10 Giu2014
Red Krokodil
Alexander Cimini
Red Krokodil (2012)
Kronos Records KRONCD045
13 brani – durata: 46’53”
Nuovi compositori cinematografici cercansi. E, a volte, trovansi. Dove? Prevalentemente nelle pieghe del cinema indipendente, marginale o emarginato, che sia di genere o meno, ossia in quella fetta di produzione che fatica a farsi largo tra il grande pubblico, vuoi per la pigrizia combinata di distributori e spettatori, vuoi per il profilo a volte premeditatamente appartato e isolato degli autori. Un insieme di concause che, ad esempio, tiene ancora relegato in un angolo il cinema visionario, estremo, dadaista e “postpunk” di Domiziano Cristopharo, artista e performer di lungo corso con già all’attivo una filmografia (prevalentemente horror) copiosa e urticante; a sorreggere la quale egli chiama a collaborare compositori altrettanto appartati e selettivi – si pensi al caso di Kristian Sensini – di formazione eterodossa e di spiccato polistilismo.
Non fa eccezione il 39enne Alexander Cimini, tedesco di nascita ma italiano di formazione, studi pianistici e un’attività – tra video, teatro e cinema – iniziata già alla fine degli anni Novanta, soprattutto negli ambienti del cinema indipendente: tipico esempio di musicista che fa tesoro della propria formazione classica, valorizzata da una scrittura densa, partecipe ed emozionata, unendola ad una fortissima vocazione sperimentale e d’avanguardia. Ne scaturiscono partiture originali e perturbanti come questa, per l’allucinato, ultimativo, crudelissimo soliloquio sulla droga come fattore di distruzione corporea e mentale che Cristopharo ha costruito memore delle proprie origini horror ma sempre tenendo alta l’asticella di una elaborazione concettuale e simbolica complessa e dilagante, a volte sino all’invadenza rappresentativa.
La partitura di Red Krokodil, che Cimini ha personalmente orchestrato con il contributo di Giuseppe Zanca, è un crogiuolo ribollente di componenti: vi confluiscono, accanto a brani originali, pezzi composti per videocreazioni precedenti come l’iniziale, laboratoriale ed elettronico “C_age” o “W(t)omb”, o il lungo, disteso, evocativo “Passion and love?” finale per pianoforte e archi, che proviene dal soundtrack di Hyde’s secret nightmare, per il resto musicato da Sensini, e la cui stesura limpidamente lirica, con il piano in un ruolo concertante quasi ottocentesco, rivela nell’autore insospettabili predilezioni tardoromantiche.
Le stesse che, a evidente contrasto con la spietata crudeltà del calvario cui è sottoposto il corpo del protagonista, animano ad esempio il “Red Krokodil main theme”, un ampio, concentrato e afflitto adagio per archi sovrastato dal canto del violoncello solo di Sebastiano Severi, di un’intensità passionale e di un rigore di scrittura straordinari, che uniscono retaggi barocchi ad una cantabilità sconsolata. Una poetica che ritorna, se possibile ancora più esplicita, nello struggente “Alone”, per il violino di Roberto Noferini, e nel piangente perorare degli archi in “My wounded body”. Gli assoli, come quello violinistico di “My little green crocodile”, hanno una funzione che si direbbe recitativa, agendo su un accompagnamento di archi quasi sempre in tonalità minore, cupa e oppressa da una ineluttabile malinconia. Echi lontani di altri mondi, suoni di aliena evocatività si levano in “Endless roads”, che proviene dalla partitura di un altro film, del quale Cimini è stato nel 2010 regista oltre che musicista, M.A.R.C.O., storia del legame turbato, inquieto e fortissimo tra due fratelli; mentre si aprono intermezzi di suspense interiore, ancora e sempre affidati al suono interpellante e densissimo degli archi, come in “My mind”; questo sentimento di un dolore che pare faticare ad esprimersi compiutamente, e che circonda la discesa nell’abisso del protagonista alle prese con il proprio dissolvimento, è la cifra dominante dello score anche in pagine come “Reflection in the water”, che si accende di un tematismo irruente riprendendo il main theme, o “Prologue”, in cui sempre su quel tema celesta e cello dialogano sconsolatamente sorretti da una sezione di archi che pare costantemente alla ricerca di uno sbocco armonico introvabile. Più rasserenato, riconciliato appare “The window”, dove interviene anche il piano dello stesso Cimini (insieme a Denis Zardi), una parentesi luminosa e fluente che spezza, pur sempre in direzione caldamente neoromantica, l’incantesimo di un soundtrack presago di disfacimento e perdizione. Citazione a parte merita “Capuccetto 6” (sic), il brano ospite di Gabriele Verdinelli, compositore, didatta e organizzatore musicale sardo, nel cui curriculum figurano anche corsi di musica per film sostenuti con Ennio Morricone: pagina sperimentale di postavanguardia in cui s’intrecciano magmaticamente fisarmonica, percussioni e fiati in un impasto fantasmatico e ipnotizzante che contrasta dialetticamente con il resto della partitura.
Red Krokodil (2012)
Kronos Records KRONCD045
13 brani – durata: 46’53”
Nuovi compositori cinematografici cercansi. E, a volte, trovansi. Dove? Prevalentemente nelle pieghe del cinema indipendente, marginale o emarginato, che sia di genere o meno, ossia in quella fetta di produzione che fatica a farsi largo tra il grande pubblico, vuoi per la pigrizia combinata di distributori e spettatori, vuoi per il profilo a volte premeditatamente appartato e isolato degli autori. Un insieme di concause che, ad esempio, tiene ancora relegato in un angolo il cinema visionario, estremo, dadaista e “postpunk” di Domiziano Cristopharo, artista e performer di lungo corso con già all’attivo una filmografia (prevalentemente horror) copiosa e urticante; a sorreggere la quale egli chiama a collaborare compositori altrettanto appartati e selettivi – si pensi al caso di Kristian Sensini – di formazione eterodossa e di spiccato polistilismo.
Non fa eccezione il 39enne Alexander Cimini, tedesco di nascita ma italiano di formazione, studi pianistici e un’attività – tra video, teatro e cinema – iniziata già alla fine degli anni Novanta, soprattutto negli ambienti del cinema indipendente: tipico esempio di musicista che fa tesoro della propria formazione classica, valorizzata da una scrittura densa, partecipe ed emozionata, unendola ad una fortissima vocazione sperimentale e d’avanguardia. Ne scaturiscono partiture originali e perturbanti come questa, per l’allucinato, ultimativo, crudelissimo soliloquio sulla droga come fattore di distruzione corporea e mentale che Cristopharo ha costruito memore delle proprie origini horror ma sempre tenendo alta l’asticella di una elaborazione concettuale e simbolica complessa e dilagante, a volte sino all’invadenza rappresentativa.
La partitura di Red Krokodil, che Cimini ha personalmente orchestrato con il contributo di Giuseppe Zanca, è un crogiuolo ribollente di componenti: vi confluiscono, accanto a brani originali, pezzi composti per videocreazioni precedenti come l’iniziale, laboratoriale ed elettronico “C_age” o “W(t)omb”, o il lungo, disteso, evocativo “Passion and love?” finale per pianoforte e archi, che proviene dal soundtrack di Hyde’s secret nightmare, per il resto musicato da Sensini, e la cui stesura limpidamente lirica, con il piano in un ruolo concertante quasi ottocentesco, rivela nell’autore insospettabili predilezioni tardoromantiche.
Le stesse che, a evidente contrasto con la spietata crudeltà del calvario cui è sottoposto il corpo del protagonista, animano ad esempio il “Red Krokodil main theme”, un ampio, concentrato e afflitto adagio per archi sovrastato dal canto del violoncello solo di Sebastiano Severi, di un’intensità passionale e di un rigore di scrittura straordinari, che uniscono retaggi barocchi ad una cantabilità sconsolata. Una poetica che ritorna, se possibile ancora più esplicita, nello struggente “Alone”, per il violino di Roberto Noferini, e nel piangente perorare degli archi in “My wounded body”. Gli assoli, come quello violinistico di “My little green crocodile”, hanno una funzione che si direbbe recitativa, agendo su un accompagnamento di archi quasi sempre in tonalità minore, cupa e oppressa da una ineluttabile malinconia. Echi lontani di altri mondi, suoni di aliena evocatività si levano in “Endless roads”, che proviene dalla partitura di un altro film, del quale Cimini è stato nel 2010 regista oltre che musicista, M.A.R.C.O., storia del legame turbato, inquieto e fortissimo tra due fratelli; mentre si aprono intermezzi di suspense interiore, ancora e sempre affidati al suono interpellante e densissimo degli archi, come in “My mind”; questo sentimento di un dolore che pare faticare ad esprimersi compiutamente, e che circonda la discesa nell’abisso del protagonista alle prese con il proprio dissolvimento, è la cifra dominante dello score anche in pagine come “Reflection in the water”, che si accende di un tematismo irruente riprendendo il main theme, o “Prologue”, in cui sempre su quel tema celesta e cello dialogano sconsolatamente sorretti da una sezione di archi che pare costantemente alla ricerca di uno sbocco armonico introvabile. Più rasserenato, riconciliato appare “The window”, dove interviene anche il piano dello stesso Cimini (insieme a Denis Zardi), una parentesi luminosa e fluente che spezza, pur sempre in direzione caldamente neoromantica, l’incantesimo di un soundtrack presago di disfacimento e perdizione. Citazione a parte merita “Capuccetto 6” (sic), il brano ospite di Gabriele Verdinelli, compositore, didatta e organizzatore musicale sardo, nel cui curriculum figurano anche corsi di musica per film sostenuti con Ennio Morricone: pagina sperimentale di postavanguardia in cui s’intrecciano magmaticamente fisarmonica, percussioni e fiati in un impasto fantasmatico e ipnotizzante che contrasta dialetticamente con il resto della partitura.