sia a chi suona che a chi ascolta. Bisogna amare ciò che si suona. A volte può succedere che ci si senta in dovere di difendere ciò che si ama, ma la verità è che non c’è bisogno di difendere nessuno, e Williams non ne ha alcun bisogno. Certo egli è in una posizione privilegiata per quello che riguarda la sua carriera e il successo che ha ottenuto. Ma forse è proprio per questo che sembra non preoccuparsi più di tanto di come vada interpretata la sua musica.
CS: Quando lavori sulle trascrizioni per pianoforte di brani orchestrali, che tipo di percorso segui?
SP: Innanzitutto scelgo dei pezzi che immagino possano suonare bene al pianoforte. Una parte del lavoro è trovare dei suoni sul pianoforte che possano restituire lo stesso spessore emotivo della versione originale. Ora sto cercando di analizzare razionalmente il processo, ma in realtà è un fatto istintivo. Nel caso di “The Blue and Grey” nella suite di Lincoln, nella versione originale c'ė un ostinato ritmico di una stessa nota eseguita dagli archi, ma lo stesso passaggio suona benissimo anche al pianoforte. La strumentazione ricorda un po’ “Le Gibet” di Ravel, con una singola nota ripetuta, attorno a cui succede di tutto. L’ispirazione forse nasce da lì, ma in realtà non è una cosa studiata scientemente, è tutto molto spontaneo. È da molto che lavoro su queste trascrizioni, saranno 7-8 anni e mai avrei pensato di poter suonare un intero concerto con questo genere di repertorio. Tuttavia bisogna fare attenzione, poiché non tutto si può trascrivere con efficacia. Il tema di Star Wars, ad esempio, sul pianoforte non suona bene. Non so dirvi esattamente il perché, ma si sente che manca qualcosa. Il tema di Harry Potter invece, nonostante la densità dell’orchestrazione originale, funziona benissimo. Suonando in pubblico bisogna capire cosa è in grado di funzionare a livello concertistico. Alcuni pezzi sono troppo legati all’immagine sonora originale. Ad esempio, la riduzione per due pianoforti della “Sagra della primavera” di Stravinsky forse è più bella per chi la suona che per chi la ascolta...
CS: Quali sono le partiture di Williams che più ti affascinano?
SP: Beh in generale ogni partitura ha caratteristiche proprie che la rendono unica e non è possibile stilare una graduatoria tra opere come E.T. o Le streghe di Eastwick!
Ad esempio, trovo che Presunto innocente sia una colonna sonora sottovalutata: in essa ci sono delle pagine molto intense dove viene fuori la prorompente vena drammaturgia di Williams, come nella scena della confessione della moglie del protagonista. Un’altra grande partitura è L’impero del sole. Qui possiamo vedere la capacità di Williams (e anche di Spielberg) di evocare il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza e rispecchiare in modo eloquente quello che succede in quella stagione della vita, ciò che passa nel cuore di chiunque è stato bambino. Williams riesce sempre a descrivere bene l’innocenza, la semplicità interiore del protagonista, probabilmente perché lui stesso ha conservato ciò che si definisce "infanzia spirituale".
CS: Secondo te quale posto occupa la musica per film all’interno della storia della musica del Novecento?
SP: E’ una forma d’arte che ha tutta la dignità per poter stare anche nella sala da concerto. Anzi, eseguirla dal vivo aiuta a legittimarla ancora di più, poiché molto spesso all’interno del film si perdono una miriade di dettagli della scrittura sinfonica. Guardando le partiture di Star Wars ci si accorge di quanto siano ricche e complesse ad ogni livello, tematico, coloristico ed esecutivo. E questo nel missaggio del film si perde spesso in gran parte. Insomma, la grande musica per film ha tutto il diritto di avere un posto nella sala da concerto, come nel caso di Williams, ma lo stesso discorso vale per Herrmann, Korngold, Waxman, Steiner, Rozsa e molti altri.
CS: Che cosa ci puoi anticipare a proposito del concerto con musiche dai film della Saga di Star Wars che dirigerai l’anno prossimo con l’Orchestra Verdi? Come è nata l’idea?
SP: Ho voluto strutturarlo perché fosse davvero come una “opera senza canto”, presentando quello che ė davvero l'anima di questi film, cioè i temi e i leitmotiv legati alle situazioni e ai personaggi. Qui davvero possiamo toccare con mano la realizzazione delle intenzioni intime di Williams, quando ebbe a dichiarare che il cinema ha nel '900 un ruolo culturale analogo a quello avuto nel '800 dal melodramma, e come egli lavori, fatte le debite proporzioni, di conseguenza. Nella prima parte apriremo con il tema dei titoli di testa, ma poi ci sarà come un flashback con i brani degli episodi I, II e III, quando Anakin è ancora un bambino per poi arrivare alla sua storia d’amore e al passaggio al Lato Oscuro. Eseguiremo anche i tre brani corali previsti, tra cui “Duel of the Fates”. Nella seconda parte invece presenteremo i brani degli Episodi IV, V e VI. Il tutto è quindi concepito come un'opera in due atti.
Star Wars evoca, in fondo, un mondo parallelo, un mondo diversissimo visivamente ma emotivamente simile al nostro ed ė singolare vedere nelle partiture l’evoluzione di Williams dalla prima trilogia alla seconda. C’è una conoscenza ancor più profonda del suono e del colore, ma soprattutto della prospettiva psicologia della storia che sta raccontando. Geniale, ad esempio, è come ha trasformato il tema di Darth Vader (“Imperial March”) nel tema del se stesso innocente quando era ancora Anakin. E dunque questo concerto l’ho pensato proprio così: presentare la musica dei sei film per mettere in risalto il modo in cui essa percorra l'arco narrativo della caduta e della redenzione di Anakin Skywalker.
Un altro aspetto importante è che chi suona in orchestra ama molto eseguire Williams, non solo perché è musica scritta bene ma anche perché, in fondo, tutti gli esecutori sono stati per due generazioni segnati del fenomeno Star Wars e dall'impatto emotivo che questa musica ha suscitato e continua a suscitare.
CS: Quando verrà eseguito?
SP: Lo presenteremo come concerto in stagione giovedì 3 settembre e domenica 6 settembre 2015 all’Auditorium di Milano.
CS: Anche se manca ancora un po’, possiamo già dire che non vediamo l’ora!
Un sentito ringraziamento a Simone Pedroni per la sua infinita cortesia. Il sito ufficiale del pianista: www.simonepedroni.com