01 Set2014
Django 2: il grande ritorno
Gianfranco Plenizio
Django 2: il grande ritorno (1987)
Kronos Records KRONCD 053
36 brani – durata: 54’ 00’’
Django 2: il grande ritorno, ovvero l’unico sequel ufficiale – a più di vent’anni di distanza e dopo un incalcolabile numero di apocrifi - del Django corbucciano, con Franco Nero di nuovo protagonista e la regia di Nello Rossati. Django, abbandonati i panni del pistolero, si è ritirato in un convento in Messico per fare vita di contemplazione e di preghiera. Si fa chiamare padre Ignacio e ha seppellito (non solo metaforicamente) la sua vecchia identità. Tornerà ad imbracciare le armi quando verrà a sapere che sua figlia Marisol – di cui ignorava l’esistenza – è stata rapita da uno schiavista pazzoide soprannominato «Il Diavolo». Ovviamente farà una strage e libererà la figlia per poi andarsene di nuovo in aiuto di altri bisognosi, ma con la promessa di un futuro ritorno. Fortemente straniante l’ambientazione: un Messico fluviale e forestale, lontanissimo da quello desertico e roccioso ricostruito nel sud della Spagna. Il film è stato infatti girato in Colombia e finisce per assumere i connotati di un avventuroso più che di un western all’italiana. Dopo il flop di Tex e il Signore degli abissi (1985) di Duccio Tessari, anche Django 2 fu un disastro ai botteghini, stroncando così sul nascere le possibilità di rinascita del genere.
Classe 1941, pianista, compositore, direttore d’orchestra, da moltissimi anni impegnato nel recupero del patrimonio della romanza da camera italiana, Gianfranco Plenizio - già autore insieme a Giovanni Fusco della colonna sonora di Giarrettiera Colt (1968), suo unico precedente nel western - venne chiamato a musicare le nuove vicende di un vero e proprio eroe-icona. Compito non certo facile anche per la pesante eredità di Luis Bacalov, indimenticato artefice delle musiche del primo Django. La maltese Kronos Records – da qualche anno attenta al vintage cinemusicale italiano - pubblicherà alla fine di settembre tutte (o quasi) le musiche da lui composte per il film, comprese quelle scartate al montaggio, migliorando di molto un vecchio LP dell’etichetta tedesca Colosseum, che riportava solo tredici tracce. In diversi punti il lavoro di Plenizio coglie l’essenza del western all’italiana, anche se a prevalere è un’atmosfera di freddezza derivante dall’insistito impiego dei sintetizzatori. Inoltre, come il film presenta degli elementi di continuità con il primo episodio (la figlia di Django nata dalla relazione con Maria, la mitragliatrice, l’altruismo in opposizione al razzismo), sarebbe stato auspicabile poterne individuare alcuni anche nelle musiche, almeno un omaggio alla canzone eseguita da Rocky Roberts e da I Cantori Moderni di Alessandroni tanto amata dai fan. Deludente invece “Durango”, tema dei titoli dalla ritmica latineggiante e con tastiere elettroniche piuttosto neutre (peraltro con questo arrangiamento non è riportato nella tracklist del nuovo CD); va un po’ meglio la variazione utilizzata per la battaglia di Alamo, quella che si ascolta nella traccia numero 1, dove perlomeno la linea melodica è portata avanti dalle trombe come ai bei tempi. Per questa scena il musicista aveva composto un motivo apposito, “Alamo’s battle” (traccia 4), decisamente più tradizionale con quegli strumming di chitarra classica e la tromba deguellizzante, ma alla fine non venne utilizzato. Rivitalizzano ulteriormente il brano le versioni per coro ed archi, che scandiscono le tappe del riavvicinamento alla lotta e la sua attuazione da parte di Django (i rintocchi di campane sono una specie di memento mori per i cattivi), oltre a quella per chitarra classica, che invece è il fondale dei momenti di maggiore intimismo. “Mercy”, un brano dal sapore sacrale, ancora con rintocchi di campane e vocalizzi femminili (forse un tributo a Edda Dell’Orso), viene montato soprattutto a ridosso delle scene di violenza. Peccato che al posto dell’organo a canne faccia bella mostra di sé un sintetizzatore.
Per il villain «Il Diavolo», cioè il principe Orlowsky, un uomo crudele e psichicamente disturbato, ma anche una persona aristocraticamente elegante (vanta un passato da ufficiale dell’esercito dell’imperatore del Messico Massimiliano I d’Asburgo) e non priva di interessi scientifici (è un accanito collezionista di farfalle), viene scritto un inquietante e agrodolce tema dalle reminiscenze classiche per archi da camera (“Devil theme”). Quando invece viene inquadrato il vascello Mariposa Negra, con cui Orlowsky compie le razzie di schiavi da inviare alle sue miniere d’argento e di ragazzine da destinare ai bordelli, sentiamo il disturbante contrasto tra note baritonali ed acute di “Black vessel”. Episodi occasionali sono “Scottish march”, cornamuse campionate dedicate all’entomologo scozzese Gunn, anche lui prigioniero de “Il Diavolo” (lo ha rapito per aiutarlo a trovare la rarissima, forse inesistente, farfalla chiamata appunto Mariposa Negra) e aiutante del protagonista; “Tortillas”, rivisitazione moderna di un tema folk messicano; “Desert people”, altro richiamo etnico più primitivo; “Sad violins”, un pezzo decadente. Affidati perlopiù alle tastiere (talvolta con interpunzioni della solita campana funebre) le pagine di suspense, come “Ambush”, “Fear and tension”, “Brigands attack”, “Dead whisper”, “Inner tension”, “Nightmare”, “Synthy up tempo”, “Terror crescendo”
Confrontati con il primo episodio del 1966, non solo il film ma anche le musiche comunicano insomma una sensazione di incompiutezza. Ma forse ciò dipende solo dal potere di fascinazione esercitato dal tempo, che sempre ammanta il passato con un’aura di mito, stemperando nella nostalgia il bello e il brutto delle cose.
Django 2: il grande ritorno (1987)
Kronos Records KRONCD 053
36 brani – durata: 54’ 00’’
Django 2: il grande ritorno, ovvero l’unico sequel ufficiale – a più di vent’anni di distanza e dopo un incalcolabile numero di apocrifi - del Django corbucciano, con Franco Nero di nuovo protagonista e la regia di Nello Rossati. Django, abbandonati i panni del pistolero, si è ritirato in un convento in Messico per fare vita di contemplazione e di preghiera. Si fa chiamare padre Ignacio e ha seppellito (non solo metaforicamente) la sua vecchia identità. Tornerà ad imbracciare le armi quando verrà a sapere che sua figlia Marisol – di cui ignorava l’esistenza – è stata rapita da uno schiavista pazzoide soprannominato «Il Diavolo». Ovviamente farà una strage e libererà la figlia per poi andarsene di nuovo in aiuto di altri bisognosi, ma con la promessa di un futuro ritorno. Fortemente straniante l’ambientazione: un Messico fluviale e forestale, lontanissimo da quello desertico e roccioso ricostruito nel sud della Spagna. Il film è stato infatti girato in Colombia e finisce per assumere i connotati di un avventuroso più che di un western all’italiana. Dopo il flop di Tex e il Signore degli abissi (1985) di Duccio Tessari, anche Django 2 fu un disastro ai botteghini, stroncando così sul nascere le possibilità di rinascita del genere.
Classe 1941, pianista, compositore, direttore d’orchestra, da moltissimi anni impegnato nel recupero del patrimonio della romanza da camera italiana, Gianfranco Plenizio - già autore insieme a Giovanni Fusco della colonna sonora di Giarrettiera Colt (1968), suo unico precedente nel western - venne chiamato a musicare le nuove vicende di un vero e proprio eroe-icona. Compito non certo facile anche per la pesante eredità di Luis Bacalov, indimenticato artefice delle musiche del primo Django. La maltese Kronos Records – da qualche anno attenta al vintage cinemusicale italiano - pubblicherà alla fine di settembre tutte (o quasi) le musiche da lui composte per il film, comprese quelle scartate al montaggio, migliorando di molto un vecchio LP dell’etichetta tedesca Colosseum, che riportava solo tredici tracce. In diversi punti il lavoro di Plenizio coglie l’essenza del western all’italiana, anche se a prevalere è un’atmosfera di freddezza derivante dall’insistito impiego dei sintetizzatori. Inoltre, come il film presenta degli elementi di continuità con il primo episodio (la figlia di Django nata dalla relazione con Maria, la mitragliatrice, l’altruismo in opposizione al razzismo), sarebbe stato auspicabile poterne individuare alcuni anche nelle musiche, almeno un omaggio alla canzone eseguita da Rocky Roberts e da I Cantori Moderni di Alessandroni tanto amata dai fan. Deludente invece “Durango”, tema dei titoli dalla ritmica latineggiante e con tastiere elettroniche piuttosto neutre (peraltro con questo arrangiamento non è riportato nella tracklist del nuovo CD); va un po’ meglio la variazione utilizzata per la battaglia di Alamo, quella che si ascolta nella traccia numero 1, dove perlomeno la linea melodica è portata avanti dalle trombe come ai bei tempi. Per questa scena il musicista aveva composto un motivo apposito, “Alamo’s battle” (traccia 4), decisamente più tradizionale con quegli strumming di chitarra classica e la tromba deguellizzante, ma alla fine non venne utilizzato. Rivitalizzano ulteriormente il brano le versioni per coro ed archi, che scandiscono le tappe del riavvicinamento alla lotta e la sua attuazione da parte di Django (i rintocchi di campane sono una specie di memento mori per i cattivi), oltre a quella per chitarra classica, che invece è il fondale dei momenti di maggiore intimismo. “Mercy”, un brano dal sapore sacrale, ancora con rintocchi di campane e vocalizzi femminili (forse un tributo a Edda Dell’Orso), viene montato soprattutto a ridosso delle scene di violenza. Peccato che al posto dell’organo a canne faccia bella mostra di sé un sintetizzatore.
Per il villain «Il Diavolo», cioè il principe Orlowsky, un uomo crudele e psichicamente disturbato, ma anche una persona aristocraticamente elegante (vanta un passato da ufficiale dell’esercito dell’imperatore del Messico Massimiliano I d’Asburgo) e non priva di interessi scientifici (è un accanito collezionista di farfalle), viene scritto un inquietante e agrodolce tema dalle reminiscenze classiche per archi da camera (“Devil theme”). Quando invece viene inquadrato il vascello Mariposa Negra, con cui Orlowsky compie le razzie di schiavi da inviare alle sue miniere d’argento e di ragazzine da destinare ai bordelli, sentiamo il disturbante contrasto tra note baritonali ed acute di “Black vessel”. Episodi occasionali sono “Scottish march”, cornamuse campionate dedicate all’entomologo scozzese Gunn, anche lui prigioniero de “Il Diavolo” (lo ha rapito per aiutarlo a trovare la rarissima, forse inesistente, farfalla chiamata appunto Mariposa Negra) e aiutante del protagonista; “Tortillas”, rivisitazione moderna di un tema folk messicano; “Desert people”, altro richiamo etnico più primitivo; “Sad violins”, un pezzo decadente. Affidati perlopiù alle tastiere (talvolta con interpunzioni della solita campana funebre) le pagine di suspense, come “Ambush”, “Fear and tension”, “Brigands attack”, “Dead whisper”, “Inner tension”, “Nightmare”, “Synthy up tempo”, “Terror crescendo”
Confrontati con il primo episodio del 1966, non solo il film ma anche le musiche comunicano insomma una sensazione di incompiutezza. Ma forse ciò dipende solo dal potere di fascinazione esercitato dal tempo, che sempre ammanta il passato con un’aura di mito, stemperando nella nostalgia il bello e il brutto delle cose.