23 Gen2014
Addio Riz Ortolani
Addio Riz Ortolani
Riziero Ortolani, meglio noto come Riz, ha deposto la bacchetta e ad 87 anni è partito per il Viaggio, lasciando il mondo della musica (per film e non solo) italiana ed europea orfano di uno dei suoi protagonisti assoluti. Il ricordo personale va ad una ventosa serata di oltre trent’anni fa, nell’agosto dell’83, quando in occasione di un tributo a Ingrid Bergman, scomparsa un anno prima, Ortolani salì sul podio dell’Orchestra della Fenice, davanti ad un pubblico che annoverava il Gotha di Hollywood (da Gregory Peck a Walter Matthau a Claudette Colbert a Olivia de Havilland…), per un concerto di gala interamente composto da musiche dei film interpretati dalla grande attrice svedese. Ricordo l’incipit imperioso, fiammeggiante del tema di Alfred Newman per Anastasia, o il rovente romanticismo della partitura di Miklós Rózsa per Io ti salverò, e l’impressione fortissima nel constatare l’autorevolezza della concertazione di Ortolani, che era un direttore di primo piano e di grande profilo, e l’impatto sinfonico-classico di quelle pagine.Ho avuto modo di tornare con la memoria a quell’evento memorabile, quasi un quarto di secolo dopo, conversando insieme al maestro pesarese in occasione del suo ritorno alla Fenice nel 2007 con l’opera Il principe della gioventù, ispirata alla Congiura dei Pazzi del 1478, su libretto suo e di Ugo Chiti, con la prestigiosa regia di Pierluigi Pizzi. E Ortolani appariva, allora come 25 anni prima, fermamente persuaso della ”classicità” della musica cinematografica, propria e altrui: una dimensione che lo ha accompagnato lungo tutta la sua carriera, iniziata – dopo l’esperienza di primo flauto nella natìa Pesaro, un paio di ingaggi come pianista da ballo e arrangiatore radiofonico e la fondazione di una jazz band – con le musiche del film di Camillo Mastrocinque Le vacanze del sor Clemente (1954). Da quella data quasi sessant’anni di carriera ininterrotta, nazionale e internazionale, attraverso tutti i generi, dal western al thriller, dal melò alla commedia, dal documentario al ”poliziottesco”, dal peplum all’erotico, senza contare la televisione, dove regalò alcune delle sue più toccanti, intense e liriche partiture agli sceneggiati letterari di Anton Giulio Majano (La cittadella, E le stelle stanno a guardare, La fiera della vanità), oltre al Cristoforo Colombo di Lattuada. Il suo stile era inconfondibile, la sua scrittura molto particolare, soprattutto nei film a sfondo psicologico e/o sentimentale: archi divisi, un melodismo teso e raffinato, un’attenzione costante al contrappunto fra le parti orchestrali. Forzava raramente i toni, preferendo la complessità di una scrittura densa, agitata, e riusciva particolarmente in racconti di cronaca dura e diretta, come Banditi a Milano, Sequestro di persona, Un caso di coscienza, e il celebre Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica. Nel western (Requiescant, I giorni dell’ira) si tenne lontanissimo dagli stereotipi morriconiani, nel thriller (Una sull’altra, Nella stretta morsa del ragno, Non si sevizia un Paperino) agli espedienti della “scary music” preferiva una cantabilità ambigua e soluzioni puntillistiche, affilate, penetranti. Lavorò molto per la voce umana, femminile in particolare, anche grazie all’incontro con quella – straordinaria per intensità – di Katyna Ranieri, sposata nel 1964 e sua compagna d’arte e di vita per mezzo secolo. E fu proprio la Ranieri a rendere celebre nel mondo il brano per cui Ortolani è forse più noto, la distesa e fluente “More”, dal docufilm Mondo cane di Jacopetti, che gli procurò anche una lunga querelle giuridica con l’altro compositore, Nino Oliviero. In una filmografia sterminata, comprendente va da sé anche fatiche puramente “alimentari”, spiccano alcune gemme come Un dramma borghese di Florestano Vancini, soffusa e dolorosa, La spia dal naso freddo di Donald Petrie, bizzarramente (r)umoristica, La cattura di Paolo Cavara, ripartita fra scarni legni e vibranti archi, L’avvertimento di Damiano Damiani, dalla ritmica stringente, Fratello Sole sorella Luna di Franco Zeffirelli, trasognata e bucolica; abbellì quattro – difficilmente difendibili – film di Tinto Brass (Miranda, Capriccio, L’uomo che guarda e Fermo posta Tinto Brass) di soluzioni eleganti e ironiche e si accostò al Samperi più trasgressivo e audace (Scandalo, La bonne) con pastosità sonore avvolgenti. Fantasma d’amore di Dino Risi è uno dei suoi capolavori; un lirismo nebbioso, “padano”, complice, sussurrato e tenue, affidato al trio del leggendario clarinettista Benny Goodman.
E poi naturalmente Pupi Avati, di cui per oltre trent’anni, da Aiutami a sognare dell’81 sino alla recentissima miniserie tv Un matrimonio Ortolani è stato la pressoché ininterrotta voce musicale. Un sodalizio che vide il maestro riallacciarsi – complice la comune passione con il regista – alle proprie radici jazzistiche, ma che attraverso i numerosissimi titoli gli consentì anche di spaziare attraverso gli stili più diversi e le fonti di ispirazione più variegate.
La discografia di Riz Ortolani, che vinse un Grammy, un Golden Globe e tre David Donatello, è sterminata come la sua filmografia. In mezzo a un vastissimo numero di original soundtrack, ristampe e antologie varrà qui la pena di ricordare un ormai introvabile bootleg in vinile Cam del 1977, “I magnifici sei teleromanzi”, con le suites ampie e irresistibili dei suoi lavori televisivi per Majano, il doppio cofanetto Bmg/Rca del 2004 “The Genius of Riz Ortolani”, che raggruppava alcuni dei suoi temi più celebri accanto a sontuose rielaborazioni sinfoniche delle sue partiture, e un Raitrade dell’anno successivo che offriva tre suites da altre sue partiture televisive, La piovra, Cristoforo Colombo e La primavera di Michelangelo.
Era un uomo gentile, affabile e comunicativo; fermo nelle sue convinzioni artistiche e generoso nel mettersi a disposizione della musica e del pubblico. Di quella musica e di quel pubblico che non lo dimenticheranno mai.