"It's all in the (film) music": Intervista a Lukas Kendall (Film Score Monthly) - Parte 1
Negli ultimi dieci anni, i collezionisti di colonne sonore hanno vissuto una vera e propria “era dell'abbondanza”. Se fino a poco tempo prima pareva impossibile vedere pubblicate su CD molte colonne sonore del passato, qualunque collezionista guardi oggi i propri scaffali si renderà velocemente conto che l'enorme quantità (e qualità) di titoli pubblicati negli ultimi anni soprattutto dalle sempre più numerose etichette indipendenti (straniere e italiane) è andata al di là delle più grandi aspettative. Colonne sonore a lungo agognate e desiderate dagli appassionati di tutto il mondo al punto di diventare una vera e propria ossessione sono oggi realtà. Come quasi sempre accade nel mondo del collezionismo di ogni genere e specie (il pezzo unico, la rarità, l'edizione limitata, il titolo che si aspetta da decenni), l'aspetto “filatelico” della faccenda è quello che ci interessa meno. Il lavoro delle varie etichette specializzate è importante soprattutto per il valore storico ed archivistico delle pubblicazioni: si tratta di edizioni preziose, assai curate dal punto di vista produttivo, che rispecchiano l'amore e il rispetto per il lavoro troppo spesso trascurato dei tanti compositori che hanno prestato al cinema la propria arte.
Lukas Kendall, il titolare dell'etichetta indipendente Film Score Monthly, è stato uno dei pionieri di questa nuova età dell'oro del collezionismo di film music (un'era che, come ci dice lui stesso, forse è già arrivata al tramonto). Come molti della sua generazione (classe 1974), la passione per le colonne sonore nasce già in giovanissima età. Il suo spirito avventuriero lo spinge poco più che quindicenne a fondare una newsletter autoprodotta con l'obiettivo di entrare in contatto con altri appassionati come lui negli Stati Uniti e nel resto del mondo per scambiarsi informazioni, opinioni e materiale. Il bollettino si trasforma in poco tempo in una fanzine, ma Lukas ci tiene a dargli il profilo e il tono di una vera e propria rivista professionale. E così nasce Film Score Monthly, la prima rivista americana dedicata alla musica per film. Oltre agli articoli e alle recensioni, cominciano ad apparire interviste ai compositori e contenuti editoriali di spessore. Negli anni dell'università, Lukas redige e pubblica la rivista direttamente dalla sua stanzetta del college. Nel frattempo aumentano i contatti, la tiratura delle copie e l'avvicendamento con l'industria della musica da film hollywoodiana. Divenuta una vera e propria rivista con copertina a colori e contenuti sempre più interessanti, alla fine degli anni '90 Lukas – trasferitosi a Los Angeles – fonda l'etichetta discografica della rivista (da cui prende il nome, FSM) e comincia a produrre una serie di compact disc dedicati a storiche colonne sonore del cinema hollywoodiano. La linea editoriale è assai eccentrica e si concentra soprattutto su titoli poco noti quando non addirittura sorprendenti. Non mancano comunque compositori leggendari e colonne sonore di grande popolarità (qui l'elenco completo di tutte le pubblicazioni). Dopo quasi 15 anni di attività e ben 250 pubblicazioni, Lukas Kendall ha annunciato la chiusura dell'etichetta per concentrarsi sulla sua nuova attività di produttore cinematografico indipendente.
In questa lunga intervista in due parti, Lukas – un appassionato come noi – ci racconta il suo lavoro e la sua storia come produttore discografico in tutti i suoi aspetti: le gioie, le difficoltà, le sorprese e il costante, inflessibile impegno richiesto.
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ColonneSonoreNet: Cominciamo dalla fine, Lukas: il titolo numero 250 della collana di pubblicazioni Film Score Monthly (FSM) è un’edizione definitiva di una storica colonna sonora, Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch) di Jerry Fielding. Nel comunicato stampa è scritto che hai voluto scegliere un titolo a cui sei particolarmente affezionato a chiusura della tua attività. E’ una colonna sonora che ha inoltre una storia particolare in termini di pubblicazioni discografiche. Quali erano i tuoi obiettivi quando hai scelto di produrre un’edizione definitiva di questo titolo? E quali sono state le sfide principali? Sei orgoglioso del risultato finale?
Lukas Kendall: La colonna sonora de Il mucchio selvaggio è stata pubblicato su CD già tre volte prima di questa edizione. Ma quando una cosa del genere ci ha mai fermato? Il CD giapponese dell’album originale consisteva in una serie di estratti dalla colonna sonora (più un paio di brani appositamente registrati, che noi abbiamo remixato per la nostra edizione). Il CD pubblicato da Screen Archives era realizzato a partire dalle bobine mono dello stesso Jerry Fielding (e aveva problemi di tonalità e velocità), mentre il compact pubblicato da Warner Home Video fu prodotto usando i master stereofonici originali, ma era comunque una selezione pensata per un disco singolo. Ho fatto realizzare dei nuovi transfer digitali direttamente dagli archivi della Warner Bros e ci siamo messi a studiare lo spartito originale e tutta la documentazione sulla registrazione presente nella biblioteca musicale della Warner, per avere un’idea esatta di tutti i brani, le sovraincisioni e le revisioni. Ho anche sfogliato tutta la documentazione e gli appunti degli archivi di Sam Peckinpah situati presso la Academy of Motion Pictures Arts & Sciences, per poter tirar fuori materiale interessante riguardo la creazione della colonna sonora. Sono particolarmente orgoglioso di aver recuperato i primissimi demo incisi da Fielding, che erano su un nastro mono presso l’Academy.
La sfida più grande (e la ragione per cui ci è voluto così tanto tempo) è che avevo già cominciato ad occuparmi della nuova fase della mia carriera (ho appena prodotto un thriller a bassissimo budget intitolato Lucky Bastard) e dunque non ho seguito il progetto come avrei dovuto. L’ottenimento della licenza per pubblicare il titolo ha coinvolto sia la Warner Bros. Records che la Warner Bros. Pictures ed è stato un lavoro che ha richiesto molto tempo e molta attenzione. Realizzammo i transfer e i nuovi mix un paio di anni fa, ma ci furono una serie di faccende complicate legate alle licenze. Inoltre, la stesura delle note di copertina ha richiesto molto più tempo di quanto non avrebbe dovuto, sempre a causa del mio minore coinvolgimento diretto. Si tratta di un titolo importante e non potevo prenderlo alla leggera. All’ultimo minuto poi la Warner si preoccupò riguardo i diritti legati ad un brano in particolare (“Darkey’s Awakening”, un brano d’archivio suonato dal banjo) e mi chiese di toglierlo. Io mi opposi fermamente. E’ un brano del 1903, è pubblico dominio! Alla fine ci diedero il permesso sulla base di un accordo che chiamiamo “atto di rinuncia” (ovvero: “Se qualcuno ci fa causa è colpa tua”).
Sono molto felice di aver portato a termine il progetto e a farlo come doveva essere fatto. Sarebbe stato bello poter pubblicare nella loro interezza gli appunti del produttore Phil Feldman indirizzati a Peckinpah che abbiamo scovato nel materiale situato presso l’Academy. In uno di questi, Feldman ad un certo punto risponde piccato a Peckinpah (che voleva licenziare Fielding) dicendogli che era stata una scelta del regista in prima battuta e che non c’erano tempo e soldi per poter ricominciare con qualcun altro. Feldman, che all’inizio non voleva Fielding sulla colonna sonora ma che nel tempo imparò ad apprezzare il suo lavoro (Feldman supervisionò la registrazione della partitura mentre Peckinpah era sul set a dirigere La ballata di Cable Hogue), rimproverò a Peckinpah che Fielding non fu lasciato libero di scrivere la “sua” colonna sonora. Questo ci suggerisce che un tale capolavoro fu davvero un ibrido tra la visione di Peckinpah e quella di Fielding. Viene da pensare cosa avrebbe fatto Fielding se fosse stato totalmente libero di fare quello che voleva. In tutta onestà non riesco ad immaginare una colonna sonora migliore di questa.
CS: Ora torniamo alle origini: in quale momento hai deciso di intraprendere la strada della produzione di edizioni d’archivio di colonne sonore? Quali furono le ragioni che ti spinsero in questa direzione?
LK: Fu molto tempo fa, avevo poco più di 20 anni e ricordo che sembrava una cosa stimolante ed attraente—come dice Indiana Jones, “fortuna e gloria”. Credo che tutti i produttori di colonne sonore come me si sentano emotivamente titolati ad una sorta di “proprietà” artistica, nel senso di essere la persona che offre quella determinata storica colonna sonora ai collezionisti. Sembra quasi che la fama e il successo della colonna sonora possano trasferirsi anche su di te poiché c’è tanta gente che vuole ascoltare quella musica, ma in realtà non è affatto così. E’ un’illusione e il sentimento non dura. Tuttavia, fu un processo evolutivo naturale dopo essermi occupato per tanti anni della rivista Film Score Monthly. E’ stata una sfida e mi ha dato la pagnotta per quasi 15 anni.
CS: Dando un’occhiata al ricco catalogo di CD pubblicati da FSM è impressionate notare sia la varietà che la consistente qualità dei lavori che hai scelto in questi 15 anni. Tutti, ma proprio tutti i grandi compositori sono presenti nella tua etichetta, un primato che pochi possono vantare. Quando hai cominciato avevi già un piano di cò che volevi pubblicare? Oppure hai scelto i titoli e gli autori giorno per giorno mentre andavi avanti?
LK: Non abbiamo mai scelto i titoli su base giornaliera, ma posso dire senza dubbio che abbiamo alimentato un fenomeno che io chiamo “nutrire la belva”. La belva in questione è il piano editoriale, che va alimentato di continuo con nuove uscite. Per nostra fortuna, anche solo 10 anni fa c’era ancora una grande quantità di colonne sonore presenti negli archivi degli studios che dovevano ancora essere pubblicate su CD e che gli appassionati richiedevano a gran voce, dunque fu facile chiedere la licenza per buona parte di questi titoli ed avere così un piano editoriale capace di tenerci occupati per un po' di tempo. La mia filosofia è sempre stata di “nutrire la belva” senza preoccuparmi di quanto appetibili o commerciali fossero i titoli su cui stavamo lavorando. Alcuni best-seller (ad esempio L’inferno di cristallo) ci hanno permesso di pubblicare cose davvero singolari, le quali sono sempre state le più divertenti su cui lavorare. Se non ricordo male è stato Craig Spaulding (titolare di Screen Archives Entertainment, il negozio online che vende i CD di FSM e di tante altre etichette specializzate in colonne sonore, ndr) a coniare il termine “nutrire la belva”, riferendosi al fardello degli ordini da spedire per posta. E non è neanche la cosa più divertente che ha detto: ricordo che una volta avevamo un problema con un CD difettoso e lui fu tempestato di telefonate dai clienti. Lui mi chiamò e mi disse “Questa roba è peggio del Vietnam” (Craig partecipò davvero alla guerra del Vietnam).
Ricordo che ad un certo punto pensai di provare a “radunare” tutti i compositori e di essere sicuro che ciascuno di loro fosse presente nella nostra collana, ma nel momento in cui arrivammo a pubblicare un titolo di Dusan Radic (The Long Ships) posso onestamente dire che non me ne importava più niente. Non trovammo nemmeno una foto di tale Radic da inserire sul nostro sito e così usammo una foto di Spock dell’universo parallelo che sembrava stranamente... giusta.
Alla fin fine, potevamo immaginare ma non sempre predire con esattezza quali titoli avrebbero venduto e quali no: fui davvero sorpreso del numero di copie vendute di Kelly’s Heroes e di Jeremiah Johnson, ma qualunque sogno di raggiungere le legioni di fan della sitcom Lucy ed io grazie a un titolo come The Long, Long Trailer/Forever, Darling svanì molto rapidamente. I titoli di Williams, Goldsmith e Herrmann hanno sempre venduto bene, mentre quello di più grande successo è stato Star Trek II.
CS: Ci puoi raccontare qual è il ruolo di un produttore discografico come te?
LK: Ci sono tre componenti nella produzione di un CD: l’audio, le licenze e il packaging. Il produttore è colui che deve coordinare e supervisionare questi tre aspetti. Lavora insieme ai tecnici del suono per la parte audio, con gli avvocati e il personale degli studios per quanto riguarda le licenze e infine con l’autore delle note di copertina e l’art director per il packaging. Non sei il boss di tutti: sei il capo delle persone che svolgono un lavoro per la tua società, ma per quanto riguarda il lavoro con gli studios, si tratta di negoziare accordi con dirigenti e avvocati. Devi essere sulla stessa linea con tutti e devi usare il tuo buon giudizio sul lavoro che i tuoi collaboratori sono in grado di fare entro un certo periodo di tempo, con qualità affidabile e capace di soddisfare le esigenze di tutti. Devi usare A per ottenere B e via dicendo, fino a che il lavoro non è concluso. E’ questo il lavoro del produttore, non soltanto di quello discografico, ma in qualunque ambito. Si tratta di stipulare accordi ed essere sicuri che il lavoro venga svolto fino a quando il progetto è completo. E’ un lavoro che può fare chiunque, ma richiede un certo tipo di attitudine mentale per farlo bene. La cosa migliore è essere ossessivi e maniaci del controllo, ma devi essere flessibile e pragmatico, che è quasi l’opposto. Il produttore peggiore è colui che non riesce a tenere nulla sotto controllo ma comanda usando il pugno di ferro. Queste sono le persone da evitare nella vita.
CS: La scelta di pubblicare colonne sonore misconosciute e titoli stravaganti è sempre stata un punto d’orgoglio di FSM. Siete riusciti a scovare alcune rarità davvero preziose ed inaspettate, inclusi alcuni lavori davvero singolari di compositori famosi come Goldsmith, Williams e altri nomi eccellenti. Quali sono stati i titoli più sorprendenti in questo senso?
LK: Dovrei scorrere tutto il nostro catalogo per fare una lista come si deve, ma visto che hai citato Goldsmith e Williams mi viene in mente un CD dedicato a due lavori televisivi finiti nel dimenticatoio come Jericho e The Ghostbreaker, in cui troviamo materiale davvero inedito di questi due autori. E’ il genere di cose che mi hanno sempre divertito, ovvero scoprire colonne sonore talmente sconosciute che la maggior parte dei collezionisti non solo non aveva mai ascoltato, ma neanche sapeva che esistessero.
CS: Questi lavori sconosciuti sono probabilmente la maggioranza dei titoli che avete pubblicato, ma non possiamo certo dimenticare che FSM ha pubblicato anche diversi titoli da film di grande successo come Gremlins, Poltergeist, Ben-Hur, Superman, il King Kong del 1976 e molti altri. Hai sentito una maggiore pressione quando hai lavorato su progetti come questi? Oppure non c’è stata alcuna differenza?
LK: Sono ossessivo a tal punto che ho messo il medesimo impegno creativo in tutti i casi, che si trattasse di Superman oppure di, che ne so, Eye of the Devil. Ho sempre sentito la pressione di essere perfezionista. Alcuni dei grossi titoli che citi furono complicati da pubblicare più che altro per ragioni di contratti da stipulare riguardo il fatto che esistevano già dei soundtrack album e dunque abbiamo dovuto chiedere una doppia licenza: una alla casa discografica per quanto riguarda la musica già pubblicata in precedenza e un’altra alla casa di produzione cinematografica per la musica ancora inedita. Gremlins è stato quello che ci ha fatto dannare di più, fu sconfortante e ci è voluto tantissimo tempo per chiudere l’accordo.
I titoli che hai menzionato furono più semplici per me poiché Mike Matessino si è occupato della parte audio, dunque non mi sono dovuto preoccupare di quell’aspetto del lavoro e mi sono potuto concentrare soltanto sugli aspetti legali e burocratici. Il problema casomai è che i talenti di Mike sono talmente richiesti che a volte ci vuole po’ per trovare un buco nella sua agenda.
CS: Quali sono gli aspetti più difficili e complicati del tuo lavoro?
LK: L’aspetto più difficile e complicato è sempre l’incertezza di trovare o meno un master migliore e/o più completo, con il dubbio che magari esiste e quindi bisogna aspettare. Nel settore dello show business si dice che la migliore risposta è “Sì”, ma la seconda migliore risposta è un “rapido no”. Quando qualcuno torna da te e dice “No, non c’è nulla da fare, non esiste, il master è stato buttato via nel 1987”, allora si può finalmente procedere e pubblicare il CD con quello che hai a disposizione. Ma spesso ci siamo trovati ad aspettare che la vedova o un parente di un tizio cercasse in un armadio o in un garage per scoprire se era vero che quel tale aveva un master che includeva proprio quel brano mancante. E la cosa andava avanti magari per anni. Giuro che non scherzo!
E’ sconfortante pensare di avere un master completo a disposizione per poi scoprire che ci sono uno o più brani danneggiati o mancanti. Ogni volta che ricevevamo il transfer di un master trattenevamo il fiato fino a che tutto quanto non risultava a posto. Mi vengono in mente i poliziotti di telefilm come Homicide o The Wire, chiamati sulla scena del crimine sperando che si tratti di un caso facile da risolvere. Non abbiamo a che fare con la vita o la morte, è solo musica da film, ma a volte, dopo aver ricevuto e controllato il transfer, ci dicevamo “Aspetta, dov’è la sovraincisione del pianoforte?” o “Dov’è il brano conclusivo?” oppure “Ma perché si passa dalla bobina numero 6 alla bobina numero 8?” –“Oh, la bobina numero 7 fu buttata via dopo il terremoto del 1994, si era allagato il magazzino e la scatola che la conteneva era sullo scaffale in basso”, rispondeva lo studio. E dunque dovevamo pensare a un piano B: il compositore avrà una copia dei master? E il compositore è uno che collabora in queste cose? Ci sarà qualcuno che lavora nello studio di registrazione che ha una copia di backup?
Ecco un esempio di CD che abbiamo aspettato a pubblicare non per la mancanza del materiale, ma perché non riuscivamo a risalire all’identità di un brano specifico: durante le registrazioni della colonna sonora di Il grande Santini, Elmer Bernstein incise una marcia che aveva scritto per la celebrazione di un suo amico che diventava rettore dell’Università della California a Santa Barbara. Ma nella documentazione in possesso dallo studio non c’era scritto nulla. Era una marcetta che non appariva nel film e che aveva un codice di identificazione che non corrispondeva con il resto dei codici usati nelle registrazioni. Ecco dove l’esperienza di produttore di oltre 200 album viene in aiuto: abbiamo chiamato David Spear, l’orchestratore di Elmer Bernstein, e tra i suoi ricordi e le ricerche fatte dai nostri amici alla USC dove è conservato l’archivio del compositore siamo riusciti a identificare il brano e a includerlo nel CD come bonus track. Non mi piace parlare male dei miei colleghi, ma mi chiedo onestamente quanti di loro avrebbero fatto la fatica di risolvere questo problema al posto di includere la traccia come “brano misterioso” o a lasciarla fuori del tutto.
Dal punto di vista delle beghe legali, ci siamo trovati a volte a dover fare un contratto con una terza parte per avere l’approvazione necessaria per chiudere un progetto. Si poteva trattare di un cantante o di un attore raffigurato nel poster del film usato sulla copertina o nelle foto sul libretto. Nel caso di Raintree County abbiamo dovuto pagare un bel dazio alla EMI e agli eredi di Nat King Cole per poter usare la sua traccia vocale (come avremmo potuto lasciarla fuori dopotutto?). Ho sempre detestato questo genere di cose e devo confessare una certa amarezza per averci avuto a che fare per così tanti anni. E’ come essere in ostaggio e dover pagare il riscatto. Fa sprecare un sacco di tempo e si mangia interamente il tuo margine di guadagno.
Poi c’è il problema di dover aspettare che lo studio faccia ricerche per conto tuo e improvvisamente qualcuno che lavora lì tira fuori un vecchio pezzo di carta per stabilire chi controlla i diritti di questo o di quello. E ti ritrovi alla mercé di personalità di vario genere. Alcune persone – non così tante – amano fare bene il proprio lavoro e gli piace risolvere problemi, far contenti gli altri e contribuire ad un lavoro di qualità. Ahimé sono individui sempre più difficili da trovare. All’estremo opposto invece troviamo persone che sono semplicemente pigre e meschine. Hanno deciso che non gli piace la tua faccia o il tuo tono di voce e se ne vengono fuori con un milione di scuse per sabotare il tuo lavoro. La maggioranza delle persone sta nel mezzo di questi due estremi. Insomma, sono esseri umani. Hanno un sacco di lavoro da sbrigare, sono contente di lavorare con persone gentili nei loro riguardi, cercano di darti una mano ma hanno problemi più grandi da risolvere e dunque non gli importa granché di te, mentre tu devi avere un po’ di pazienza ed aspettare che ti aiutino, se hanno la capacità e l’autorita di farlo.
Il problema ricorrente più grande era sempre controllare chi aveva i diritti della musica inedita di una colonna sonora che era stata già pubblicata in passato su LP. Alcuni contratti sono scritti in un modo che l’etichetta discografica praticamente ha i diritti di qualsiasi cosa sia stata incisa per quel film. In altri casi, il contratto specifica un elenco di brani e dunque, per poter pubblicare il resto dei brani (quelli inediti), bisogna chiedere una nuova licenza allo studio che ha prodotto il film. Nel tempo sono diventato molto scaltro a convincere le persone a spedirmi un contratto così che io potessi leggerlo e stabilire di che cosa ci fosse bisogno, ma alcuni non ne volevano sentir parlare e dunque ero alla loro mercé. Non so dirvi quante volte ho fatto la stessa domanda ricevendo ogni volta una risposta diversa. In un paio di occasioni, nel corso di una telefonata, ho cercato di attirarmi le simpatie di qualcuno spiegando che ero in una siutazione “kafkiana” e pregando il loro aiuto. Poi mi venne in mente di chiedere “Sa che cosa significa?”. E loro non sapevano cosa volesse dire “kafkiano”, erano parte del sistema che genera queste cose. Che cosa ci puoi fare?
Una compagnia discografica in particolare era la peggiore in questo senso. Non c’era verso di fargli capire che le colonne sonore sono registrate ed incise come brani individuali – 1M1, 1M2, eccetera – e che con questi ci si compila l’album. Ogni volta che aggiungevo un brano inedito, loro saltavano fuori chiedendo “E questo di chi è? Di chi sono i diritti? Da dove salta fuori?”. Salta fuori dalla colonna sonora che voi controllate, dai master che sono presenti nei vostri archivi!
Posso dirti che oggi sono felice di essere fuori da tutto questo casino? Sono sicuro che nel tempo le cose mi sembreranno più leggere – sono davvero orgoglioso del mio lavoro e dei miei colleghi – ma credo fermamente nel valore della trasparenza e in questo particolare momento confesso di essere davvero stanco di queste cose. Fa parte della natura umana aspettarsi che, se sei bravo nel tuo lavoro, un giorno riceverai una promozione o un avanzamento di carriera. Ma nel settore delle etichette specializzate in soundtrack le cose stanno andando nella direzione opposta. Non c’è promozione o avanzamento che nessuno possa dare. Il mercato sta diventando sempre più difficile e i soldi sono sempre meno.
CS: Possiamo solo immaginare quanto possa essere frustrante aver a che fare con questo genere di cose. Ciononostante, quali sono i titoli che hai pubblicato ai quali sei maggiormente affezionato?
LK: Così, su due piedi, direi che ci sono alcune colonne sonore della “Silver Age”, come ho voluto chiamarla, che hanno un valore speciale per me: The Illustrated Man, The Omega Man, The Yakuza, Wait Until Dark, Logan’s Run. In tutti questi lavori ci sono delle melodie e un atmosfera che amo molto. La maggior parte delle volte sono arrivato a detestare la colonna sonora su cui stavo lavorando, dopo averla ascoltata per così tante volte nel corso della produzione del CD. Ma i titoli che ho citato prima sono rimasti illesi da quel processo.
CS: Il mercato delle edizioni limitate di colonne sonore è cambiato ed evoluto molto da quando hai inaugurato la tua etichetta. A quel tempo, le edizioni d’archivio di colonne sonore erano assai rare, una manciata di titoli all’anno e quasi solo di film hollywoodiani particolarmente famosi. Oggi invece abbiamo almeno 5 o 6 nuove uscite ogni mese, pubblicati da diverse etichette specializzate. Quanto è stato difficile lavorare in una nicchia che è diventata sempre più affollata man mano che passavano gli anni?
LK: Sono accadute diverse cose, anche se non tutte nello stesso momento. Il problema è diventato evidente nell’autunno del 2008, quando è scoppiata la crisi economica globale. Prima di allora, sembrava che tutte noi etichette specializzate godessimo di rapporti privilegiati con i vari studios e raramente ci capitava di competere per pubblicare gli stessi titoli. Da un certo punto in poi, i rispettivi piani editoriali hanno cominciato ad accavallarsi di continuo. Per un lungo periodo pareva che i collezionisti pregassero perché potessero acquistare sempre più CD, ma poi cominciarono a lamentarsi che non avevano le risorse per comprare tutto quello che usciva. Hanno cominciato ad acquistare solo quelli a maggior rischio di esaurimento copie, pensando che il resto sarebbe stato disponibile anche dopo. E’ ciò che in economia si chiama “tragedia dei beni comuni”, una situazione nella quale gli individui utilizzano una risorsa comune per interessi privati. Le etichette sono dunque incentivate a pubblicare i titoli in minor numero di copie e ad un prezzo più elevato per aumentare la propria quota di mercato, ma la vera conseguenza è che il mercato si riduce poiché si esauriscono la risorse fondamentali per la sua sopravvivenza: i soldi e la volontà dei collezionisti.
Fino a qualche anno fa, Intrada aveva l’abitudine di pubblicare sul suo sito un finto elenco di nuove uscite come “pesce d’Aprile”. Era un elenco pieno di “icone sacre” (“Holy Grail” in inglese, ovvero “Santo Graal”, che nel gergo dei collezionisti di colonne sonore significa appunto un titolo particolarmente desiderato e mai pubblicato, ndr) che nessuno pensava di veder mai pubblicate. Bene, oggi sono tutte disponibili: Star Trek, Conan il barbaro, Ritorno al futuro—la lista è lunga. Quei titoli si sono trasformati da assurda fantasia in una vecchia abitudine. E dunque, che cosa rimane da pubblicare alle etichette? La risposta è semplice: qualunque cosa su cui si riesca a mettere le mani. Come dicevo prima, bisogna “nutrire la belva”. Oggi i collezionisti più insistenti richiedono cose di cui nemmeno io ho mai sentito parlare, se mai chiedono ancora qualcosa. A volte chiedono di pubblicare titoli che sono già disponibili, ma non se ne rendono neanche conto.
Guardate il fenomeno delle ristampe: qualche anno fa noi di FSM abbiamo pubblicato un CD di Sinhue l’egiziano (musica di Alfred Newman e Bernard Herrmann) e non eravamo sicuri che avrebbe venduto bene, era già stato pubblicato su CD (sebbene con molta meno musica) ed era anche stato nuovamente inciso da altre persone. Ciononostante, ha venduto molte copie perché si tratta di una colonna sonora piuttosto nota. Oggi invece le etichette pubblicano regolarmente ristampe di CD di titoli usciti degli anni ’80 e ’90, ma anche di quelli pubblicati da un’altra etichetta specializzata soltanto pochi anni fa. E’ una follia!
Dopo lo scoppio della crisi del 2008, i collezionisti hanno cominciato a tagliare vistosamente l’acquisto di CD e da allora il mercato non si è più ripreso. E poi ci stati eventi di scala minore, come la morte di alcuni collezionisti storici. E’ una cosa triste perché erano persone che conoscevamo bene anche solo via email o per telefono, ma ricordo che il mio lato puramente mercenario (ragazzi, scusate la franchezza) cominciò a pensare “Quella persona acquistava almeno 20 dei nostri CD ogni anno, abbiamo 400 dollari in meno sui nostri guadagni”. Scusatemi davvero se parlo in questi termini di persone reali, li conoscevo bene quasi tutti e sono sempre stati leali e di grande supporto. Infine, i titoli che hanno sempre venduto di più erano quelli di compositori come Goldsmith, Williams e Barry, ma anche i titoli della “Golden Age” avevano una loro mercato. Oggi invece vendono praticamente solo i titoli degli anni ’80 e ’90 (Elfman e Zimmer) e il resto ha una quota molto ristretta—la Golden Age è diventata consistente quanto i film muti.
C’è poi da aggiungere che non c’è stato un vero ricambio generazionale tra collezionisti a causa di un cambiamento fondamentale: l’acquisto via digital download. La maggior parte delle persone di una certa età – diciamo dai 40 anni in su – ancora non si fidano del digital download: non gli piacciono i formati compressi come mp3 e non si fidano ad acquistare qualcosa che esiste soltanto sul proprio hard disk e non su un pezzo di plastica che possono stringere tra le mani. I più giovani invece se ne fregano, non fa alcuna differenza per loro. I collezionisti più giovani non sono solo assolutamente contenti di scaricare musica, ma lo fanno anche gratuitamente ed illegalmente. Ricordo benissimo che quando esplose il fenomeno di Napster pensavo “Mah, è una cosa passeggera, non mi riguarda”. Ma quando io avevo 16 anni (era il 1990) dovevo per forza comprare un CD o una cassetta. Al massimo potevo scambiarmi le audiocassette con gli amici e fare una copia. Oggi invece c’è chi scarica interi cofanetti illegalmente e nulla li può fermare. Anche se volessero acquistare tutto legalmente non avrebbero comunque soldi abbastanza per poterlo fare. I CD costano! Quanto può spendere un collezionista in CD di colonne sonore ogni mese? 100, 200, 500 dollari? Pensate a quello che è successo al settore dei fumetti: quando ero ragazzino un albo costava 60 cents, con 6 dollari al mese me ne portavo a casa dieci. Oggi invece un albo costa 3 dollari e 99 centesimi—quanti ragazzini di 11 anni conoscete che possono permettersi di spendere 40 dollari al mese solo per i fumetti? E’ un settore che si è ucciso con le proprie mani. I produttori discografici come me non hanno nessuna consapevolezza dei problemi economici che un normale collezionista deve affrontare. Sapete perché? Non solo per la ragione che siamo spinti a pubblicare più titoli anziché meno, ma perché riceviamo tutti (o quasi tutti) i CD gratuitamente come cortesia professionale. Noi stessi siamo ancora collezionisti. Dopo che fondai la rivista nel 1991 mi resi conto che potevo ricevere gratuitamente tutti i dischi che volevo, bastava soltanto che scrivessi una recensione.
Ho messo in guardia i miei amici che lavorano presso le altre etichette specializzate: avete ancora qualche anno a disposizione, dovreste cominciare a pensare a cosa farete dopo. Gli amici di Screen Archives sono stati abili a spostare il proprio business sui DVD e i Blu-ray a tiratura limitata, ma avranno lo stesso problema quando anche i film, come la musica, si acquisteranno soltanto via download digitale (anzi, sta già accadendo), ma hanno tuttavia una base di collezionisti che sembrano riuscire sempre a soddisfare, dunque hanno le capacità per rimanere in piedi.
CS: In questo senso, quanto è stato importante mantenere un rapporto stabile e proficuo con i vari studios hollywoodiani?
LK: Sono stato fortunato ad avere una lunga e solida relazione con la Rhino Records e la Warner Bros dal 2003 al 2010, lavorando con un gruppo stabile di dirigenti che mi ha sempre aiutato e che si fidava di me. La grossa fetta del mio business è arrivata da qui. Certo, potevo comunque bussare alla porta degli altri studios per chiedere la licenza di questo o quel titolo, ma non ho mai dovuto preoccuparmi di come costruire la spina dorsale del nostro catalogo. Alla fine mi sono persino stufato di provare a convincere le persone a farmi pubblicare questa o quella colonna sonora, c’era molta competizione tra le varie etichette specializzate e i guadagni materiali e spirituali erano sempre meno.
Ecco un esempio di come questo settore stia precipitando: negli anni ’90, per ottenere una licenza di un album da una major, l’accordo era stabilito su un minimo di 10000 copie. Qualche anno dopo il limite fu fissato a 5000. E poi divenne 3000 (lo standard su cui ci siamo assestati noi, anche se la maggior parte dei titoli vende 1500-2000 copie). Oggi gli accordi si chiudono su un minimo di 1000 copie. Questo è il livello della disperazione di persone che cercano di spremere l’ultimo dollaro possibile da ciò che gli è rimasto negli archivi.