01 Apr2014
Romeo e Giulietta di Sergeij Prokofiev e Intervista a Frank Strobel
Romeo e Giulietta di Lew Arnshtam con le musiche dal vivo di Sergeij Prokofiev a Berlino con la direzione di Frank Strobel
“Non nascondo che elementi e soluzioni armoniche formaliste siano presenti in alcune mie composizioni venute alla luce alla fine degli anni venti, influenzato dai contatti e dalle esperienze artistiche vissute in occidente. Successivamente le critiche rivolte dalla Pravda nel 1936 all’opera di Dmitrij Shostakovich Lady Macbeth del distretto di Mzensk mi hanno indotto a una profonda riflessione sul mio linguaggio musicale e sono giunto alla conclusione che il formalismo è portatore di aspetti artistici negativi e che va dunque evitato. Mi sono quindi impegnato nella ricerca di uno stile più chiaro, spontaneo, ricco di contenuti e accessibile al grande pubblico. Vorrei peraltro far notare come la melodia sia sempre rimasta il punto di riferimento del mio universo sonoro ed è stata oggetto di continua ricerca e confronto. Occorre riflettere sul fatto di come per un compositore sia fondamentale e allo stesso tempo anche assai difficile creare idee melodiche originali e moderne che rimangano sempre comprensibili all’ascoltatore senza incorrere nel rischio di scadere in soluzioni armoniche banali, ripetitive, scontate o pericolosamente artefatte e esornative...”(1)
Così si esprime Sergeij Prokofiev nella sua lettera inviata all’Unione dei Compositori Sovietici dopo il decreto adottato nel gennaio del 1948 dal nuovo ministro della cultura Andreij Schdanov che sanciva la linea del partito in materia musicale e artistica e riaffermava in modo implacabile il concetto estetico real-socialista di una musica con accenti ottimisti, rivolta alla tradizione popolare e facilmente accessibile alle grandi masse e condannando senza riserve le contaminazioni formaliste in cui erano caduti compositori dello spessore di Dmitrij Shostakovich e dello stesso Prokoviev. Il formalismo è un concetto dal carattere principalmente ideologico adottato nella Russia sovietica in campo musicale per indicare un linguaggio antipatriottico influenzato da mode borghesi e tendenze avanguardiste occidentali, rivolto prevalentemente all’interesse di elite intellettuali e lontano dallo spirito del grande pubblico.
Dopo aver soggiornato in vari paesi fra cui gli Stati Uniti, la Germania e la Francia Prokofiev torna in patria nel 1936 con l’idea di partecipare al processo di trasformazione sociale e culturale del paese. Le critiche di formalismo che gli vengono rivolte da ambienti politici e intellettuali lo inducono ad addolcire il suo stile modernista e spigoloso e ad orientarsi verso un linguaggio più melodico.
Proprio in questo periodo nasce su una iniziale commissione da parte del Teatro Kirov a Leningrado la partitura per il balletto Romeo and Juliet basato sull’omonimo dramma di William Sheakespeare, che viene annoverata fra i suoi maggiori esiti a livello sinfonico e drammaturgico che lo rendono uno dei suoi lavori più amati ed eseguiti nei maggiori teatri internazionali.
Il soggetto ha ispirato nel corso degli anni diversi compositori fra cui Bellini, Berlioz, Gounod, Tschaikowskij fino al celebre binomio Sondheim/Bernstein nel musical poi divenuto film West Side Story (1957/1961).
Anche il cinema ha celebrato la drammatica storia dei due giovani amanti veronesi con diverse rilevanti realizzazioni, fra cui ricordiamo Giulietta e Romeo di Renato Castellani (1954, musiche di Roman Vlad), Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli (1968, musiche di Nino Rota) fino ai più recenti Letters to Juliet di Gary Winick (musiche di Andrea Guerra) e Romeo e Giulietta di Carlo Carlei (2013, musiche di Abel Korzeniowski).
Con la sua formidabile tecnica compositiva Prokofiev coniuga in modo magistrale elegante lirismo, penetrante espressività, debordante fantasia e immediatezza ritmica, originalità e ricchezza melodica spingendosi a volte anche attraverso misurate soluzioni dissonanti ai confini dell’universo tonale.
La scrittura riposa su una suggestiva architettura leitmotivica che trasmette l’interiore forza narrativa del capolavoro di Sheakespeare con un linguaggio incisivo, moderno e originale, dove accanto all’imponente rappresentazione drammaturgica non mancano momenti percorsi da sottile ironia.
Dopo continui rinvii della prima mondiale prevista al Bolshoi per divergenze fra il compositore e la direzione del Teatro, questa ha luogo con clamoroso successo il 30 dicembre 1938 al Teatro Nazionale di Brno, nella Repubblica Ceca per poi approdare l’11 gennaio 1940 al Teatro Kirov di Leningrado con la star Galina Ulanova grande protagonista e la suggestiva coreografia ideata da Leonid Lavronskij.
La consacrazione del balletto avverrà quindi nel 1946 con la prima rappresentazione al Bolshoi di Mosca.
Attraverso una felicissima collaborazione con il regista lettone Sergej Eizenstein Prokofiev ha legato il suo nome a due fra le più suggestive partiture composte per il grande schermo, Alexander Nevskij (1938) e Ivan il Terribile (Ivan Groznij, 1944, Prima e Seconda Parte).
Nel 1955 il regista Lew Arnschtam (1905 – 1979) in collaborazione con il coreografo Leonid Lawronskij che aveva firmato la prima rappresentazione al Teatro Kirov nell’allora Leningrado del 1940, realizza negli studi della Mosfilm a Mosca una trasposizione filmica del lavoro di Prokofiev, che nel frattempo si era spento due anni prima, con ironia della sorte nella stessa data del 5 marzo in cui veniva a mancare anche Stalin.
Regista raffinatissimo, Arnshtan possiede una solida preparazione musicale pianistica compiuta al conservatorio di Leningrado che lo ha portato ad essere nominato assistente musicale del grande regista teatrale Wsevolod Meyerhold nel suo teatro a Mosca dal 1924 al 1927 e successivamente a svolgere la stessa funzione dal 1929 a Leningrado con il regista Grigori Kozintsev, con cui ha inizio il suo confronto con il grande schermo. Egli è anche grande amico di Dmitri Shostakowich che compone le musiche per alcuni suoi film, fra cui Zoya (1944, Soyuzfilm) e Cinque giorni e Cinque notti (1961, Defa / Mosfilm).
Arnshtam con Romeo and Juliet non compie un semplice trasferimento di una performance teatrale di balletto su grande schermo quanto realizza un vero film senza dialogo di immagini solo parzialmente danzate o se si vuole di un opera senza voci che si riallaccia da una parte all’esperienza del cinema muto e dall’altra offre un’originale idea rappresentativa che ha successivamente ispirato un regista come Carlos Saura nei suoi Tango (1998) e Carmen Story (1984). Il suo lavoro possiede un suggestivo cromatismo e una straordinaria forza espressiva dove la danza entra nell’universo della pantomima per una coinvolgente rappresentazione dei sentimenti umani in un riuscitissimo esperimento di applicazione del linguaggio filmico al balletto.
Anche se realizzato agli inizi del periodo del disgelo, dal punto di vista visivo il film risente, anche se in misura moderata, dei canoni estetici real-socialisti con primi piani statuari e una scenografia fortemente suggestiva quanto avvertitamente costruita con la magnifica ambientazione in Crimea nei pressi di Yalta. Protagonista assoluta del film la ormai non più giovane ma sempre stellare Galina Ulanova che nel 1940 aveva tenuto a battesimo il balletto di Prokofiev a Leningrado. Artista straordinaria, vera leggenda della danza russo-sovietica Galina Ulanova si impone sulla scena con grazia, fascino, virtuosismo e avvolgente eloquenza espressiva. Accanto a lei Yurij Zhdanov si muove con grande maestria e spontaneità espressiva a volte peraltro inghiottito nei grandi movimenti corali del film. Imponente per tecnica, forza espressiva e presenza scenica anche la prova dei ballerini A. Yermolayev e S. Koren rispettivamente impegnati nei ruoli di Tibaldo e Mercuzio.
Lo scorso 29 marzo il film è stato proposto a Berlino nell’auditorium della Universitaet der Kuenste in una rappresentazione con l’esecuzione dal vivo della partitura di Prokofiev diretta dal Maestro Frank Strobel alla guida della magnifica compagine del Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, da molti anni fortemente impegnata nel mondo dell’Ottava Arte.
La realizzazione musicale del Maestro Strobel si qualifica per l’impressionante chiarezza dell’articolazione e per il nitore e la morbidezza delle linee espressive come per l’intensità e profondità degli spessori sonori che illuminano in modo grandioso la scrittura di Prokofiev nella sua dimensione epica e drammatica ma soprattutto anche nei tratti fortemente atmosferici del gesto melodico che accompagna i passaggi più raccolti, così come nei momenti di forte tensione ritmica spesso percorsi da una sottile carica ironica.
L’orchestra berlinese si esibisce in una prova superlativa nella sua non comune capacità di coniugare spiccato virtuosismo e coinvolgimento emotivo e intellettuale e con il suo sound imponente e trasparente, l’incredibile bravura dei suoi musicisti si fonde con ammirevole disinvoltura nell’impegnativo e severo sincronismo che le sequenze di immagini danzate comportano.
Alcuni momenti dell’esecuzione musicale rimarranno a lungo impressi nella memoria. Citiamo in particolare la carica emotiva che percorre l’avvolgente tema d’amore enunciato dai corni e ripreso da clarinetto e archi nell’addio di Romeo in partenza per l’esilio a Mantova e la dirompente forza espressiva con cui viene rappresentato il drammatico climax del funerale di Giulietta dove il sontuoso sound dell’orchestra trova totale esaltazione.
Grande serata di immagini e musica festosamente accolta dal numeroso pubblico.
Nota: (1) Alexander Werth, Scandale musical à Moscou, Tallandier 2010, Paris pagg. 164 e segg.
Intervista al Maestro Frank Strobel
Nato nel 1966, Frank Strobel è direttore d’orchestra del repertorio classico e tardo romantico oltre che rinomato interprete e restauratore di importanti colonne sonore. Dirige le principali orchestre europee, americane e orientali in programmi strettamente musicali o in film con musica dal vivo. Ha tenuto a battesimo numerose nuove partiture scritte da compositori contemporanei per importanti film muti come La Terra di Alexander Dovschenko (musica di Alexander Popov) o Tempesta sull’Asia di Vsevolov Pudovkin (musica di Bernd Schultheis). Il maestro è anche autore del restauro e della pubblicazione delle colonne sonore originali scritte da Prokovjev per il film Alexander Nevskij di Eizenstein e da Shostakovich per il film di Kozinzev La nuova Babilonia. Ha anche redatto e pubblicato numerose suites tratte dalle colonne sonore scritte da Alfred Schnittke per film di importanti registi come Elem Klimov, Larisa Shepitko e Aleksandr Mittà. Molte delle sue numerose registrazioni discografiche gli hanno valso il ‘Premio della critica discografica tedesca’.
Dal 2000 ricopre la carica di direttore artistico della Europaeische Filmphilharmonie a Berlino da lui fondata. Su incarico della Murnau Stiftung di Wiesbaden Frank Strobel ha lavorato alla ricostruzione della versione originale del Film Metropolis di Fritz Lang presentata in prima mondiale alla Berlinale 2010 con l’esecuzione dal vivo della colonna sonora composta da Gottfried Huppertz da egli diretta alla guida del Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin. Altri importanti progetti da lui diretti riguardanti il cinema muto sono Die Niebelungen di Fritz Lang con le musiche di Gottfried Huppertz e Ottobre di Sergej Eisenstein con le musiche di Edmund Meisel presentato alla Berlinale 2012. La Universum Film ha recentemente pubblicato in edizione DVD il film di Arnold Fanck Im Kampf mit dem Berge (Confronto con la montagna, 1921) con le musiche di Paul Hindemith eseguite della HR-Sinfonieorchester sotto la sua direzione.
Colonne Sonore: Durante la prova del Romeo and Juliet abbiamo avuto una riflessione riguardo a Prokofiev.
La sua musica, in particolare in questa partitura, presenta un forte carattere melodico, eppure allo stesso tempo si avverte la modernità del suo linguaggio. Cosa che ad esempio con Rota non succede. Il suo stile compositivo appare molto spesso fuori tempo. Qual è la tua impressione?
Frank Strobel: Si in parte sono d’accordo. Del resto ambedue i compositori hanno fatto frequente ricorso al repertorio della musica popolare dei propri paesi. Naturalmente Prokofiev riesce a conferire al suo linguaggio una certa spigolosità o se vuoi anche una certa asprezza che lo avvicina al sentire artistico del ventesimo secolo. Egli si muove a volte ai confini della tonalità e nel suo prediligere le frequenze alte e basse a scapito delle medie arriva a generare uno spettro sonoro percorso da tensioni avvolte da un gesto moderatamente ruvido.
CS: In campo filmico Prokofiev non è solo Alexander Nevskij o Ivan il Terribile…
FS: Assolutamente no! Lo vediamo con il film di Arnschtam, dove il lavoro inizialmente ed anche effettivamente realizzato come un balletto diventa poi un film vero e proprio che con il suo carattere si distingue da quella che potrebbe essere una mera trasposizione su grande schermo di una serata teatrale.
La trasposizione filmica, del resto, è avvantaggiata anche dal forte carattere pantomimico della coreografia originale di Lavrow che ha partecipato alla sua realizzazione.
E’ anche evidente il ricorso al linguaggio del cinema muto adottato dal regista. Il film mi ha molto colpito fin dalla mia prima visione e personalmente lo considero un documento ‘storico’ nel suo genere ma allo stesso tempo anche un lavoro di grande modernità nel suo anticipare nuove idee e suggestioni del linguaggio cinematografico.
Siamo in presenza della rappresentazione filmica di una partitura musicale e allo stesso tempo abbiamo il trasferimento del suo soggetto in un suggestivo setting sul Mar Nero.
CS: In che misura l’interpretazione della partitura di Prokofiev viene condizionata dal punto di vista agogico dall’andamento ritmico-temporale del film?
FS: La rappresentazione filmica di un balletto e la sua coreografia richiedono nell’interpretazione musicale, in particolare nell’affrontare una partitura come quella di Prokofiev, una concentrazione e un impegno totale per raggiungere la richiesta compenetrazione sincronica fra musica e movimento.
Da questo punto di vista Romeo and Juliet è sicuramente uno dei progetti più impegnativi fra tutti quelli che in questi anni abbiamo affrontato.
La considerazione che vorrei fare è rivolta all’interpretazione e alla rappresentazione sonora che oggi in una naturale evoluzione assume dei connotati alquanto diversi da quella inserita nel film nel 1955 con l’Orchestra del Teatro Bolshoi diretta da Gennadi Roshdestvenskij che rimane peraltro, nella realizzazione del film-concerto, un fondamentale punto di riferimento agogico.
CS: Un argomento diverso. Fra le novità DVD del cinema muto figura anche Wagner realizzato da Carl Froehlich nel 1913 in un’edizione della Universum Film. Le musiche originali di Giuseppe Becce nella ricostruzione curata da Bernd Schultheiss sono eseguite dall’Orchestra Deutsche Philharmonie Rheinland-Pfalz sotto la tua direzione. Becce qui si presenta anche come attore…
FS: Il film realizzato da Froehlich in occasione del centenario della nascita del compositore è un lavoro biografico che accompagna lo spettatore attraverso le varie fasi della vita, dagli anni giovanili al Teatro di Leuchstaedt, a quelli carichi di vicende contrastanti vissuti a Dresda fino all’incontro con il Re Ludovico II, da cui riceve incondizionato sostegno nel resto della sua vita.
Becce ha musicato il film e allo stesso tempo – in relazione all’incredibile somiglianza del suo volto con quello del compositore – lo ha anche rappresentato sullo schermo. Avendo Cosima Wagner espresso la sua opposizione all’impiego della musica scritta dal marito in un film, o meglio in un’espressione artistica secondaria quale ella considerava il cinema, Becce ha fatto ricorso a musiche di altri compositori per tratteggiare la vita di Wagner e, con un sofisticato e raffinatissimo gioco di secondi, ha introdotto alcune brevissime citazioni di sue opere – dal Lohengrin al Tristano - corte abbastanza da non dover correre il pericolo di dover versare alla Cosima Wagner cospicui importi di diritti d’autore… Il film è naturalmente un venerato omaggio al compositore ma allo stesso tempo mantiene una sottile chiave ironica.
La scrittura di Becce ha un carattere compilativo sulla base della tecnica da lui stesso sviluppata (anche insieme ai colleghi Brav e Erdmann, ndr) e utilizza diversi compositori con sottili manipolazioni per sottolineare dal punto di vista drammaturgico e non meramente esornativo le varie fasi della vita e dei momenti storici vissuti, ad esempio Haydn per il suo periodo giovanile, seguito da brani di Mozart e Rossini. La Sesta e Settima Sinfonia di Beethoven rappresentano poi un riferimento importante come modello di perfezione artistica perseguito dal musicista di Lipsia.
Se non si conosce la storia di questo film nel corso della sua visione lo spettatore potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte a un vero e proprio documentario con personaggi non fittizi ma effettivamente reali. In questo senso appaiono incredibili anche le qualità sceniche oltre che musicali di Becce, che come sai ha vissuto e lavorato a Berlino per lungo tempo agli inizi del ventesimo secolo.
Lo ritengo una figura affascinante. Peccato abbia vissuto in un’altra epoca e non sia possibile incontrarlo personalmente…
CS: Come va l’intenso rapporto con il Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin?
FS: Direi in modo magnifico! Con loro ho collaborato in tanti concerti e registrazioni discografiche, pensiamo alla serie delle colonne sonore scritte da Schnittke, all’Alexander Nevskij, a Metropolis… In futuro prevediamo di intensificare la collaborazione nel repertorio russo. Ora stiamo preparando il progetto relativo a Ivan il Terribile. All’edizione 2015 della Berlinale saremo insieme di nuovo con il film Berlin. Die Symphonie der Grossstadt di Ruttmann accompagnato dall’esecuzione dal vivo della musica originale composta da Edmund Meisel. Però, potrebbe anche esserci una sorpresa!
Quando progettiamo qualcosa con la Berlinale dobbiamo anche confrontarci con i loro tempi operativi che forzatamente sono ben diversi dai nostri!
CS: A proposito di Berlinale che impressione ti ha fatto la musica per organo eseguita da John Zorn per Il Gabinetto del Dottor Caligari (1927) di Robert Wiene?
FS: Direi un’idea alquanto bizzarra e particolare! In ogni caso almeno per una volta l’organo Karl Schuke alla Philharmonie ha potuto essere messo pienamente alla prova!
“Non nascondo che elementi e soluzioni armoniche formaliste siano presenti in alcune mie composizioni venute alla luce alla fine degli anni venti, influenzato dai contatti e dalle esperienze artistiche vissute in occidente. Successivamente le critiche rivolte dalla Pravda nel 1936 all’opera di Dmitrij Shostakovich Lady Macbeth del distretto di Mzensk mi hanno indotto a una profonda riflessione sul mio linguaggio musicale e sono giunto alla conclusione che il formalismo è portatore di aspetti artistici negativi e che va dunque evitato. Mi sono quindi impegnato nella ricerca di uno stile più chiaro, spontaneo, ricco di contenuti e accessibile al grande pubblico. Vorrei peraltro far notare come la melodia sia sempre rimasta il punto di riferimento del mio universo sonoro ed è stata oggetto di continua ricerca e confronto. Occorre riflettere sul fatto di come per un compositore sia fondamentale e allo stesso tempo anche assai difficile creare idee melodiche originali e moderne che rimangano sempre comprensibili all’ascoltatore senza incorrere nel rischio di scadere in soluzioni armoniche banali, ripetitive, scontate o pericolosamente artefatte e esornative...”(1)
Così si esprime Sergeij Prokofiev nella sua lettera inviata all’Unione dei Compositori Sovietici dopo il decreto adottato nel gennaio del 1948 dal nuovo ministro della cultura Andreij Schdanov che sanciva la linea del partito in materia musicale e artistica e riaffermava in modo implacabile il concetto estetico real-socialista di una musica con accenti ottimisti, rivolta alla tradizione popolare e facilmente accessibile alle grandi masse e condannando senza riserve le contaminazioni formaliste in cui erano caduti compositori dello spessore di Dmitrij Shostakovich e dello stesso Prokoviev. Il formalismo è un concetto dal carattere principalmente ideologico adottato nella Russia sovietica in campo musicale per indicare un linguaggio antipatriottico influenzato da mode borghesi e tendenze avanguardiste occidentali, rivolto prevalentemente all’interesse di elite intellettuali e lontano dallo spirito del grande pubblico.
Dopo aver soggiornato in vari paesi fra cui gli Stati Uniti, la Germania e la Francia Prokofiev torna in patria nel 1936 con l’idea di partecipare al processo di trasformazione sociale e culturale del paese. Le critiche di formalismo che gli vengono rivolte da ambienti politici e intellettuali lo inducono ad addolcire il suo stile modernista e spigoloso e ad orientarsi verso un linguaggio più melodico.
Proprio in questo periodo nasce su una iniziale commissione da parte del Teatro Kirov a Leningrado la partitura per il balletto Romeo and Juliet basato sull’omonimo dramma di William Sheakespeare, che viene annoverata fra i suoi maggiori esiti a livello sinfonico e drammaturgico che lo rendono uno dei suoi lavori più amati ed eseguiti nei maggiori teatri internazionali.
Il soggetto ha ispirato nel corso degli anni diversi compositori fra cui Bellini, Berlioz, Gounod, Tschaikowskij fino al celebre binomio Sondheim/Bernstein nel musical poi divenuto film West Side Story (1957/1961).
Anche il cinema ha celebrato la drammatica storia dei due giovani amanti veronesi con diverse rilevanti realizzazioni, fra cui ricordiamo Giulietta e Romeo di Renato Castellani (1954, musiche di Roman Vlad), Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli (1968, musiche di Nino Rota) fino ai più recenti Letters to Juliet di Gary Winick (musiche di Andrea Guerra) e Romeo e Giulietta di Carlo Carlei (2013, musiche di Abel Korzeniowski).
Con la sua formidabile tecnica compositiva Prokofiev coniuga in modo magistrale elegante lirismo, penetrante espressività, debordante fantasia e immediatezza ritmica, originalità e ricchezza melodica spingendosi a volte anche attraverso misurate soluzioni dissonanti ai confini dell’universo tonale.
La scrittura riposa su una suggestiva architettura leitmotivica che trasmette l’interiore forza narrativa del capolavoro di Sheakespeare con un linguaggio incisivo, moderno e originale, dove accanto all’imponente rappresentazione drammaturgica non mancano momenti percorsi da sottile ironia.
Dopo continui rinvii della prima mondiale prevista al Bolshoi per divergenze fra il compositore e la direzione del Teatro, questa ha luogo con clamoroso successo il 30 dicembre 1938 al Teatro Nazionale di Brno, nella Repubblica Ceca per poi approdare l’11 gennaio 1940 al Teatro Kirov di Leningrado con la star Galina Ulanova grande protagonista e la suggestiva coreografia ideata da Leonid Lavronskij.
La consacrazione del balletto avverrà quindi nel 1946 con la prima rappresentazione al Bolshoi di Mosca.
Attraverso una felicissima collaborazione con il regista lettone Sergej Eizenstein Prokofiev ha legato il suo nome a due fra le più suggestive partiture composte per il grande schermo, Alexander Nevskij (1938) e Ivan il Terribile (Ivan Groznij, 1944, Prima e Seconda Parte).
Nel 1955 il regista Lew Arnschtam (1905 – 1979) in collaborazione con il coreografo Leonid Lawronskij che aveva firmato la prima rappresentazione al Teatro Kirov nell’allora Leningrado del 1940, realizza negli studi della Mosfilm a Mosca una trasposizione filmica del lavoro di Prokofiev, che nel frattempo si era spento due anni prima, con ironia della sorte nella stessa data del 5 marzo in cui veniva a mancare anche Stalin.
Regista raffinatissimo, Arnshtan possiede una solida preparazione musicale pianistica compiuta al conservatorio di Leningrado che lo ha portato ad essere nominato assistente musicale del grande regista teatrale Wsevolod Meyerhold nel suo teatro a Mosca dal 1924 al 1927 e successivamente a svolgere la stessa funzione dal 1929 a Leningrado con il regista Grigori Kozintsev, con cui ha inizio il suo confronto con il grande schermo. Egli è anche grande amico di Dmitri Shostakowich che compone le musiche per alcuni suoi film, fra cui Zoya (1944, Soyuzfilm) e Cinque giorni e Cinque notti (1961, Defa / Mosfilm).
Arnshtam con Romeo and Juliet non compie un semplice trasferimento di una performance teatrale di balletto su grande schermo quanto realizza un vero film senza dialogo di immagini solo parzialmente danzate o se si vuole di un opera senza voci che si riallaccia da una parte all’esperienza del cinema muto e dall’altra offre un’originale idea rappresentativa che ha successivamente ispirato un regista come Carlos Saura nei suoi Tango (1998) e Carmen Story (1984). Il suo lavoro possiede un suggestivo cromatismo e una straordinaria forza espressiva dove la danza entra nell’universo della pantomima per una coinvolgente rappresentazione dei sentimenti umani in un riuscitissimo esperimento di applicazione del linguaggio filmico al balletto.
Anche se realizzato agli inizi del periodo del disgelo, dal punto di vista visivo il film risente, anche se in misura moderata, dei canoni estetici real-socialisti con primi piani statuari e una scenografia fortemente suggestiva quanto avvertitamente costruita con la magnifica ambientazione in Crimea nei pressi di Yalta. Protagonista assoluta del film la ormai non più giovane ma sempre stellare Galina Ulanova che nel 1940 aveva tenuto a battesimo il balletto di Prokofiev a Leningrado. Artista straordinaria, vera leggenda della danza russo-sovietica Galina Ulanova si impone sulla scena con grazia, fascino, virtuosismo e avvolgente eloquenza espressiva. Accanto a lei Yurij Zhdanov si muove con grande maestria e spontaneità espressiva a volte peraltro inghiottito nei grandi movimenti corali del film. Imponente per tecnica, forza espressiva e presenza scenica anche la prova dei ballerini A. Yermolayev e S. Koren rispettivamente impegnati nei ruoli di Tibaldo e Mercuzio.
Lo scorso 29 marzo il film è stato proposto a Berlino nell’auditorium della Universitaet der Kuenste in una rappresentazione con l’esecuzione dal vivo della partitura di Prokofiev diretta dal Maestro Frank Strobel alla guida della magnifica compagine del Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, da molti anni fortemente impegnata nel mondo dell’Ottava Arte.
La realizzazione musicale del Maestro Strobel si qualifica per l’impressionante chiarezza dell’articolazione e per il nitore e la morbidezza delle linee espressive come per l’intensità e profondità degli spessori sonori che illuminano in modo grandioso la scrittura di Prokofiev nella sua dimensione epica e drammatica ma soprattutto anche nei tratti fortemente atmosferici del gesto melodico che accompagna i passaggi più raccolti, così come nei momenti di forte tensione ritmica spesso percorsi da una sottile carica ironica.
L’orchestra berlinese si esibisce in una prova superlativa nella sua non comune capacità di coniugare spiccato virtuosismo e coinvolgimento emotivo e intellettuale e con il suo sound imponente e trasparente, l’incredibile bravura dei suoi musicisti si fonde con ammirevole disinvoltura nell’impegnativo e severo sincronismo che le sequenze di immagini danzate comportano.
Alcuni momenti dell’esecuzione musicale rimarranno a lungo impressi nella memoria. Citiamo in particolare la carica emotiva che percorre l’avvolgente tema d’amore enunciato dai corni e ripreso da clarinetto e archi nell’addio di Romeo in partenza per l’esilio a Mantova e la dirompente forza espressiva con cui viene rappresentato il drammatico climax del funerale di Giulietta dove il sontuoso sound dell’orchestra trova totale esaltazione.
Grande serata di immagini e musica festosamente accolta dal numeroso pubblico.
Nota: (1) Alexander Werth, Scandale musical à Moscou, Tallandier 2010, Paris pagg. 164 e segg.
Intervista al Maestro Frank Strobel
Nato nel 1966, Frank Strobel è direttore d’orchestra del repertorio classico e tardo romantico oltre che rinomato interprete e restauratore di importanti colonne sonore. Dirige le principali orchestre europee, americane e orientali in programmi strettamente musicali o in film con musica dal vivo. Ha tenuto a battesimo numerose nuove partiture scritte da compositori contemporanei per importanti film muti come La Terra di Alexander Dovschenko (musica di Alexander Popov) o Tempesta sull’Asia di Vsevolov Pudovkin (musica di Bernd Schultheis). Il maestro è anche autore del restauro e della pubblicazione delle colonne sonore originali scritte da Prokovjev per il film Alexander Nevskij di Eizenstein e da Shostakovich per il film di Kozinzev La nuova Babilonia. Ha anche redatto e pubblicato numerose suites tratte dalle colonne sonore scritte da Alfred Schnittke per film di importanti registi come Elem Klimov, Larisa Shepitko e Aleksandr Mittà. Molte delle sue numerose registrazioni discografiche gli hanno valso il ‘Premio della critica discografica tedesca’.
Dal 2000 ricopre la carica di direttore artistico della Europaeische Filmphilharmonie a Berlino da lui fondata. Su incarico della Murnau Stiftung di Wiesbaden Frank Strobel ha lavorato alla ricostruzione della versione originale del Film Metropolis di Fritz Lang presentata in prima mondiale alla Berlinale 2010 con l’esecuzione dal vivo della colonna sonora composta da Gottfried Huppertz da egli diretta alla guida del Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin. Altri importanti progetti da lui diretti riguardanti il cinema muto sono Die Niebelungen di Fritz Lang con le musiche di Gottfried Huppertz e Ottobre di Sergej Eisenstein con le musiche di Edmund Meisel presentato alla Berlinale 2012. La Universum Film ha recentemente pubblicato in edizione DVD il film di Arnold Fanck Im Kampf mit dem Berge (Confronto con la montagna, 1921) con le musiche di Paul Hindemith eseguite della HR-Sinfonieorchester sotto la sua direzione.
Colonne Sonore: Durante la prova del Romeo and Juliet abbiamo avuto una riflessione riguardo a Prokofiev.
La sua musica, in particolare in questa partitura, presenta un forte carattere melodico, eppure allo stesso tempo si avverte la modernità del suo linguaggio. Cosa che ad esempio con Rota non succede. Il suo stile compositivo appare molto spesso fuori tempo. Qual è la tua impressione?
Frank Strobel: Si in parte sono d’accordo. Del resto ambedue i compositori hanno fatto frequente ricorso al repertorio della musica popolare dei propri paesi. Naturalmente Prokofiev riesce a conferire al suo linguaggio una certa spigolosità o se vuoi anche una certa asprezza che lo avvicina al sentire artistico del ventesimo secolo. Egli si muove a volte ai confini della tonalità e nel suo prediligere le frequenze alte e basse a scapito delle medie arriva a generare uno spettro sonoro percorso da tensioni avvolte da un gesto moderatamente ruvido.
CS: In campo filmico Prokofiev non è solo Alexander Nevskij o Ivan il Terribile…
FS: Assolutamente no! Lo vediamo con il film di Arnschtam, dove il lavoro inizialmente ed anche effettivamente realizzato come un balletto diventa poi un film vero e proprio che con il suo carattere si distingue da quella che potrebbe essere una mera trasposizione su grande schermo di una serata teatrale.
La trasposizione filmica, del resto, è avvantaggiata anche dal forte carattere pantomimico della coreografia originale di Lavrow che ha partecipato alla sua realizzazione.
E’ anche evidente il ricorso al linguaggio del cinema muto adottato dal regista. Il film mi ha molto colpito fin dalla mia prima visione e personalmente lo considero un documento ‘storico’ nel suo genere ma allo stesso tempo anche un lavoro di grande modernità nel suo anticipare nuove idee e suggestioni del linguaggio cinematografico.
Siamo in presenza della rappresentazione filmica di una partitura musicale e allo stesso tempo abbiamo il trasferimento del suo soggetto in un suggestivo setting sul Mar Nero.
CS: In che misura l’interpretazione della partitura di Prokofiev viene condizionata dal punto di vista agogico dall’andamento ritmico-temporale del film?
FS: La rappresentazione filmica di un balletto e la sua coreografia richiedono nell’interpretazione musicale, in particolare nell’affrontare una partitura come quella di Prokofiev, una concentrazione e un impegno totale per raggiungere la richiesta compenetrazione sincronica fra musica e movimento.
Da questo punto di vista Romeo and Juliet è sicuramente uno dei progetti più impegnativi fra tutti quelli che in questi anni abbiamo affrontato.
La considerazione che vorrei fare è rivolta all’interpretazione e alla rappresentazione sonora che oggi in una naturale evoluzione assume dei connotati alquanto diversi da quella inserita nel film nel 1955 con l’Orchestra del Teatro Bolshoi diretta da Gennadi Roshdestvenskij che rimane peraltro, nella realizzazione del film-concerto, un fondamentale punto di riferimento agogico.
CS: Un argomento diverso. Fra le novità DVD del cinema muto figura anche Wagner realizzato da Carl Froehlich nel 1913 in un’edizione della Universum Film. Le musiche originali di Giuseppe Becce nella ricostruzione curata da Bernd Schultheiss sono eseguite dall’Orchestra Deutsche Philharmonie Rheinland-Pfalz sotto la tua direzione. Becce qui si presenta anche come attore…
FS: Il film realizzato da Froehlich in occasione del centenario della nascita del compositore è un lavoro biografico che accompagna lo spettatore attraverso le varie fasi della vita, dagli anni giovanili al Teatro di Leuchstaedt, a quelli carichi di vicende contrastanti vissuti a Dresda fino all’incontro con il Re Ludovico II, da cui riceve incondizionato sostegno nel resto della sua vita.
Becce ha musicato il film e allo stesso tempo – in relazione all’incredibile somiglianza del suo volto con quello del compositore – lo ha anche rappresentato sullo schermo. Avendo Cosima Wagner espresso la sua opposizione all’impiego della musica scritta dal marito in un film, o meglio in un’espressione artistica secondaria quale ella considerava il cinema, Becce ha fatto ricorso a musiche di altri compositori per tratteggiare la vita di Wagner e, con un sofisticato e raffinatissimo gioco di secondi, ha introdotto alcune brevissime citazioni di sue opere – dal Lohengrin al Tristano - corte abbastanza da non dover correre il pericolo di dover versare alla Cosima Wagner cospicui importi di diritti d’autore… Il film è naturalmente un venerato omaggio al compositore ma allo stesso tempo mantiene una sottile chiave ironica.
La scrittura di Becce ha un carattere compilativo sulla base della tecnica da lui stesso sviluppata (anche insieme ai colleghi Brav e Erdmann, ndr) e utilizza diversi compositori con sottili manipolazioni per sottolineare dal punto di vista drammaturgico e non meramente esornativo le varie fasi della vita e dei momenti storici vissuti, ad esempio Haydn per il suo periodo giovanile, seguito da brani di Mozart e Rossini. La Sesta e Settima Sinfonia di Beethoven rappresentano poi un riferimento importante come modello di perfezione artistica perseguito dal musicista di Lipsia.
Se non si conosce la storia di questo film nel corso della sua visione lo spettatore potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte a un vero e proprio documentario con personaggi non fittizi ma effettivamente reali. In questo senso appaiono incredibili anche le qualità sceniche oltre che musicali di Becce, che come sai ha vissuto e lavorato a Berlino per lungo tempo agli inizi del ventesimo secolo.
Lo ritengo una figura affascinante. Peccato abbia vissuto in un’altra epoca e non sia possibile incontrarlo personalmente…
CS: Come va l’intenso rapporto con il Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin?
FS: Direi in modo magnifico! Con loro ho collaborato in tanti concerti e registrazioni discografiche, pensiamo alla serie delle colonne sonore scritte da Schnittke, all’Alexander Nevskij, a Metropolis… In futuro prevediamo di intensificare la collaborazione nel repertorio russo. Ora stiamo preparando il progetto relativo a Ivan il Terribile. All’edizione 2015 della Berlinale saremo insieme di nuovo con il film Berlin. Die Symphonie der Grossstadt di Ruttmann accompagnato dall’esecuzione dal vivo della musica originale composta da Edmund Meisel. Però, potrebbe anche esserci una sorpresa!
Quando progettiamo qualcosa con la Berlinale dobbiamo anche confrontarci con i loro tempi operativi che forzatamente sono ben diversi dai nostri!
CS: A proposito di Berlinale che impressione ti ha fatto la musica per organo eseguita da John Zorn per Il Gabinetto del Dottor Caligari (1927) di Robert Wiene?
FS: Direi un’idea alquanto bizzarra e particolare! In ogni caso almeno per una volta l’organo Karl Schuke alla Philharmonie ha potuto essere messo pienamente alla prova!