The Jungle Book
John Debney
Il libro della giungla (The Jungle Book, 2016)
Walt Disney Records D002386002
20 brani + 4 canzoni – Durata: 74’07”
I due modelli sono là, grandi come montagne inviolabili: da un lato il classico disneyano del 1967 (primo film della factory dopo la scomparsa di papà Walt), con le musiche jazzistiche di George Bruns e le canzoni swing dei fratelli Sherman e Terry Gylkison; dall'altro, un quarto di secolo prima, la strepitosa, inesauribile partitura di Miklós Rózsa ispirata al “Pierino e il lupo” prokofieviano per la versione “live” di Zoltan Korda (incredibile che nessuno abbia ancora provveduto a una riesecuzione integrale di questo capolavoro). Non che questi due esempi esauriscano la casistica degli scores per film ispirati al “bildungsroman” di Rudyard Kipling: occorrerebbe infatti citare anche almeno la prova di Basil Poledouris per una versione del 1994, oltre a vari sequel del cartoon disneyano e senza contare il film attualmente in cantiere firmato da Andy Serkis (il Gollum del Signore degli anelli) con musiche del polistrumentista e performer inglese Nitin Sawhney.
Ma è certo che la presenza più ingombrante con cui un compositore sia pur di lungo corso e provata esperienza come John Debney ha dovuto confrontarsi è quella di Bruns e degli Sherman Bros.: il compito sembra però non esaurirsi, per il musicista, in un doveroso e fantasioso omaggio agli originali, riarrangiando le due hit forse più celebri dell'edizione '67, ossia “Bare Necessities” (da noi “Lo stretto indispensabile”), inno alla filosofia di vita dell'orso Baloo, qui proposta dallo showman fantasista Dr. John The Night Tripper, e “Trust in Me” (“Spera in me”), l'infido canto con cui il serpente Kaa cerca di irretire Mowgli, e che con un'operazione transgender passa da voce maschile (era Sterling Holloway nel '67, doppiato da Sergio Tedesco) a femminile, grazie alla seducente presenza di Scarlett Johansson (ma anche nella versione di Serkis a darle voce sarà Cate Blanchett). Pagato il tributo, comprensivo in “Main Title – Jungle Run” di una ovvia ma lussureggiante citazione del logo disneyano “When You Wish Upon a Star”, Debney in realtà può mantenere queste due idee canzoni come baricentri leitmotivici, e farvela altrove lasciando libero corso alla sua non comune fantasia orchestrale. L'atmosfera di questa ricchissima partitura è dichiaratamente impressionistica, conparche concessioni ad un esotismo di maniera – predominante soprattutto nelle pagine action grazie ad un esercito di percussioni agguerritissime – ed una spiccata tendenza ad un descrittivismo bucolico, idilliaco e arioso, dalle ampie campate melodiche e dalla scrittura finemente concertistica (l'assolo di violoncello struggente in “Wolves – Law of the Jungle”, condito da cori celestiali e tamburi rituali); talora sembrano affiorare reminiscenze del John Barry di La mia Africa o dell'Hans Zimmer de Il re leone, o financo del Jerry Goldsmith di Mato Grosso, ma distesi in un paesaggio sonoro vividamente colorato, intenso, emotivamente partecipe, come nell'avviluppante, romanticissimo “Water Truce”. Chiaro che a volte questa ansia descrittivistica rischia la stucchevolezza, come in “The Rains Return” e nel suo “effettogocce di pioggia”, ma sono derive episodiche e comprensibili, visto il contesto; assai più conta la bellezza pura e incontaminata di alcuni passaggi tematici e del fraseggio complessivo che Debney (fine direttore, ricordiamolo) imprime all'orchestra e in particolare agli archi, come nella prima parte di “Mowgli's Leaving” seguito dall'imponente “Elephant Theme”. Ma ben presto la partitura prende un abbrivio incredibilmente energico, arroventato,che si snoda in un crescendo di emozioni musicali evocate con una delle orchestrazioni più massicce e furibonde degli ultimi tempi: come in “Shere Khan Attacks – Stampede”, che non fa sconti a nessuno, in un'adrenalinica deflagrazione di percussioni e nelle virtuosistiche evoluzioni in fortissimo degli ottoni. La varietà di colori adottati consente poi a Debney soluzioni molto ardite come il flautando in sovracuto degli archi di “Kaa – Baloo to the Rescue”, genialmente coinvolti in una spettrale citazione di “Trust in Me”; non è da meno “Mowgli and the Pit”, che sprofonda in un climax pesantemente minaccioso, evocando sonorità oscure e grandiose con il contributo apocalittico di tromboni e tuba; anche qui però sbalordisce la rilettura solare, cantabile e rasserenante che in chiusura gli archi offrono di “Bare Necessities”. Dal che si evince come Debney sappia rapportarsi modernamente e intelligentemente anche ai modelli prefissati. Ancora azione, scatenata, in “Monkeys Kidnap Mowgli”, forse la pagina più stupefacente sul piano timbrico-ritmico; urla dei corni, percussioni telluriche, glissandi furibondi e dissonanti del pianoforte delineano i contorni di un sapientissimo, infuocato caos sonoro, una sorta di “economia del fragore” che si esalta se possibile ancor più, sino al parossismo, in “Cold Lair Chase”, con punte d'incandescenza che ricordano il “Sacre” stravinskyano ma senza mai perdere divista la struttura tematica, qui grazie ad una figurazione di due note di trombe e tromboni. L'impatto quasi fisico con la partitura sembra avviarsi ad una progressione insostenibile con “The Red Flower”, caricato grazie al dispiego massiccio del coro di una travolgente valenza epica. “Shere Khan's War Theme” fa tutt'uno con la superba “Shere Khan and the Fire” in cui Debney dà fondo a tutta la propria perizia strumentale piegando archi, percussioni e ottoni ad un tour de force spaventoso. Forse era dai tempi del miglior Goldsmith che non si sentiva in un soundtrack tanta rabbiosa, lucida e nello stesso tempo sfrenata energia dinamica. “Elephant Waterfall” giunge a questo punto come un viatico di pacificazione e ritrovato equilibrio con la natura, nella sovrastante solennità dell'esposizione melodica. La scattante “Mowgli Wins the Race” è poi, nella sua brevità, forse la più ficcante e travolgente variazione orchestrale su “Bare necessities”, mentre la lucente chiosa di “The Jungle Book Closes” si incarica di riproporci trionfalmente il tema di Mowgli. Simmetricamente all'inizio, le due canzoni di congedo chiudono il cerchio ideale con papà Walt; la divertente esibizione di Christopher Walken (voce di Re Luigi, nell'originale l'inconfondibile Louis Prima, colonna del jazz italoamericano) in “I Wanna Be Like You” (“Voglio esser come te”) e una scatenata versione dixie di “Bare Necessities”, stavolta offerta da Bill Murray, voce di Baloo (nell'originale era Phil Harris che da noi venne doppiato nel canto da Tony De Falco), accompagnato dal pirotecnico trombettista di New Orleans Kermit Ruffins. Quasi a confermare filologicamente, con un doppio omaggio, quella saldatura col mondo favoloso del jazz nel quale Disney aveva genialmente individuato e rappresentato non poche similitudini con il “suo” mondo della giungla.