14 Dic2011
Prigione di donne
Albert Verrecchia
Prigione di donne (1974)
Beat Records DDJ009
13 brani – durata: 36’07”
Per fortuna c’è qualcuno, ovvero Beat Records, che si occupa di scovare, spolverare e ri-stampare alcune colonne sonore che rimarrebbero sepolte e dimenticate, forse anche per gli stessi loro compositori, soprattutto quelli più prolifici. Questo è dovuto anche al fatto che (soprattutto in passato e prima dell’avvento così massiccio del digitale) la posizione e il “peso” della musica in un film venivano spesso mortificati da un mix e da un editing a volte sbrigativi e brutali, poco rispettosi di un elemento così importante qual è l’audio. È il caso di Prigione di Donne, film del 1974 di Brunello Rondi, di cui si può leggere qui una approfondita e appassionata recensione che ne sottolinea i contenuti e i rimandi colti dell’opera di un regista importante, e co-sceneggiatore di Federico Fellini; allo stesso tempo però la cinematografia è, a mio parere, meno riuscita della scrittura, a causa della scarsa precisione del montaggio video e audio, che così ha penalizzato il grande lavoro di Albert Verrecchia. E quindi solo ascoltando la musica separatamente dal film mi è stato possibile scoprire un vero tesoro di colonna sonora, che, tranne per qualche raro momento, risulta essere completamente nascosto nel film. L’ascolto comincia con l’inconfondibile canto di Edda dell’Orso in un pezzo per voce, archi e qualche insert di organo e oboe, in passaggi di grande spinta dinamica; è evidente che Morricone nel 1973-4 aveva già fatto scuola; ciononostante la scrittura è piacevole e precisa e mette ben in risalto quello che risulta essere il tema del film.
La seconda traccia racconta brillantemente se stessa e i suoi anni soprattutto nei suoni (uno tra tutti il pianoforte ostinato pesantemente compresso): grandi gittate di archi su una ritmica sincopata e serrata di batteria e basso elettrico, finendo con tirate distorte di chitarra elettrica col suono tipico delle Gibson Les Paul. Credo sia la scena della cattura della protagonista da parte della polizia in piena retata; grande irruenza quindi, e più sapori all’interno dello stesso pezzo per una scena che è lo snodo che apre alla parte più importante del film.
Anche la terza traccia contiene più umori al suo interno, pur nel tratto comune della tragicità, dalle iniziali e tesissime strappate d’archi, al tema largo e drammatico, ma che scivola in un morbido e rassegnato epilogo.
La quarta traccia è per me è un po’ un mistero, e già guardando il film mi ero chiesto cosa c’entrasse. A parte il gioco del piacevole passaggio dall’austero modo minore allo spensierato modo maggiore dell’impianto tonale, tutto il pezzo insiste su (probabilmente) un bouzuki che dà a tutto il brano una fortissima venatura ellenica. Bella composizione ma, come dire, sembra un po’ off topic rispetto al film.
Il quinto brano del cd è una delle tracce più interessanti; l’intro è fatta di pure psichedeliche pennellate sonore, via le venature greche, via l’orchestra. Il suono iniziale sembrerebbe quello di una chitarra molto distorta passata in un wah wah, compressa, allontanata con pesante riverbero e suonata scordando progressivamente la corda sollecitata; piccoli interventi di percussioni con delay (leggi eco) che sembra un sonar quasi a sondare gli abissi psicologici della condizione delle carcerate; ancora, organo in sottofondo e almeno un’altra chitarra in reverse, ovvero incisa su un loop di nastro e poi rimontato al contrario sul registratore multitraccia (da ricordare ai più giovani sound designers che, negli studi di registrazione del passato, il “copia e incolla” o il “taglia e incolla” tanto facili da gestire oggi con la tastiera dei nostri computer, in origine si eseguivano con vere forbici e vera colla). Il tutto fino all’entrata improvvisa di basso, batteria, archi e organo, mantenendo le chitarre filtrate col wah wah. Il brano è lento, drammatico, dal sapore rock ’70 e con un finale brusco e senza soluzione armonica. Da ascoltare con attenzione.
La sesta traccia è invece totalmente inedita e non inserita nella colonna sonora del film. Si tratta di una canzone popolare in dialetto siciliano nel perfetto stile scarno e diretto del Domenico Modugno di “Amara terra mia”. Il testo (non ci è dato sapere chi sia l’autore) racconta la storia del film, ovvero l’inferno fisico e psicologico della clausura in carcere. Grande prova di scrittura di Verrecchia, in un genere “quarto” rispetto al progressive rock, alla venatura greca e alla più europea scrittura per archi, per raccontare con i suoni di chitarre classiche, flauto dolce, tamburo e voce maschile altissima, un mondo totalmente ignoto ai più
Torna nel settimo brano la storica voce di Edda dell’Orso in un efficacissimo unisono col flauto; tutto il brano è tenuto insieme da una ostinata percussione metallica, e poi da un ritmo di batteria, durante i quali si susseguono, in assenza di tonalità di impianto, rapidi interventi di archi, piano, flauto e lanci di batteria. Un'altra traccia da non perdere, tre minuti sapientemente costruiti per un’atmosfera surreale.
Il pedale di contrabbassi e il piatto iniziale della ottava traccia ci introducono in un fosco giardino fatto di una flora sconosciuta, tanto inquietante quanto affascinante: note di sassofono con delay duplicate sui due canali stereo, pennellate di archi sui sovracuti dei violini e bassi decisi; arrangiamento sorprendente, scritto per sovrapposizione con crescendo dinamici che fanno salire la tensione fino ad un inaspettato piatto di batteria in reverse che interrompe un lento caleidoscopio di note per lasciar spazio alla tensione dei soli archi ancora nel registro molto acuto… ancora una traccia da collezione, da ascoltare ad occhi chiusi.
Ecco entrare la celere, è uno dei momenti più drammatici del film; qui irrompe per la prima volta (e con violenza) l’elemento maschile a sedare la rivolta femminile in carcere. Batteria, percussioni e pianoforte (più volte sovrainciso) sono serratissimi e contrappuntati da strappate d’archi in controtempo; traccia da fiato corto che funge da vera terza dimensione alle immagini; tutto in puro atonalismo, eppure comprensibile ed efficace, grazie alla sua carica ritmica da accelerazione di battito cardiaco.
L’organo da chiesa è il protagonista di questa decima traccia, tutta dedicata alla figura inquietante della madre superiora; traccia funzionale da semplice sostegno alle immagini con le suore in campo.
Altra traccia funzionale anche la undicesima. Verrecchia accenna la scrittura del brano, cantato al femminile, che richiama l’atmosfera francese raccontata dalla protagonista Martine Brochard, in pieno stile tradizionale d’oltralpe.
Anche la penultima traccia, pur ricalcando il tema del film in stile disco anni ‘70, è secondo me off topic, e sicuramente la meno originale di tutte. Non riesco nemmeno a trovare una giustificazione per il suo inserimento nella colonna sonora del film, addirittura nei titoli di coda… se non il suo fortissimo richiamo (per dirla con un eufemismo) al clamoroso successo dell’anno precedente di “Love’s Theme” di Barry White.
L’ultima traccia, la più lunga del disco, riserva invece un finale a sorpresa: si tratta di una sequenza di varie interpretazioni del tema della pellicola, prima suonato da pianoforte e flauto dolce, poi da piano, archi e dai vocalizzi della Dell’Orso, e poi in adagio con archi, alcuni interventi di organo e ancora vocalizzi della cantante ma stavolta doppiati e sovraincisi su i due canali separati (ovvero due Edda che cantano la stessa melodia) con un bell’effetto originale e avvolgente.
Sorprendente uscita della Beat Records. Il booklet inserito all’interno del box contiene alcune note interessanti di Fabio Babini, il quale ricorda “l’incredibile mole di materiale inedito che si cela su scaffali polverosi, o dentro qualche scatolone dimenticato in fondo ad uno scantinato”. Ecco forse il perché delle tracce senza nome, che probabilmente saranno state depositate in SIAE con il solo numero progressivo legato al nome del film. Un disco che pur raccontando gli anni in cui è scritto per stile e sonorità, allo stesso tempo se ne allontana per originalità compositiva.