13 Gen2015
The Imitation Game
Alexandre Desplat
The Imitation Game (Id., 2014)
Sony Classical 501212
21 brani – Durata: 50’53”
Viene quasi spontaneo stabilire una connessione tra l’universo della matematica, dentro il quale si svolge The Imitation Game, e il mondo musicale dell’infaticabile compositore parigino, che ci consegna qui la sua penultima fatica del 2014 (l’ultima è Unbroken di Angelina Jolie, mentre altre sue tre partiture sono già in scaletta per l’anno da poco iniziato). La struttura delle composizioni di Desplat possiede infatti qualcosa di numerologico, di geometrico, di strettamente calcolato nelle simmetrie, nel rapporto tra le armonie, nell’architettura delle melodie, nel gioco dei rimpalli e dei rimandi tra una frase e l’altra, un’idea e l’altra.
I suoi scores sono puzzle governati con mano sapiente, capaci di svilupparsi al meglio in occasioni dove prevalgono la riflessione quasi filosofica o la fascinazione per una suspense ingegneristica e psicologica, assai più che nelle occasioni – a lui poco confacenti – palesemente spettacolari o altisonanti. E a questo proposito, Desplat sembra avvertire una spontanea sintonia con la tormentata figura di Alan Turing, il matematico inglese inventore della macchina Enigma che decrittò i codici cifrati nazisti e che era già stata al centro di Enigma (2001, Michael Apted), per inciso l’ultima partitura del grande John Barry.
Tipicamente desplatiano è il tema d’apertura “The imitation game”, un’ampia e cantabile frase degli archi sull’arpeggio veloce del pianoforte, poi raddoppiata da due flauti su un tessuto di eleganti pizzicati: lievità e intensità di fraseggio coniugate insieme in un’orchestrazione limpida e trasparente. Ancora il pianoforte in “Enigma” distilla note misteriose su un tappeto strisciante di archi, cui segue nei bassi uno degli ostinati tipici del compositore (e non esenti ormai da un certo manierismo). Ed è sempre il pianoforte, bloccato in un altro ostinato ristretto, a sostenere l’arcata del tema associato al protagonista in “Alan”, chiaroscurato tra fiato e archi.
Stabilito il primato gerarchico di questi due temi (“Mission” ripropone, solennizzandolo e distendendolo in larghe volute, il primo) Desplat si dedica poi ad elaborare una tensione musicale tutta sottotraccia, costruita sulle consuete ripetizioni di frasi brevi e ravvicinate, molto mosse e sfuggenti, cui è demandato, come in “U-Boats”, il compito di musica d’azione; ritmo sostenuto e dialogo serrato fra gli strumenti ne sono gli elementi costitutivi, non senza l’inserimento (“Crosswords”) di semplici quanto intense frasi melodiche, raramente più lunghe di quattro note.
Il pizzicato ostinato con glockenspiel di “Night research” e il moto perpetuo degli archi di ”Joan” declinano con tutta evidenza le caratteristiche preminenti del compositore, anche se ad esempio il delicato e struggente movimento lento pianistico di “Alone with numbers”, ripreso poi dai fiati, rivela più nettamente il lato neoclassico, cameristico e meditativo del maestro francese. Le nervose scalette del piano intrecciate con gli arabeschi staccati dei violini di “The machine Christopher” ci riportano però a quell’universo meccanicistico e in qualche misura incombente che è tipico della partitura, mentre una versione particolarmente lirica e contemplativa del tema principale viene distesa in “Running”: la maniacale attenzione di Desplat al reciproco equilibrio fra le aree timbriche impedisce qualunque prevaricazione di una famiglia strumentale su un’altra, in un contenimento delle arcate dinamiche che raramente oltrepassa il mezzoforte, anche nei momenti più movimentati, affidati piuttosto all’ossessiva, incalzante presenza degli ostinati (“Decrypting”). Il contrasto ricercato tra la pacata riflessività dei due temi conduttori e l’agitato, aggrovigliato intarsio delle pagine d’azione produce degli scarti comunicativi sensibili all’interno della partitura, risolti a volte con grande intelligenza costruttiva, come nell’andamento oscillatorio insistito e scandito di “Becoming a spy”; colpiscono poi il doloroso raccoglimento di archi e pianoforte, seguiti dal lamentoso canto dell’oboe, di “The apple”, e il solitario divagare del pianoforte, seguito da archi notturni e sussurranti, di “Farewell to Christopher”; è l’aspetto più concentrato e asciutto del compositore, dove le preoccupazioni per la forma e per i giochi ad incastro cedono il passo ad un’ispirazione più contenuta e umanistica. Vale anche per “End of war”, col suo procedere accordale quasi religioso, e per il dolce risuonare dell’arpa in “Because of you”, mentre il tema di Turing risuona un’ultima volta, pacato ma liricamente e luminosamente sciolto, in “Alan Turing’s legacy”.
Perché è chiaramente alla sua torturata e complessa figura che Desplat dedica una partitura dai molteplici risvolti intimisti e dalle ampie risonanze intellettuali.
The Imitation Game (Id., 2014)
Sony Classical 501212
21 brani – Durata: 50’53”
Viene quasi spontaneo stabilire una connessione tra l’universo della matematica, dentro il quale si svolge The Imitation Game, e il mondo musicale dell’infaticabile compositore parigino, che ci consegna qui la sua penultima fatica del 2014 (l’ultima è Unbroken di Angelina Jolie, mentre altre sue tre partiture sono già in scaletta per l’anno da poco iniziato). La struttura delle composizioni di Desplat possiede infatti qualcosa di numerologico, di geometrico, di strettamente calcolato nelle simmetrie, nel rapporto tra le armonie, nell’architettura delle melodie, nel gioco dei rimpalli e dei rimandi tra una frase e l’altra, un’idea e l’altra.
I suoi scores sono puzzle governati con mano sapiente, capaci di svilupparsi al meglio in occasioni dove prevalgono la riflessione quasi filosofica o la fascinazione per una suspense ingegneristica e psicologica, assai più che nelle occasioni – a lui poco confacenti – palesemente spettacolari o altisonanti. E a questo proposito, Desplat sembra avvertire una spontanea sintonia con la tormentata figura di Alan Turing, il matematico inglese inventore della macchina Enigma che decrittò i codici cifrati nazisti e che era già stata al centro di Enigma (2001, Michael Apted), per inciso l’ultima partitura del grande John Barry.
Tipicamente desplatiano è il tema d’apertura “The imitation game”, un’ampia e cantabile frase degli archi sull’arpeggio veloce del pianoforte, poi raddoppiata da due flauti su un tessuto di eleganti pizzicati: lievità e intensità di fraseggio coniugate insieme in un’orchestrazione limpida e trasparente. Ancora il pianoforte in “Enigma” distilla note misteriose su un tappeto strisciante di archi, cui segue nei bassi uno degli ostinati tipici del compositore (e non esenti ormai da un certo manierismo). Ed è sempre il pianoforte, bloccato in un altro ostinato ristretto, a sostenere l’arcata del tema associato al protagonista in “Alan”, chiaroscurato tra fiato e archi.
Stabilito il primato gerarchico di questi due temi (“Mission” ripropone, solennizzandolo e distendendolo in larghe volute, il primo) Desplat si dedica poi ad elaborare una tensione musicale tutta sottotraccia, costruita sulle consuete ripetizioni di frasi brevi e ravvicinate, molto mosse e sfuggenti, cui è demandato, come in “U-Boats”, il compito di musica d’azione; ritmo sostenuto e dialogo serrato fra gli strumenti ne sono gli elementi costitutivi, non senza l’inserimento (“Crosswords”) di semplici quanto intense frasi melodiche, raramente più lunghe di quattro note.
Il pizzicato ostinato con glockenspiel di “Night research” e il moto perpetuo degli archi di ”Joan” declinano con tutta evidenza le caratteristiche preminenti del compositore, anche se ad esempio il delicato e struggente movimento lento pianistico di “Alone with numbers”, ripreso poi dai fiati, rivela più nettamente il lato neoclassico, cameristico e meditativo del maestro francese. Le nervose scalette del piano intrecciate con gli arabeschi staccati dei violini di “The machine Christopher” ci riportano però a quell’universo meccanicistico e in qualche misura incombente che è tipico della partitura, mentre una versione particolarmente lirica e contemplativa del tema principale viene distesa in “Running”: la maniacale attenzione di Desplat al reciproco equilibrio fra le aree timbriche impedisce qualunque prevaricazione di una famiglia strumentale su un’altra, in un contenimento delle arcate dinamiche che raramente oltrepassa il mezzoforte, anche nei momenti più movimentati, affidati piuttosto all’ossessiva, incalzante presenza degli ostinati (“Decrypting”). Il contrasto ricercato tra la pacata riflessività dei due temi conduttori e l’agitato, aggrovigliato intarsio delle pagine d’azione produce degli scarti comunicativi sensibili all’interno della partitura, risolti a volte con grande intelligenza costruttiva, come nell’andamento oscillatorio insistito e scandito di “Becoming a spy”; colpiscono poi il doloroso raccoglimento di archi e pianoforte, seguiti dal lamentoso canto dell’oboe, di “The apple”, e il solitario divagare del pianoforte, seguito da archi notturni e sussurranti, di “Farewell to Christopher”; è l’aspetto più concentrato e asciutto del compositore, dove le preoccupazioni per la forma e per i giochi ad incastro cedono il passo ad un’ispirazione più contenuta e umanistica. Vale anche per “End of war”, col suo procedere accordale quasi religioso, e per il dolce risuonare dell’arpa in “Because of you”, mentre il tema di Turing risuona un’ultima volta, pacato ma liricamente e luminosamente sciolto, in “Alan Turing’s legacy”.
Perché è chiaramente alla sua torturata e complessa figura che Desplat dedica una partitura dai molteplici risvolti intimisti e dalle ampie risonanze intellettuali.