Via con me - Intervista a Giorgio Verdelli regista del film su Paolo Conte
Via con me - Intervista a Giorgio Verdelli regista del film su Paolo Conte
A cura di Massimo Privitera
Se non ne siete a conoscenza, sappiate che il cantautore, paroliere, polistrumentista, pittore ed ex-avvocato Paolo Conte (Asti, 6 gennaio 1937) ha avuto a che fare con le colonne sonore in più di un’occasione. Sappiate che si è aggiudicato nel 1997 il David di Donatello e il Nastro d’Argento per lo score de La freccia azzurra, film d’animazione di Enzo D’Alò, Al rinomato pianista jazz gli è stata addirittura affibbiata dal prestigioso giornale statunitense The Wall Street Journal, in un’intervista a Lui realizzata nel 1998, questa frase molto significativa del fattore non trascurabile Conte-Musica-Cinema, in riferimento all’ascolto delle canzoni del musicista-cantautore astigiano: “E’ come avere un film di Federico Fellini nelle orecchie”.
Quindi la Settima Arte scorre nelle vene di questo genio della Musica; difatti nella sua lunga carriera Conte ha scritto diverse colonne sonore per il grande schermo e per il teatro, nonché molte sue canzoni sono state utilizzate in film europei e d’oltreoceano: in French Kiss del 1995 diretto da Lawrence Kasdan, la protagonista Meg Ryan passeggia per le strade di Parigi con in sottofondo la canzone “Via con me”, nella versione originale italiana di Conte stesso; in Mickey occhi blu del 1999 con Hugh Grant e James Caan sono presenti le canzoni “Elisir” e “Come di”. Nel 1990 è stato stampato un CD per la Mercury, dal titolo “Paolo Conte al cinema”, contenente brani del cantautore per pellicole cinematografiche e spettacoli teatrali: tra i tanti, “Le tam tam du paradis” per lo spettacolo teatrale Corto Maltese del 1982, la celeberrima “Via con me”, cantata da Roberto Benigni per il film Tu mi turbi con l’intera partitura scritta da Conte, la canzone “Le chic e le charme” dal film Aurelia e i brani solo strumentali “Provvisory House”, dallo spettacolo teatrale Varietà in varie età, “Hesitation” dal film Professione farabutto e “Locomotor” dal film Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada del 1983 diretto da Lina Wertmüller.
Il nostro amico Renato Marengo su Cinecorriere, nostra rivista partner, ha intervistato un suo carissimo compagno d’avventure, veterano del Movimento Musicale in movimento “Napule’s Power”, il regista campano Giorgio Verdelli che ha realizzato lo splendido documento visivo su Paolo Conte, passato alla Biennale del Cinema di Venezia 2020, dal titolo Paolo Conte, Via con me con interviste a Luca Zingaretti, Roberto Benigni, Vinicio Capossela, Caterina Caselli, Francesco De Gregori, Giorgio Conte, Pupi Avati, Luisa Ranieri, Renzo Arbore, Vincenzo Mollica, Isabella Rossellini, Paolo Jannacci, Jovanotti e Jane Birkin.
A cura di Renato Marengo
Via con me, film su Paolo Conte, è forse il film più riuscito del regista napoletano Giorgio Verdelli che ha già realizzato numerose pellicole musicali di successo, ultima Il tempo resterà su Pino Daniele. Un riuscito ritratto ma anche un gande racconto su uno dei nostri migliori autori, un avvocato, ma anche un jazzista, che “coinvolto” dal successo di canzoni come “Azzurro”, “Bartali”, “Messico e Nuvole” e “Via con me”, che dà il titolo al film, si scopre, suo malgrado divo.
Colonne Sonore: Vedo film musicali da quando scrivo e questo tuo film su Paolo Conte, caro Verdelli, incolla allo schermo per tutta la durata, sin dalla prima scena. Perché non c’è discontinuità tra i dialoghi e la musica, e perché le parole di Conte, ma anche il misurato speakeraggio si susseguono come in un’unica suite, come in un Music Hall. Ho trovato il racconto ben sottolineato e intervallato dalla musica, dai testi e l’alternarsi tra canzoni di successo e brani meno noti, ma affascinanti, di un jazzista delicato e grintoso, molto piacevoli. E deve essere stato molto piacevole fare un film su Paolo Conte, Vero Giorgio?
Giorgio Verdelli: Grazie delle premesse, sì, è stato certamente piacevole e intrigante lavorare su un grande artista come Paolo Conte che oltre ad essere uno straordinario artista è anche una persona con una profondità ed una gentilezza coinvolgenti.
Naturalmente è stato impegnativo ma non poteva essere altrimenti e nell’impegno sono stato aiutato da tutto il mio gruppo di lavoro e dal management di Paolo Conte da cui è scaturita la scintilla di questo progetto.
CS: C’è una cosa che nel film dice un regista francese che ho trovato molto significativa per comprendere questa straordinaria accoglienza che tra pubblico e artisti viene subito riservata a Paolo Conte: “Lui ha quella simpatia, quel carisma, quel fascino che aveva anche Marcello Mastroianni, come se fosse una persona di famiglia”. Ma è proprio così? Io lo ricordo molto riservato, quasi un po’ chiuso come persona; come è stato con te, in privato, dietro le quinte?
GV: In realtà Paolo Conte dietro la sua aria burbera è una persona di grande tenerezza e complicità anche se lui sa di avere un carisma notevole ma non lo esibisce più di tanto, lui ha una grazia speciale e frequentandolo ne sei contagiato.
CS: Dall’Operà di Parigi al Teatro San Carlo di Napoli a Montreux, la capitale del jazz (eccezionali location...), lui appare sempre a suo agio, seduto al pianoforte o in piedi, a cantare canzoni impegnate, spesso drammatiche, ironiche o dedicate a personaggi della cronaca o dello sport. Mai sopra le righe, senza frasi furbamente tragiche né ridanciane. Durante le riprese è rimasto sempre così distaccato o si è lasciato andare?
GV: Ma devo dire che si è messo al servizio delle riprese senza problemi; anzi il giorno del San Carlo abbiamo registrato vari step in esterno. Guido Harari ha fatto delle belle foto e poi le prove anche dei pezzi in napoletano che ha eseguito apposta per noi e persino uno speaker de “L’infinito” di Leopardi che gli avevano chiesto per il progetto di Franceschini e non ha fatto una piega.
Dopo il concerto c’è stata una pacifica invasione in camerino e lui è stato gentile con tutti ed ha anche risposto con lettere rigorosamente a mano ad Enzo Gragnaniello ed Eugenio Bennato che gli hanno dato i loro dischi.
CS: Il film è stato accolto dovunque molto bene, commenti lusinghieri ed elogi per lui e per la regia. Quali giudizi ti hanno maggiormente colpito o gratificato?
GV: Beh sono tanti e ne sono stato davvero orgoglioso, ma la cosa che mi ha fatto più piacere è il messaggio che Alberto Barbera ha mandato a Nicola Giuliano il giorno dopo aver ricevuto la copia non definitiva “Ho visto il film, fantastico, chiamami domani” e quindi ci ha invitato nella rassegna ufficiale come evento speciale nella serata che precedeva la chiusura della Biennale del Cinema di Venezia 2020.
CS: E’ impressionante il numero di personaggi di prestigio e di grande popolarità che appaiono nel film, hai avuto “vita facile” chiedendo loro di partecipare a un film su Paolo Conte?
GV: Devo dire di sì, praticamente è stato un record su Paolo Conte, nessuno sia italiano che straniero si è rifiutato di dare un contributo, anzi siamo stati noi a bucare qualche appuntamento come quello con Gerard Depardieu perché dovevamo tornare in Italia.
CS: Dietro le quinte come andava, come durante le riprese? Ci sono momenti del backstage, qualcosa che non abbiamo visto nel film che ti fa piacere raccontare?
GV: Conte ha uno spiccato senso dell’umorismo, direi da quel lato ha un sense of humour molto british… per esempio all’Olympia a Parigi dove è praticamente venerato, noi volevamo riprendere la standing ovation finale come abbiamo fatto al San Carlo ed il secondo giorno, quando lui si è informato se tutto andasse bene, gli abbiamo chiesto di stare un po' più sul palco per cogliere quel momento se ci fosse stato come la sera prima: “Sì, tanto si alzano certamente, tanto devono prendere i cappotti” ha detto sorridendo…! Non credo che molti suoi colleghi italiani avrebbero fatto una battuta del genere su un successo così grande!
CS: Il contrasto tra l’esuberanza consueta di Benigni e la riservatezza consueta di Conte è stata una grande trovata per la dinamicità del racconto, è andato sempre tutto liscio, tutto in armonia?
GV: Benigni ha aderito subito, lo avevo già intervistato su Guccini e quando gli ho detto del finale su Duke Ellington, lui ha annuito, poi ha fatto la sua performance tutta di seguito (quasi 7 minuti tutti belli che mi ha concesso di segmentare), dove ha detto all’inizio “è tutta un’araldica come Edward Kennedy Ellington detto Duke, lui non è un conte ma un Principe”, e al termine tutta la troupe ha applaudito e gli ho detto “Per me gli applausi non sono per la performance perché sei Benigni e me lo aspettavo ma perché sai che Duke Ellington si chiamava Edward Kennedy, non credo che molti tuoi colleghi lo sapessero“ e lui sornione “Davvero? Però ho dimenticato di dire che lui sta tra Caterina Caselli e Santa Caterina da Siena!”
CS: Abbiamo sentito con quanto piacere un regista come Pupi Avati ha raccontato di aver realizzato per la TV, cosa insolita per lui, un servizio su Paolo Conte. A chiederglielo era stato Brando Giordani per il suo bellissimo programma di Raiuno, Odeon, che si distingueva per la qualità delle riprese, scenografie, oltre che per lo spessore dei protagonisti. Quel servizio, che ricordo bene, era bellissimo, immagini curate, fotografia splendida, decisamente ben oltre gli standard Rai. Ci racconti qualche particolare?
GV: Quella era una delle poche richieste di Conte ed aveva ragione! Quando ho intervistato Pupi Avati mi ha rivelato che anche per lui era una bellissima cosa girata in pellicola, come si usava allora, e infatti aveva voluto come direttore della fotografia Franco Delli Colli, e si vede!
Infatti poi ho “spalmato” quelle riprese in più momenti oltre che nell’intervista a Pupi; quel tocco è certamente un grande assist al documentario.
CS: Noi siamo amici da tanti anni e ho visto molti tuoi film o docufilm musicali, sempre con grandi personaggi: Tiziano Ferro, Pino Daniele; personaggi con storie importanti al di la della loro popolarità, film che ho sempre apprezzato perché fatti da chi con la musica, oltre che col racconto e con la storia, ci convive a tempo pieno. Qualche volta la foga nelle domande, data anche la confidenza stessa con gli artisti ti portava a prolungare qualche domanda o a tenere i dialoghi un po’ più lunghi, senza ovviamente nulla togliere alla bontà del risultato finale, ma in questo film su Paolo Conte ti ho visto, con molto piacere, dosare nella giusta misura domande, risposte, commenti, privilegiando la musica, le riprese di concerti, gli interventi di grossi big che cantavano le sue canzoni. E sai quale sensazione sei riuscito a rendere molto bene? Quella che Celentano, Jannacci, Mina, Caterina Caselli, pur mantenendo la propria autorevolezza, fossero tutti allievi del grande maestro di cui stavano eseguendo i successi. Il tuo film su Conte mette in evidenza, forse per la prima volta con la dovuta attenzione, la grandezza di questo avvocato il cui antidivismo naturale ne fa un grande divo. Lo sapevi già prima di girare che sarebbe venuto fuori così o ti è “cresciuto” in corso d’opera?
GV: Credo che nessuno sappia in anticipo cosa possa venire fuori da un progetto di un certo spessore, avevo delle certezze specie nelle canzoni di Conte che sono un formidabile trampolino di lancio ma la qualità delle interviste la potevo solo immaginare.
Diciamo che siamo stati nel mood giusto per usare un termine jazzistico, poi credo che ha funzionato l’impostazione che io stesso ho dichiarato a Conte: “Maestro vorrei fare un film come uno standard di jazz con un tema scritto e l’improvvisazione libera“ e lui ha annuito sorridendo!
CS: Appena è finito il film la sensazione che ho avuto è stata quasi di dispiacere … che si fosse concluso. Mi ha molto colpito, tra tante cose dette parlando di sé, una frase di Conte che hai evidenziato, al momento giusto: “Io sono un avvocato difensore che ama la musica e sono sceso in campo proprio per difendere le mie canzoni.”
GV: Quella è anche la mia frase preferita ed è una lezione per tutti, perché credo che nel nostro settore ci sia troppo protagonismo a prescindere, quando invece sarebbe bene “difendere” soltanto le opere, perché le persone invece devono essere libere di vivere le proprie contraddizioni.
CS: Nel tuo documentario c’è una parte che riguarda il suo rapporto con Napoli e le canzoni in napoletano, che lui, torinese, ama molto, al punto da averne composte alcune che lui canta in un dialetto dal suono “molto simile” al napoletano. Attrazione questa mai prima raccontata da Conte. Nel film ne discutete.
GV: Già conoscevo la passione di Paolo Conte per la canzone napoletana ma in realtà l’idea mi è nata a Bologna durante una ripresa del 2018 (siamo partiti un anno e mezzo prima), mentre si accingeva alle prove: Conte mi ha fatto una lunga disquisizione sul canzoniere di EA Mario che conosce benissimo.
Non ho inserito quella bella conversazione per non essere troppo specifico ma proprio quella mi ha suggerito l’idea di chiedere ad Antonio Bottiglieri, presidente della Scabec (società che coordina le attività culturali della Regione Campania) di realizzare un grande evento al San Carlo in cui Conte avrebbe anche cantato due sue composizioni in napoletano tra cui “Spassiunatamente” che è inserita tra i classici della canzone napoletana: anche Rosanna Purchia, allora sopraintendente, aveva aderito con entusiasmo.
L’evento è stato accettato da tutti e poi siamo partiti con la realizzazione, la vera difficoltà è stata che i biglietti si sono esauriti in 3 giorni, ma per fortuna ci resta la ripresa!
Link a intervista su Cinecorriere:
http://www.cinecorriere.it/2021/01/intervista-a-giorgio-verdelli-autore-di-via-con-me-film-su-paolo-conte-un-avvocato-difensore-che-ama-la-musica-sceso-in-campo-per-difendere-le-sue-canzoni/