Transformers: Revenge Of The Fallen
Steve Jablonsky
Transformers: la vendetta del caduto (Transformers: Revenge Of The Fallen – 2009)
Reprise/Warner Bros. 519972-2
14 brani – durata: 43’53’’
Contrariamente alla stesura delle pagine di commento per il primo film, dove Jablonsky aveva dimostrato comunque una certa predisposizione nella creazione di musica d’effetto piuttosto coinvolgente, grazie all’ausilio di costruzioni corali che nel contesto del film funzionavano dignitosamente (pur non brillando di luce propria) ed un tema portante che sebbene fosse figlio diretto di Crimson Tide, King Arthur e molti altri prodotti marchiati Hans Zimmer & Co. nell’insieme risultava gradevole e orecchiabile, per questo nuovo film l’autore si fa cogliere palesemente con le mani nel sacco; il sacco di tutti gli espedienti musicali ricorrenti della produzione del suo Maestro (e relativi collaboratori). Transformers: La Vendetta Del Caduto offre ben poco di nuovo rispetto alla precedente composizione, e le parti originali vengono spesso sovrastate da luoghi comuni e costruzioni ricorrenti che spaziano tra Face/Off, Broken Arrow, The Peacemaker, Crimson Tide fino ad arrivare addirittura a Il Gladiatore, grazie all’abuso di gorgheggi che rammentano fin troppo le pagine più drammatiche e liriche (nei limiti del lavoro in questione) composte per la pellicola di Ridley Scott.
Oltre a ciò troviamo anche elementi provenienti dalla canzone “New Divide”, nel brano “NEST”, composta dai Linkin Park per il secondo episodio di questa serie. Anche qui di originalità ce n’è ben poca, e se si considera che già col loro primo album il celebre gruppo non aggiunse nulla di nuovo al genere Nu Metal del quale si proclamano quasi fondatori (nonostante gruppi quali Limp Bizkit, Korn e Deftones fossero già più che attivi da diversi anni prima del loro esordio), non c’è da stupirsi se il risultato si dimostra più che deludente.
Pochi gli elementi degni di attenzione all’interno di questo disco prodotto dalla Reprise/Warner Bros., che difficilmente emulerà il successo dello score album per il primo film, se non grazie al nome o al franchising che lo supporta.
Tra le sequenze di maggior interesse spiccano le drammatiche e pulsanti costruzioni per archi, cori e componenti elettroniche di “Heed Our Waiting”, nella quale sporadicamente fa capolino una modesta ma convincente sezione di tromboni, che sottolinea la tensione crescente grazie a poderosi strappi rafforzati da imponenti timpani e muscolose interpretazioni delle voci maschili. Più variegata e frenetica “Forest Battle”, che alterna costruzioni per percussioni, archi e coro a riff di chitarra elettrica poco presente ma graffiante al punto giusto.
Saltano all’orecchio al tempo stesso però quegli elementi provenienti da The Rock o Crimson Tide, che per fortuna vengono presto sovrastati dal tema principale della serie, forse l’unico movimento convincente e adeguato al genere, seppur carico di stereotipi tipici della MediaVentures.
Spesso Jablonsky sembra guardare a lavori quali Eagle Eye, del collega Brian Tyler, partitura che a tratti risulta essere a sua volta debitrice della serie dei Bourne di John Powell.
Spiazza poi il gorgheggio in pieno stile Gladiatore nel brano “Infinite White”, riportando davvero troppo alla mente le pagine di Hans Zimmer, Klaus Badelt e Lisa Gerrard per il blockbuster storico ambientato nell’antica Roma.
Gli elementi più sinfonici e drammatici, principalmente esposti in “Tomb Of The Primes”, si presentano estremamente banali e ridondanti, attraverso l’ausilio di corpose sezioni d’ottoni e crescendo per corni e timpani che indubbiamente fanno il loro effetto, ma non aggiungono nulla di nuovo ad una costruzione talmente standardizzata ed abusata da non riuscire a convincere neanche attraverso le esplosioni più brillanti e pulite.
In definitiva Steve Jablonsky delude con questa sua seconda prova per il mondo iper-tecnologico degli Autobot, proponendo delle pagine che, se combinate tra loro, potrebbero essere inserite in action-movies, thriller, film di guerra o d’avventura di ultima generazione senza risultare minimamente fuori luogo, proprio per l’assenza di quell’elemento caratterizzante, personale, originale che gli conferisca una certa identità.
Tecnicamente il lavoro potrebbe essere ritenuto buono, specialmente nell’equilibrio delle parti, che permette di assaporare tanto il suono pulito e brillante dei corni durante l’intonazione del tema portante, quanto le ritmiche più pulsanti e martellanti generate elettronicamente, ma nell’insieme risulta tutto troppo debitore di altri lavori già deboli in origine, che potevano perlomeno poggiarsi sui temi convincenti, seppur molto simili tra loro, composti da Nick Glennie-Smith (The Rock, Crimson Tide).
Transformers: Revenge Of The Fallen non raggiunge la sufficienza, e aggiunge un altro tassello nel triste mosaico di questo autore, che con le pagine composte per il film d’animazione Steamboy aveva destato una certa attenzione, ma evidentemente come molti dei collaboratori di Hans Zimmer si trattava solo di una eccezione, e non di una costante.