27 Ott2014
Navajo Joe
Ennio Morricone
Navajo Joe (1966)
Film Score Monthly FSMCD Vol. 10 No. 14
35 brani - Durata: 55'26''
Booklet 24 pagine a colori - Liner notes a cura di Jim Wynorski e Lukas Kendall
Crudo western del grande Sergio Corbucci, coetaneo del meno riuscito Johnny Oro e del notissimo Django, Navajo Joe sfodera tutto l'armamentario del genere senza però mai decollare, con un Burt Reynolds nelle vesti di un guerriero e action-man indiano instancabile e scatenato che, da solo, distrugge la banda dello spietato scotennatore Duncan (un fetentissimo Aldo Sambrell) e vendica il massacro della sua gente.
Prodotto da Dino De Laurentiis, l'atipicità di questo western all'italiana è proprio la presenza degli indiani, normalmente assenti nel cinema nostrano, benché Navajo Joe sia in realtà un mezzosangue e agisca in tutto e per tutto come un qualunque antieroe degli altri western corbucciani e non solo. Alla fine muore pure colpito alle spalle, preludendo all'anomala agonia del protagonista che vedremo successivamente ne Il grande silenzio, sicuramente superiore a questo film. Pellicola a tratti priva di ritmo, con alternanza tra scene d'azione e profluvio di detonazioni e lunghe attese adagiate su una sceneggiatura tendenzialmente sterile e retorica. Un buon esercizio di stile ma privo di una storia convincente.
Colonna sonora affidata ad Ennio Morricone – alla sua prima collaborazione con il “secondo Sergio” - celato dietro lo pseudonimo anglofono Leo Nichols (omaggio alla neonata figlia del collega e amico musicista Bruno Nicolai) che sperimenta uno score come sempre innovativo e personalissimo, raccolto sette anni fa dalla Film Score Monthly, in una curatissima edizione in CD con un documentatissimo libretto e un'analisi dettagliata di ogni singola traccia dell'album.
Ottima codificazione dello stile minimalistico e beffardo che caratterizza i western morriconiani (e in generale tutta l'epopea di un genere musicale e non solo cinematografico) sono i “Main Title” con i vocalismi gridati de I Cantori Moderni e gli assoli di stampo folk di Gianna Spagnulo che ci caratterizzano subito metalinguisticamente la figura di un eroe mezzo indiano, con larga ritmica di tamburi e un coro inneggiante che verrà poi ripreso da Morricone nell'”Abolisson” di Queimada. Una cellula grave pianistica con eco di timpani e monotempistiche risposte di tromba della traccia “A Silhoutte of Doom” (sincronizzata da Tarantino in Kill Bill Vol. 2) descrivono il primo scontro tra Navajo e gli uomini di Duncan, conformazione ripresa poi in altre tracce epigoni similari, liberamente ri-sviluppate sul tema principale. In questo lavoro Morricone condensa un po' gli stilemi usati in altri western precedenti e successivi e a buona ragione lo si può considerare un elegante manifesto di un linguaggio unico e originale, nel quale dinamico minimalismo seriale, sperimentazione e improvvisazione, vocalità dialogante e a tratti aggressiva e pretestuosamente strumentale sulle parole “Navajo Joe the best of all” trovano un perfetto connubio, conditi in varia misura e riarrangiati con continue varianti sia nella parte vocale che nell'esposizione del tema principale. Qualche rimando leoniano lo scorgiamo nel breve inciso chitarristico “A Bad Childhood” più ampiamente esposto in “The Demise of Father Rattigan (The Demise of Barbara)” (anch'essa saccheggiata da Tarantino per il suo film), con l'uso del corno inglese che tanto rimanda alla coetanea ”Estasi dell'oro”. Interessante l'arrangiamento vocale che prelude poi alle gittate della chitarra elettrica sostenuta dai congas, dagli sfoghi vocali della Spagnulo e dalle corde in acuto nel brano “The Confrontation/The Return of Joe” (la seconda parte usata da Tarantino). Solennemente trenodica la strutturazione in aumentazione nella traccia “After the End”, con la partecipazione di tutti i colori e le timbriche già indagate nei precedenti pezzi. Non mancano i brani di circostanza intradiegetica quali il pianistico “The Peyote Saloon”, classico rag in stile, e l'armonica a bocca del fuochista. Tra le Bonus Tracks, oltre ad alcune tracce in versione alternativa, è presente un medley che raccoglie i vari livelli compositivi del brano, gli strumenti, il loro incedere grammaticale essenziale e scheletrico, dal sapore arcaico e contemporaneamente aggiornato e adeguatamente assoluto e tutta la loro forza espressiva nell'abbinamento alle immagini per le quali questo autorevole progetto creativo è stato concepito.
Navajo Joe (1966)
Film Score Monthly FSMCD Vol. 10 No. 14
35 brani - Durata: 55'26''
Booklet 24 pagine a colori - Liner notes a cura di Jim Wynorski e Lukas Kendall
Crudo western del grande Sergio Corbucci, coetaneo del meno riuscito Johnny Oro e del notissimo Django, Navajo Joe sfodera tutto l'armamentario del genere senza però mai decollare, con un Burt Reynolds nelle vesti di un guerriero e action-man indiano instancabile e scatenato che, da solo, distrugge la banda dello spietato scotennatore Duncan (un fetentissimo Aldo Sambrell) e vendica il massacro della sua gente.
Prodotto da Dino De Laurentiis, l'atipicità di questo western all'italiana è proprio la presenza degli indiani, normalmente assenti nel cinema nostrano, benché Navajo Joe sia in realtà un mezzosangue e agisca in tutto e per tutto come un qualunque antieroe degli altri western corbucciani e non solo. Alla fine muore pure colpito alle spalle, preludendo all'anomala agonia del protagonista che vedremo successivamente ne Il grande silenzio, sicuramente superiore a questo film. Pellicola a tratti priva di ritmo, con alternanza tra scene d'azione e profluvio di detonazioni e lunghe attese adagiate su una sceneggiatura tendenzialmente sterile e retorica. Un buon esercizio di stile ma privo di una storia convincente.
Colonna sonora affidata ad Ennio Morricone – alla sua prima collaborazione con il “secondo Sergio” - celato dietro lo pseudonimo anglofono Leo Nichols (omaggio alla neonata figlia del collega e amico musicista Bruno Nicolai) che sperimenta uno score come sempre innovativo e personalissimo, raccolto sette anni fa dalla Film Score Monthly, in una curatissima edizione in CD con un documentatissimo libretto e un'analisi dettagliata di ogni singola traccia dell'album.
Ottima codificazione dello stile minimalistico e beffardo che caratterizza i western morriconiani (e in generale tutta l'epopea di un genere musicale e non solo cinematografico) sono i “Main Title” con i vocalismi gridati de I Cantori Moderni e gli assoli di stampo folk di Gianna Spagnulo che ci caratterizzano subito metalinguisticamente la figura di un eroe mezzo indiano, con larga ritmica di tamburi e un coro inneggiante che verrà poi ripreso da Morricone nell'”Abolisson” di Queimada. Una cellula grave pianistica con eco di timpani e monotempistiche risposte di tromba della traccia “A Silhoutte of Doom” (sincronizzata da Tarantino in Kill Bill Vol. 2) descrivono il primo scontro tra Navajo e gli uomini di Duncan, conformazione ripresa poi in altre tracce epigoni similari, liberamente ri-sviluppate sul tema principale. In questo lavoro Morricone condensa un po' gli stilemi usati in altri western precedenti e successivi e a buona ragione lo si può considerare un elegante manifesto di un linguaggio unico e originale, nel quale dinamico minimalismo seriale, sperimentazione e improvvisazione, vocalità dialogante e a tratti aggressiva e pretestuosamente strumentale sulle parole “Navajo Joe the best of all” trovano un perfetto connubio, conditi in varia misura e riarrangiati con continue varianti sia nella parte vocale che nell'esposizione del tema principale. Qualche rimando leoniano lo scorgiamo nel breve inciso chitarristico “A Bad Childhood” più ampiamente esposto in “The Demise of Father Rattigan (The Demise of Barbara)” (anch'essa saccheggiata da Tarantino per il suo film), con l'uso del corno inglese che tanto rimanda alla coetanea ”Estasi dell'oro”. Interessante l'arrangiamento vocale che prelude poi alle gittate della chitarra elettrica sostenuta dai congas, dagli sfoghi vocali della Spagnulo e dalle corde in acuto nel brano “The Confrontation/The Return of Joe” (la seconda parte usata da Tarantino). Solennemente trenodica la strutturazione in aumentazione nella traccia “After the End”, con la partecipazione di tutti i colori e le timbriche già indagate nei precedenti pezzi. Non mancano i brani di circostanza intradiegetica quali il pianistico “The Peyote Saloon”, classico rag in stile, e l'armonica a bocca del fuochista. Tra le Bonus Tracks, oltre ad alcune tracce in versione alternativa, è presente un medley che raccoglie i vari livelli compositivi del brano, gli strumenti, il loro incedere grammaticale essenziale e scheletrico, dal sapore arcaico e contemporaneamente aggiornato e adeguatamente assoluto e tutta la loro forza espressiva nell'abbinamento alle immagini per le quali questo autorevole progetto creativo è stato concepito.