15 Set2015
In Country
James Horner
Vietnam - Verità da dimenticare (In Country, 1989)
Intrada, B00BK9X6HO
17 brani – durata: 50’36’’
Ascoltare le prime opere di un compositore affermato, come James Horner, porta a fare delle considerazioni sul percorso che quell’artista ha seguito, sullo sviluppo musicale di cui si è reso protagonista per individuare le coordinate all’interno delle quali egli si è mosso; osservare come nuclei tematici e musicali, che erano presenti in nuce agli albori della carriera, è utile per individuare la cifra stilistica che è rimasta invariata e constatare quello che con il tempo è cambiato.
La carriera di James Horner, purtroppo, si è interrotta sulle ali di un aereo; ad eccezione della prossima The 33, non ascolteremo opere nuove del compositore premio oscar per Titanic. Guardare alle radici della sua musica risulta, dunque, quanto più utile per poter tracciare il percorso da lui seguito; molte volte i suoi detrattori lo hanno accusato di essere un imitatore di se stesso, di aver apportato poche innovazioni alla sua musica, nel corso degli anni. Ascoltare la partitura scritta per la pellicola Vietnam - Verità da dimenticare farà riflettere sull’effettivo ruolo che la «ripetizione» ha avuto nel suo cammino musicale. Nella score troviamo infatti una miriade di nuclei che poi sono stati ripresi e variati nelle opere successive, portando così alla creazione di un sostrato di coloriture che sono rimaste fino ai suoi ultimi lavori
Già nel primo brano “Distant memories” troviamo condensato il nucleo dell’intera score; trombe e violini care al compositore trovano una perfetta armonia che costituisce il sottofondo di una musica che sembra indugiare sui momenti di maggiore riflessione, quasi in una sorta di raccoglimento che trova nell’esecuzione del tema con il piano, una delle pagine di più forte impatto. Nel brano “Faraway toughts” questo tessuto viene arricchito dall’intervento di strumenti a corde, la chitarra in primis, che aggiungono un’ulteriore sfumatura alla partitura. Nonostante tutto l’anima rimane il piano che nel brano “Three generations (piano solo)” trova tutto lo spazio per ampliare un discorso già cominciato nei pezzi precedenti. D’altra parte risulta chiaro che i primi quattro brani della score costituiscono una monade attorno alla quale tutto il resto della partitura si avvolge e ne sono le pagine più belle; tutto quello che verrà dopo sarà una ripresa delle atmosfere già tracciate in questi. Nel brano “In country” la situazione sembra subire una modificazione, effetti, che richiamano le prime pellicole horror nelle quali Horner ha lavorato (Wolfen), intervengono a rompere l’equilibrio che si era creato. Questa apparente disarmonia tuttavia non trova ulteriore sviluppo dal momento che nei brani successivi quell’andamento melanconico che prima aveva caratterizzato il nucleo tematico dei primi brani e che, al momento stesso, costituiva l’anima dell’intera partitura, torna a dispiegarsi.
La seconda parte della score non aggiunge nulla a un discorso condensato e compreso nei primi brani, un medesimo andamento viene ripreso e variato in “Finding photos” o in “The Vietnam memorial”; con la versione alternativa di “Three generations” si raggiungono nuove vette nelle quali il piano trova un perfetto incastro con l’orchestra, rimanendo in ogni caso protagonista, così come in “Family supper”.
All’indomani della dipartita del compositore risulta, dunque, quanto mai proficuo riascoltare opere anche lontane nel tempo al fine di sfatare quel mito di Horner come imitatore di se stesso; sicuramente ha avuto degli stilemi che lo hanno accompagnato durante tutta la sua carriera, che ne hanno caratterizzato «il modo di fare musica» tuttavia, se riavvolgiamo il nastro, ci accorgiamo che molti di questi stilemi presenti fin dalle sue prime opere costituiscono la sua essenza musicale. La ripetizione fine a se stessa è deleteria ma l’imitar creativo risulta quanto mai proficuo, perché in esso è celato il processo di innovazione basato sulla propria essenza, permettendo così di creare una musica che sia, nel modo più filosofico del termine, un continuo divenire del proprio essere.
Vietnam - Verità da dimenticare (In Country, 1989)
Intrada, B00BK9X6HO
17 brani – durata: 50’36’’
Ascoltare le prime opere di un compositore affermato, come James Horner, porta a fare delle considerazioni sul percorso che quell’artista ha seguito, sullo sviluppo musicale di cui si è reso protagonista per individuare le coordinate all’interno delle quali egli si è mosso; osservare come nuclei tematici e musicali, che erano presenti in nuce agli albori della carriera, è utile per individuare la cifra stilistica che è rimasta invariata e constatare quello che con il tempo è cambiato.
La carriera di James Horner, purtroppo, si è interrotta sulle ali di un aereo; ad eccezione della prossima The 33, non ascolteremo opere nuove del compositore premio oscar per Titanic. Guardare alle radici della sua musica risulta, dunque, quanto più utile per poter tracciare il percorso da lui seguito; molte volte i suoi detrattori lo hanno accusato di essere un imitatore di se stesso, di aver apportato poche innovazioni alla sua musica, nel corso degli anni. Ascoltare la partitura scritta per la pellicola Vietnam - Verità da dimenticare farà riflettere sull’effettivo ruolo che la «ripetizione» ha avuto nel suo cammino musicale. Nella score troviamo infatti una miriade di nuclei che poi sono stati ripresi e variati nelle opere successive, portando così alla creazione di un sostrato di coloriture che sono rimaste fino ai suoi ultimi lavori
Già nel primo brano “Distant memories” troviamo condensato il nucleo dell’intera score; trombe e violini care al compositore trovano una perfetta armonia che costituisce il sottofondo di una musica che sembra indugiare sui momenti di maggiore riflessione, quasi in una sorta di raccoglimento che trova nell’esecuzione del tema con il piano, una delle pagine di più forte impatto. Nel brano “Faraway toughts” questo tessuto viene arricchito dall’intervento di strumenti a corde, la chitarra in primis, che aggiungono un’ulteriore sfumatura alla partitura. Nonostante tutto l’anima rimane il piano che nel brano “Three generations (piano solo)” trova tutto lo spazio per ampliare un discorso già cominciato nei pezzi precedenti. D’altra parte risulta chiaro che i primi quattro brani della score costituiscono una monade attorno alla quale tutto il resto della partitura si avvolge e ne sono le pagine più belle; tutto quello che verrà dopo sarà una ripresa delle atmosfere già tracciate in questi. Nel brano “In country” la situazione sembra subire una modificazione, effetti, che richiamano le prime pellicole horror nelle quali Horner ha lavorato (Wolfen), intervengono a rompere l’equilibrio che si era creato. Questa apparente disarmonia tuttavia non trova ulteriore sviluppo dal momento che nei brani successivi quell’andamento melanconico che prima aveva caratterizzato il nucleo tematico dei primi brani e che, al momento stesso, costituiva l’anima dell’intera partitura, torna a dispiegarsi.
La seconda parte della score non aggiunge nulla a un discorso condensato e compreso nei primi brani, un medesimo andamento viene ripreso e variato in “Finding photos” o in “The Vietnam memorial”; con la versione alternativa di “Three generations” si raggiungono nuove vette nelle quali il piano trova un perfetto incastro con l’orchestra, rimanendo in ogni caso protagonista, così come in “Family supper”.
All’indomani della dipartita del compositore risulta, dunque, quanto mai proficuo riascoltare opere anche lontane nel tempo al fine di sfatare quel mito di Horner come imitatore di se stesso; sicuramente ha avuto degli stilemi che lo hanno accompagnato durante tutta la sua carriera, che ne hanno caratterizzato «il modo di fare musica» tuttavia, se riavvolgiamo il nastro, ci accorgiamo che molti di questi stilemi presenti fin dalle sue prime opere costituiscono la sua essenza musicale. La ripetizione fine a se stessa è deleteria ma l’imitar creativo risulta quanto mai proficuo, perché in esso è celato il processo di innovazione basato sulla propria essenza, permettendo così di creare una musica che sia, nel modo più filosofico del termine, un continuo divenire del proprio essere.