Milano – Venezia, solo andata...: Incontro con Pino Donaggio
Milano – Venezia, solo andata...
Incontro con il compositore Pino Donaggio in occasione dei suoi 40 anni di attività con la musica per film (1973 – 2013)
a cura di Andrea Natale in collaborazione con Massimo Privitera
Nonostante il mese di ottobre sia già piuttosto avanzato, a fare da cornice alla nostra trasferta a Venezia c'è una giornata nella quale il sole si stiracchia e riesce ancora a intiepidire l'atmosfera, regalandoci un gradevole viaggio in vaporetto. Arriviamo a Salute dalla Ferrovia per incontrare Pino Donaggio che ci ha dato appuntamento presso il suo studio nel sestiere Dorsoduro, a pochi passi dalla celebre basilica capolavoro del Barocco veneziano.
Buranello di nascita, Pino Donaggio, per i “non addetti ai lavori”, è il celebre cantautore degli anni Sessanta, dieci volte concorrente al Festival di Sanremo tra il 1961 e il 1972, con un terzo posto nel 1963 con “Giovane giovane” e un quarto posto nel 1966 con “Una casa in cima al mondo”, ma soprattutto l'autore (su testo del compianto Vito Pallavicini) di un successo immortale e internazionale quale “Io che non vivo (senza te)” che, con la versione in lingua inglese “You Don't Have To Say You Love Me” realizzata e interpretata dalla cantante Dusty Springfield (che l'ascoltò proprio a Sanremo nel 1965), fece il giro del mondo entrando nelle classifiche degli ascolti di moltissimi Paesi. E tra gli artisti che la vollero interpretare anche il grande Elvis Presley...
Ma precedentemente Pino Donaggio, nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando la musica leggera non era ancora entrata nella sua testa e nella sua vita, era un talentuoso violinista alla corte di Claudio Scimone e Claudio Abbado e i loro virtuosi interpreti del repertorio barocco. Poi quindici anni di attività cantautoriale, il contemporaneo diploma in violino con studi presso i Conservatori di Venezia e Milano e infine l'approdo alla musica per film, in una nebbiosa mattina veneziana del lontano 1973, proprio su un vaporetto che gonfiava le acque della laguna. Ma questa è una storia già nota mentre la nostra, quarant'anni dopo, comincia soltanto ora...In quarant'anni Donaggio ha confezionato oltre duecento colonne sonore delle quali circa un 40% destinate alla televisione italiana, un 35% al cinema italiano, un 17% al cinema straniero e un 8% alla televisione straniera. Non ha mai abbandonato la sua Venezia, dove vive e compone e dove oggi ci accoglie con gentilezza per una lunga chiacchierata che ci consentirà di indagare più a fondo circa la sua carriera di “soundtracker”...
Colonne Sonore: Dopo tanti anni di concerti come cantante, da quando ha iniziato a occuparsi di cinema, non le dispiace non esprimersi più a livello concertistico con la sua musica?
Pino Donaggio: Mi piacerebbe ma io non ho mai diretto. Nel 1958, quando avevo 17 anni, ero l'unico non diplomato che suonavo con i Solisti di Milano di Claudio Abbado che mi sentì eseguire musica da camera e mi invitò a suonare col suo gruppo. La cosa in cui ero veramente bravo non era né cantare né scrivere canzoni né musica per film (come ho fatto poi), ma suonare il violino e il mio sogno era fare il solista, non certo il cantante. Lavorando con Abbado ho visto subito come si dirige: intanto bisogna avere l'orecchio assoluto; che poi tanti dirigano senza averlo è un altro discorso... Serve per avere il rispetto dall'orchestra. Se tu senti uno sbaglio, ti fermi e va bene, ma il bello è poter dire “guarda che quel fa diesis era crescente” oppure “hai fatto un fa naturale anziché un fa diesis”. Io soffro se non posso dire queste cose e per questo non ho mai diretto. Poi io mi arrabbio già subito all'inizio quando sento che stonano; da ragazzo, nei primi film che facevo, diventavo matto in sala. Da lì ho deciso che non avrei diretto mai. Mi hanno anche chiesto di fare dei concerti ma non mi attira. E poi c'è l'emozione, il contatto col pubblico; io ho smesso di cantare anche per quello, perché non ne potevo più.
CS: Si può affermare che la sua musica per film rappresenti una perfetta sintesi tra le forme e le strutture della musica colta classica che ha eseguito durante il periodo adolescenziale e le ispirazioni melodiche che hanno invece caratterizzato la quindicennale stagione cantautoriale?
PD: Sì, senz'altro lo è; io sfrutto tutto quello che ho studiato e mi è rimasto nell'orecchio. Ho usato spesso le forme classiche, per esempio in Botte di Natale ma anche, in funzione ironica, in Going Bananas (My African Adventure) e poi anche, in maniera più moderna e dissonante, nel film di Rubini Colpo d'occhio.
Io parto sempre dai ricordi, o parto dal classico, o dalle canzoni, o dal pop, parto sempre da qualcosa che ho studiato e praticato. Alla fine quello che incameriamo da ragazzi viene sempre fuori. Io sono cresciuto ascoltando mio padre che suonava il violino e mio zio che suonava il flauto ed era primo flauto nell'Orchestra della Fenice e quindi sono due strumenti che mi sono entrati dentro. Anche quando ho fatto i provini per il mio primissimo film Don't Look Now [A Venezia... un dicembre rosso shocking, 1973 NdR], ho cantato il tema principale imitando con la voce il flauto e accompagnandomi col pianoforte e, pur non avendo mai composto prima per il cinema, mi hanno affidato la musiche con le quali poi ho vinto il premio come miglior colonna sonora dell'anno e da lì ho pensato di dedicarmi al cinema smettendo di fare il cantautore.
CS: Ha citato il film Botte di Natale. Parliamo un po' del cinema western. Lei ha musicato altre due pellicole di questo genere oltre al film di Terence Hill: Amore, piombo e furore diretto da Monte Hellman nel 1978 e Il mio West di Giovanni Veronesi nel 1998.
PD: Nelle musiche western bisogna cercare di fare qualcosa di diverso e non è semplice perché le hanno fatte in tutti i modi. Prima cosa è non imitare Morricone. Io saprei farlo come lo fa lui, anzi l'ho fatto prima di lui con le canzoni, ne “La rapina” per esempio, che era precedente a Per un pugno di dollari. È chiaro che farlo adesso non avrebbe più senso perché è uno stile datato.
Il primo western di Monte Hellman era un film più intimista, ho utilizzato la fisarmonica a bocca, le chitarre, c'è un grande tema coi violini sulla sorgente; mi è sembrata la strada migliore dei tre, coi suoni più vicini a Bob Dylan che ai compositori di Hollywood. Era tra l'altro una delle mie prime partiture per il cinema e non conoscevo molti autori di colonne sonore, a dire il vero non conoscevo neanche Bernard Herrmann finché De Palma non mi ha chiamato per sostituirlo [per il film Carrie del 1976 - NdR]. Musicalmente Botte di Natale è il mio western più bello, mi sono staccato dai cliché delle abituali musiche dei film con protagonista la coppia Bud Spencer-Terence Hill. Il mio West era un film particolare, girato in Toscana, con un cast d'eccezione, Leonardo Pieraccioni, Harvey Keitel e la rockstar David Bowie; ebbe un buon successo, non certo come gli altri film di Pieraccioni, ma incassò bene. Il tema più importante è vicino allo stile di Tiomkin, e poi ci sono dei brani semplici. In un brano addirittura canto anch'io facendo la voce di un indiano; ho fatto un provino, è piaciuto al regista e l'abbiamo tenuto...
CS: Qual è invece il suo rapporto con la commedia, visto che viene spesso catalogato come autore di musiche per film horror, thriller, noir e d'azione?
PD: La prima commedia che ho musicato è stata Cin Cin diretta nel 1991 da Gene Saks con interprete Marcello Mastroianni perché dovevo staccarmi da questa etichetta di autore di film “da paura”, benché io all'estero sia famoso proprio per quelli. Anche al Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna di Sitges, dal quale sono appena tornato, mi hanno fatto una grande festa, conoscevano molto bene le mie musiche, dalla prima all'ultima. Facendo le canzoni - penso a “Giovane giovane”, “Il cane di stoffa” e altre ancora - una certa vena melodica e anche ironica ce l'avevo dentro e quindi si poteva adattare bene al genere commedia. Ormai ho acquisito uno stile a tal punto che alla Lux Vide mi dicono che mi hanno imitato in troppi e così adesso mi tocca cambiare il mio stile perché altrimenti è sempre la stessa musica che si sente nelle fiction.
CS: Per l'appunto, molto significativa è la sua produzione per la serialità televisiva, sia breve che lunga. Tra le più importanti serie lunghe Don Matteo, Provaci ancora Prof, Un caso di coscienza e Sospetti e tra le miniserie ricordiamo Il grande Torino, Joe Petrosino, Sissi. Cosa cambia nel rapporto con il regista e la produzione rispetto al lavoro che svolge per il cinema?
PD: Non è che cambia molto. Quando un regista gira una fiction lavora come se lo stesse facendo per il cinema. L'unica cosa è che nella musica lavori per la prima puntata coi synch e poi, man mano che la serie procede, si scrivono dei pezzi magari più lunghi. Spesso, quando io vado a realizzare la musica, il regista non ha ancora girato la puntata per la quale la musica è destinata. Quindi la prima puntata si fa come un film per il cinema e poi, nelle successive, si lascia libertà al montatore di adattare le musiche alle scene, altrimenti alla produzione costerebbe tantissimo. Per esempio per Don Matteo ho registrato tutti i brani per la prima serie [andata in onda nel 2000 - NdR], poi ho registrato qualche musica aggiuntiva per le successive serie fino alla sesta perché c'erano dei personaggi nuovi; per l'ultima serie, la nona [che andrà in onda a febbraio 2014 - NdR] non ho composto nulla di nuovo.
CS: Tra le sue più recenti miniserie televisive c'è Cesare Mori – Il prefetto di ferro di Gianni Lepre (andato in onda su Raiuno nel settembre 2012). Ci parla un po' del lavoro svolto e delle scelte timbriche che riecheggiano il contesto siculo?
PD: Trattandosi di un film in costume ambientato nella Sicilia dei primi decenni del Novecento, Lepre voleva una musica con la zampogna e i flauti etnici e anche con i violini un po' arabi e il canto delle donne; lui cerca sempre di inventarsi qualcosa di nuovo e originale. Ha vinto un premio come miglior fiction dell'anno. Lepre è uno dei registi con i quali ho lavorato di più [8 film per la televisione - NdR] e anche adesso sto lavorando con lui.
CS: Cosa ne pensa della temporary music?
PD: Ne abbiamo parlato anche al Festival di Sitges. Penso che è da tempo che non scrivo quello che voglio perché condizionato dalla temp track. Ce l'ho avuta anche su Passion di De Palma e non era mai successo nei precedenti sei film che ho fatto con lui. Sono stato guidato da lui pezzo per pezzo. Quando mi ha chiesto un tema per la scena in cui Isabelle viene umiliata, ho scritto diversi brani ma a Brian non piacevano, finché mi ha chiesto un pezzo simile al “Prélude à l'Après-midi d'un faune” di Debussy per pianoforte solo; poi mi ha fatto aggiungere un violoncello, ma non era così convinto. Nei precedenti film Brian ascoltava la mia musica in sala, quando era già finita e registrata con l'orchestra. Per quest'ultimo film invece ha voluto sentirla prima. Andiamo a Praga ed entriamo in sala d'incisione con la Czech National Symphony. Io però avevo tenuto il primo tema e ho pensato allora di metterlo sui titoli di coda. Quando Brian ha ascoltato il tema - che diceva che non lo emozionava - arrangiato con gli archi e non coi demo, alla fine si è deciso e ha messo quello. Molte volte sentire prima i temi non è produttivo. De Palma mi ha detto che dovevo stare molto vicino alla musica che aveva già montato sul film perché aveva trascorso mesi col montatore a provare la musica che voleva. Io ho portato vari pezzi che poi a lui non andavano bene anche se erano comunque belli e magari più funzionali per il film; purtroppo non c'è mai la controprova. Comunque alla fine Brian è stato contentissimo della musica e mi ha detto che avrebbe potuto vincere il Leone d'oro, non sapendo che alla Biennale non viene assegnato un premio per la colonna sonora. La sua idea era quella di ridare ai giovani il clima di Raising Cain [Doppia personalità, 1992 - NdR]. Alla fine a lui Passion è piaciuto ma non so in quale posizione lo considera nella sua filmografia.
Per esempio nel film La partita [Carlo Vanzina, 1988 - NdR] era stato inserito come temporary music un pezzo di John Barry in 5/4, quindi il montatore ha preso dei synch in 5/4; solo che se poi tu componi un pezzo originale in 3 o 4/4, non becchi più un synch nel film! Hanno usato anche dei miei brani come temporary music; è successo con The Howling. Per esempio Morricone è uno che si arrabbia se sente della temporary music. Ricordo che per Oorlogswinter il regista Koolhoven mi ha mandato il film senza temp track, anche se ce l'aveva, e così io ho composto le mie musiche che alla fine sono risultate molto simili a quelle temporary pur non avendole ascoltate già montate sulle immagini... La musica la mettono prima anche per i produttori che, se vedono una scena troppo lunga senza musica, la fanno tagliare, mentre la musica supporta meglio la scena e quindi magari essa viene tenuta integralmente. Avrà anche una funzione pratica ma per il musicista è un condizionamento e si rischia di scopiazzarla.
CS: Le è mai capitato di rimanere deluso del montaggio o del mixaggio finale delle sue musiche vedendo il film per il quale ha lavorato al cinema oppure in televisione? Come ha reagito in questi casi?
PD: Da tempo ho deciso di non andare più al mix. D'altra parte se il regista vuole una cosa, anche se io non sono d'accordo, non ci posso fare niente. Poi i registi hanno sempre un amico che dice una cosa, uno un'altra e che gli fanno cambiare idea, son sempre indecisi. Mi piacciono De Palma, Fragasso e Argento, che sanno cosa vogliono dalla musica e come la vogliono; è vero che hanno dei film in cui la musica è particolarmente importante, ma sanno bene quello che vogliono. Sulla suspense le musiche vanno sempre bene. È nelle commedie che si trovano i dislivelli. Quando ho fatto Black Cat con Lucio Fulci, per la prima volta ho trovato un regista che mi ha detto “fai te”, non mi disse nemmeno i punti musica. Solo che poi il mixatore ha tenuto la musica nel film talmente bassa che sembrava un tappeto sonoro e che io odio. Ecco, quella per esempio è stata una delusione...
CS: Ci racconta qualcosa del suo rapporto con il genere politico-noir e in particolare del suo connubio artistico con il regista Claudio Fragasso, molto attento a valorizzare e a dar ritmo al contributo musicale nei suoi action-movies, e anche con Giuseppe Ferrara e il suo cinema politico?
PD: I film di Fragasso di norma non piacciono ai critici perché sono di genere, d'azione ma, se ho preso dei premi per la mia musica, li ho presi principalmente coi suoi film, come il Globo d'oro nel 1996 per le musiche di Palermo Milano – Solo andata. Con lui posso esprimermi di più sul ritmo e i temi d'azione. Siamo molto amici; insieme a Terence Hill e Gianni Lepre, Claudio è il regista cui sono più legato umanamente al di fuori del contesto professionale. Con altri magari fai anche tre o quattro film insieme ma poi non li vedi più. Con Fragasso leggo prima il copione, so già qual è la musica che vuole; poi lui viene qui a Venezia, mi dà degli esempi di cosa vorrebbe ma mi lascia abbastanza libero di scrivere. Mi era piaciuto molto lavorare con lui per Le ultime 56 ore [uscito nel 2010 - NdR].
Con Giuseppe Ferrara ho fatto cinque film. Lui ebbe successo subito con Il caso Moro nel 1986 e anche Giovanni Falcone qualche anno più tardi andò benissimo; poi ebbe sempre più difficoltà nei successivi. Io punto un pochino a diversificare la musica secondo il regista, non porto la mia musica al film ma adatto lo stile in base al regista e al tipo di film che realizza e a quello che vuole. In Falcone avevo cercato dei canti siciliani con delle voci, mi piaceva la ricerca di quelle cose, c'era sempre ritmo ma in senso più siciliano; una certa ricerca sui canti e sui riti l'ho fatta e ho anche campionato dei canti originali. Anche Ferrara mi lasciava autonomia, però parlavamo dei punti musica. C'è sempre stato un buon rapporto anche se non è un amico come gli altri. Gli piaceva la mia musica e mi chiamava sempre. Nei suoi film la musica è fatta di ritmo, colpi e utilizzo di elettronica. Io sono uno spettatore che scrive la musica per il film, guardo le immagini innanzitutto come spettatore e cerco l'emozione da trasmettere poi attraverso la mia musica.
CS: Qual è invece il suo rapporto con i Vanzina?
PD: Carlo mi ha lasciato libero. Su Sotto il vestito niente – L'ultima sfilata [uscito nel marzo 2011 - NdR] non c'era la temp track e abbiamo scelto insieme i punti musica. Io sono amico del DJ Tommy Vee che mi ha proposto di fare in versione disco il tema “Telescope” di Body Double [Omicidio a luci rosse, 1984 - NdR] e così l'abbiamo proposto a Carlo per la scena iniziale della sfilata. Secondo me non era male come film; Carlo sperava che, usando il titolo Sotto il vestito niente, chi aveva visto il primo [che ebbe invece un ottimo successo al botteghino - NdR] andasse a vederlo e invece non è andata molto bene, la gente non è entrata in sala. Con lui il rapporto è cordiale. Due anni fa, proprio al termine del mix di Sotto il vestito niente – L'ultima sfilata, mi chiamò dicendomi che la musica era veramente bella e si sentiva in dovere di dirmelo. Per le commedie non mi ha mai chiamato perché dice che mi considera come Morricone, tra i grandi, e quindi non gli va di farmi fare delle canzoni, che lui usa molto nei suoi film comici.
CS: Ha collaborato anche per tre film di Tinto Brass...
PD: Beh, Tinto è veneziano, ci conosciamo bene. Ci tiene molto al montaggio e avrebbe voluto prendere un premio per quello. Alla fine non è un vero e proprio lavoro di colonna sonora ma lui ti chiede semplicemente dei pezzi che poi monta liberamente sulle scene senza fartele vedere prima. Per l'ultimo film [Tra(sgre)dire, 2000 - NdR] volevo togliere il nome perché il produttore non mi pagava. Poi Tinto ha insistito e ci teneva molto che firmassi le musiche. Comunque è un tipo simpatico e lavorerei sempre con lui; certo i suoi film sono di genere erotico e non gli fanno fare altro. Alla fine con Tinto mi sono anche divertito ma non posso dire di aver fatto delle vere e proprie colonne sonore coi suoi film. Diciamo che si tratta più di musica montata sopra le immagini.
CS: Recentemente è scomparso Carlo Lizzani...
PD: Con Lizzani avevo fatto un documentario su Venezia e poi ho fatto La trappola, un film per la televisione con Johnny Dorelli, Mario Adorf e Florinda Bolkan; poi lui ha lavorato con Manuel De Sica perché io ero sempre impegnato. Era una brava persona. Mi ricordo che eravamo a Roma a mangiare in Piazza del Popolo con la produzione e, siccome lui è arrivato in ritardo, sono andati via tutti e sono rimasto io a fargli compagnia. È stato un rapporto minimo, mi sembrava abbandonato. Mi ha rivelato che in Riso amaro di De Santis non è Gassman che balla ma aveva fatto lui da controfigura. Ho capito con lui che cos'è il neoralismo perché prima non lo conoscevo. Era un tipo solitario, ma anch'io lo sono; evito infatti di andare ai festival, non sono un parlatore e l'impatto col pubblico mi emoziona sempre.
CS: Qual è il suo rapporto artistico con Paolo Steffan?
PD: Con Paolo abbiamo iniziato a collaborare perché mi serviva il testo inglese per una canzone del film The Barbarians di Ruggero Deodato [“Ruby Dawn”, 1987 - NdR]. Con lui collaboro per le musiche realizzate con synth e con ritmiche e suoni elettronici particolari. Lui mi mette a posto tutti i synth e le sezioni ritmiche che io non definisco nella prima stesura. È un bassista ed è molto bravo a fare canzoni; ha suonato una vita, lavorava a Milano e ha suonato anche con il batterista dei Led Zeppelin ed è un esperto del repertorio dei Beatles, che conosce ed esegue spesso.
Voglio citare anche Natale Massara, il quale mi ha aiutato molto all'inizio della mia carriera per il cinema quando non arrangiavo ancora e con il quale collaboro tuttora stabilmente, e altri validissimi musicisti collaboratori subentrati successivamente come i compositori e direttori Maurizio Abeni e Gianluca Podio.
CS: Per le sue produzioni, lei ha lavorato con diverse orchestre e, specie negli ultimi vent'anni, c'è stato uno spostamento nell'Est europeo e, sia per il cinema che per la televisione, i suoi principali esecutori sono stati la Bulgarian Symphony Orchestra di Sofia e la Czech National Symphony Orchestra di Praga. Cosa ci può dire circa il suo rapporto professionale e artistico con queste due importanti compagini orchestrali?
PD: Sì, con loro c'è anche un rapporto di amicizia. Certo costano almeno il 30% in meno rispetto alle orchestre qui in Italia e per i produttori sono convenienti. Sono abituati a suonare insieme, sono molto affiatati, invece qui in Italia non c'è più l'Orchestra Unione Musicisti e quindi non sono sempre gli stessi strumentisti; a seconda della disponibilità mettono insieme delle orchestre per le sessioni, che qualitativamente sono inferiori rispetto a quelle dell'Est. L'ultimo film che ho inciso là è stato Rossella 2 di Carmine Elia. In Italia si pagano troppe tasse...
CS: Morricone ritiene che l'ispirazione non esista, ma che esistono delle semplici idee che vengono poi sviluppate. Lei cosa ne pensa al riguardo e come vive il suo rapporto con la “musa ispiratrice”, ovvero c'è qualcosa che la ispira?
PD: Io sono contrario a questa cosa che dice Morricone; lui sostiene anche che la musica sia tutta studio e matematica... Visto che vengo dalle canzoni, posso dire che i temi che ho indovinato li aspettavo sempre; per esempio “Io che non vivo”, grande successo, mi è venuto così. Cioè, un pezzo di suspense lo puoi fare anche usando la tecnica, ma sui temi principali ci vuole l'ispirazione, si sente quando c'è, non si può comporre soltanto seguendo una logica scientifica! Quando non mi viene l'ispirazione, stacco un attimo e vado a farmi un giro in qualche museo, qui vicino c'è la Peggy Guggenheim e poi la galleria di mia figlia; la pittura è la mia seconda passione. Io aspetto sempre l'ispirazione e sento quando viene la frase giusta. Quando avevo lo studio vicino alla stazione (ove adesso abito) e stavo scrivendo le musiche per Blow Out di De Palma, mia moglie mi chiamò per il pranzo; nel momento in cui mi chiama ecco che sento dentro la frase e mi son detto “Eccola qui, è arrivata!”. Poi questa musica l'ho giocata su altri temi che avevo già scritto prima. Quando ho scritto Dressed To Kill [Vestito per uccidere, 1980 - NdR] invece sono andato nella mia casa in montagna ad Auronzo e mi immaginavo i pini come i grattacieli di New York e così ho scritto un tema intitolato “The Shower”. Mia moglie era venuta a trovarmi, siamo usciti a cena e ho bevuto un po'; quando siamo rientrati a casa improvvisamente mi è venuto in mente un altro tema per la scena della doccia iniziale e così ho deciso di buttare il precedente e utilizzare quello nuovo. Non che l'altro fosse brutto, ma quello che mi è venuto in mente dopo cena era più ispirato e l'ho capito subito. Ero solo là, è stata una delle poche volte che ho composto in montagna, di solito scrivo sempre qui a Venezia. L'ispirazione ti colpisce, non c'è niente da fare... Giovanni D'Anzi, che di canzoni ne ha scritte parecchie, diceva che non aveva nessun merito perché è come se qualcuno gli toccasse una spalla e gli dicesse di scrivere; anche per me è così. Diciamo che è un dono, ho scritto anch'io parecchie canzoni e credo nell'ispirazione. E poi i temi ti vengono in una forma popolare che piace alla gente; il tema secondo me dev'essere sempre ispirato. Poi ognuno ha le sue idee al riguardo...
CS: Una curiosità: come le hanno fatto la richiesta per il pezzo “Sally and Jack” utilizzato da Tarantino nel suo film del 2007 Grindhouse - A prova di morte?
PD: Non ho ricevuto alcuna richiesta; Tarantino si è rivolto direttamente al produttore americano della MGM. Mi ha fatto piacere perché dimostra che quello che sto facendo viene ascoltato e apprezzato. Hai la misura di quanto ti seguono o non ti seguono e ti dà anche più forza per scrivere altra musica perché sai che c'è sempre qualcuno nel mondo che te l'ascolta. Una volta sono andato un weekend a Parigi con la mia famiglia e c'erano cinque cinema che proiettavano cinque film da me musicati. Potevo stare a casa e la mia musica era ascoltata da milioni di persone. Ho avuto la fortuna di ottenere un grande successo con “Io che non vivo” però è stata quella la canzone più importante; ma quando hai fatto più di duecento film questo ti dà una soddisfazione che prima non avevo, perché dovevo andare di persona a cantare io, mentre adesso c'è sempre qualcuno che ascolta la mia musica anche se me ne sto comodamente a casa. Il passaggio dunque dalle canzoni alla musica per film è stato per me assolutamente positivo e vantaggioso. A me piace scrivere e spero di andare avanti ancora un po'...
CS: Cos'è per lei la musica per immagini?
PD: Ultimamente, sempre di più, se non ho le immagini non scrivo più niente, è l'immagine che mi dà l'ispirazione per scrivere perché dalla sceneggiatura tu ti fai un film tuo che hai nella testa, te lo crei come vuoi tu, ma quando ti danno il girato ti cambiano le cose. De Palma per esempio, con la macchina da presa, fa delle cose che non sono certo scritte, così come le lunghezze che non sono segnate nello script; quindi io non compongo mai prima perché ho visto che non serve a niente. Quando ti arriva il film, magari la scena dura un minuto e tu hai scritto musica per un minuto e mezzo: devi buttare il pezzo e rifarlo perché non puoi tagliarlo. L'immagine è la cosa più importante. Il montatore di De Palma, Paul Hirsch, disse che la mia musica per Carrie aveva servito meglio il film rispetto a quella di John Williams per The Fury. Grazie a questo poi Brian mi ha chiamato per fare il successivo Dressed To Kill.
CS: Quali sono i suoi progetti futuri?
PD: Sto lavorando a una nuova fiction diretta da Gianni Lepre dal titolo Il Signore sia con te, prodotta dalla Endemol, con Virna Lisi nei panni di una religiosa che a Roma indaga su un eccidio avvenuto nella missione nella quale ha lavorato per trent'anni. La Lisi è veramente bravissima e più invecchia più brava è... Sono stato sul set a salutarla e a vedere anche l'ambientazione per ispirarmi per la stesura delle musiche. Lei stima molto Lepre e lo vuole sempre come regista per i film che interpreta. Per le musiche ho utilizzato una soprano, dei temi africani con le voci, ma senza fare l'Africa solita ma con qualcosa di nuovo. Anche in questa fiction Lepre ha avuto delle idee particolari. Lui è un regista che dice sempre, in dialetto triestino, “Andémo contro péo qua...”, vuole andare contro l'immagine, non inserire le stesse cose, c'è sempre una ricerca interessante. Mette in condizione anche me di cercare soluzioni nuove, strumenti particolari; è veramente stimolante lavorare con lui.
Poi ho appena concluso l'horror Patrick di Mark Hartley che uscirà a breve in Australia. Ho scritto delle musiche piuttosto complesse, è stato un bel lavoro. Non so poi se e quando uscirà in Italia. Per esempio Passion non è ancora uscito nei cinema italiani, forse uscirà direttamente in Home Video.
Ho in cantiere un'importante collaborazione con la società di produzione Triworld per il progetto Rinascimento, che consiste in una serie di film per il cinema e la televisione ambientati proprio nel periodo rinascimentale italiano. E poi sempre con la Triworld un lungometraggio sulla vita di Enzo Ferrari, per cui la produzione sta trattando con De Niro, e The Listener, un film tratto dal romanzo storico di Giulio Andreotti intitolato “Operazione via Appia”.
Avremmo ancora moltissime altre domande da rivolgere al Maestro, ma il tempo scorre inesorabile e così la nostra intervista ufficiale termina qui, mentre la nostra amichevole e piacevolissima chiacchierata con lui prosegue al ristorante di fronte a un filetto di vitello “alla Rossini”.
Al termine del pranzo, ringraziamo e salutiamo dunque Pino Donaggio per rientrare a Milano e lo lasciamo ai suoi impegni artistici che, nel prossimo periodo, lo vedranno particolarmente impegnato...
Un ringraziamento speciale a Pino Donaggio per la sua cortese disponibilità e simpatia!