15 Dic2013
Intervista esclusiva a Luigi Pulcini
Dall’Italia agli USA: intervista esclusiva a Luigi Pulcini, compositore e ingegnere informatico
Luigi Pulcini studia Composizione presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma e Ingegneria Informatica presso l’Università Politecnica delle Marche, dove discute una tesi dal titolo “L’Orchestra Virtuale” sulle nuove tecniche di programmazione MIDI e campionamento digitale destinate all’orchestrazione virtuale.
Negli ultimi dieci anni si rivolge con particolare attenzione al mondo della musica per immagini e la sua formazione culmina con il corso di “Film Scoring” presso il Berklee College of Music di Boston e le Masterclass “Fotogrammi e Pentagrammi” tenute dal Maestro Nicola Piovani presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, in occasione delle quali Piovani riconosce con entusiasmo la grande cura e professionalità dei suoi lavori.
Nel 2008 si trasferisce a Los Angeles dove stabilisce la sua carriera come compositore di musica per film. È qui che incontra Christopher Young, con il quale inizia una collaborazione che dura ancora oggi. Per Young, Luigi lavora a film come Love Happens (Qualcosa di speciale, 2009), Drag me to Hell (Id. , 2009), Priest (Id. , 2011). Sempre a Los Angeles Pulcini ha la possibilità di collaborare con Alf Clausen, Paul Haslinger, Andrea Morricone, Nuno Malo ed entrare in contatto con James Newton Howard e Harry Gregson-Williams.
Nel 2010, la prestigiosa “Society of Composers and Lyricists” di Hollywood lo seleziona tra gli otto compositori che partecipano quell’anno all’“SCL Mentor Program”.
Nel Novembre del 2012, la sua colonna musicale per il film The Investigator (inedito in Italia) viene premiata nel corso dei Global Music Award.
Luigi attualmente vive e lavora a Los Angeles, dove ha fondato Film Scoring Lab, una società di produzione musicale, gestita con i due soci e colleghi Saverio Rapezzi e Fabrizio Mancinelli.
Maggiori informazioni su:
http://www.luigipulcini.com/
Colonne Sonore: Quando nasce Luigi Pulcini musicista e compositore?
Luigi Pulcini: La mia passione musicale si perde nella mia memoria. Fin da quando, piccolissimo, dirigevo le sinfonie di Beethoven insieme a Karl Böhm e i Berliner Philarmoniker con il ferro da maglia di mia madre. A sette anni, le mie insistenti capacità di persuasione costrinsero i miei ad affittare un pianoforte, forse nella convinzione - poi delusa – di un capriccio passeggero. L’incontro con la composizione è nato da un bisogno, una pulsione, più che una scoperta. Mi ritengo una persona creativa, non solo nell’arte. Anche da Ingegnere Informatico il mio istinto di sperimentare, di “creare” è stato da sempre la componente che mi ha spinto a non limitarmi mai a ciò che trovavo fatto da altri, ma a cercare le mie strade.
Così, una volta che i miei studi ingegneristici stavano per volgere al termine, decisi di portare a compimento anche la mia formazione musicale, studiando nel Conservatorio di Fermo prima e nel Conservatorio Santa Cecilia di Roma poi. Ma gli studi erano assolutamente funzionali a ciò che avevo già in cuore di fare e ringrazio il cielo di aver sempre trovato insegnanti illuminati e disponibili ad assecondare le mie propensioni musicali.
CS: Perchè la decisione di abbandonare l'Italia e trasferirti oltreoceano per seguire l'Ottava Arte?
LP: Ho avuto una recente discussione sull’argomento con una persona che sosteneva che chi lascia il proprio Paese, in fondo, non fa altro che denunciare il proprio fallimento. Io dico che se di fallimento si può parlare questo non è di chi se ne va, ma del Paese che non fa nulla per evitarlo.
Le condizioni professionali in Italia sono sotto gli occhi di tutti, in pressoché tutti i campi. Nel campo artistico, questa situazione diventa tanto più evidente quanto drammatica. Nel dettaglio del mondo cinematografico, si arriva tristemente al “caso disperato”.
E tutto questo nonostante io ci abbia provato fino alla fine, giungendo a investire tutte le mie energie e i miei risparmi in uno studio di produzione musicale che, nel 2006, era dotato delle tecnologie più avanzate in Italia quanto a orchestrazione virtuale, anche grazie a una sperimentazione che era confluita nella mia tesi di laurea in Ingegneria Informatica, dal titolo “L’Orchestra Virtuale”.
Riguardo all’America, al di là delle considerazioni più scontate sull’enormità delle occasioni che riesce a offrire un ambiente produttivo come quello hollywoodiano, quello che ho rilevato fin dal primo momento è la grande capacità di offrire un’opportunità a tutti. Anche a chi è appena arrivato e non ha altro nelle mani se non le proprie competenze. Devo ammettere che, nonostante le grandi aspettative che io avessi, questo Paese è riuscito a stupirmi anche di più per la facilità con cui ti ritrovi nel bel mezzo della produzione di un “major motion picture” soltanto per un passaparola su quello che sai fare. In fondo, la vera chiave di lettura di questo è che in America le tue competenze vengono sempre viste come una risorsa da cui trarre vantaggio, mai come una minaccia da scongiurare.
CS: In cosa consiste il tuo lavoro di Ingegnere del suono per le colonne sonore?
LP: Più che “del suono”, direi “informatico-musicale”, perché queste sono le mie competenze specifiche. Un compositore-ingegnere ha un ruolo fondamentale nella produzione di una colonna sonora, per come si è trasformato il flusso di lavoro negli ultimi anni. A partire dallo spotting della musica sulle scene fino al missaggio finale, oggigiorno ogni fase si serve di soluzioni tecnologiche che aiutano a gestire ogni aspetto produttivo. Un compositore puro molto spesso annaspa tra problematiche tecniche che lo distolgono dagli aspetti musicali. Un ingegnere puro si trova a volte di fronte a questioni musicali che non sa bene come affrontare. Una figura mista ha l’indubbio vantaggio di poter gestire un più largo spettro di situazioni con maggior consapevolezza.
Nello specifico, il ruolo in cui mi adopero più spesso è quello di programmatore MIDI. In ogni film c’è sempre bisogno di creare un mockup orchestrale, cioè un bozzetto sonoro ultrarealistico che permetta di ascoltare il risultato sonoro prima di registrarlo con l’orchestra dal vivo. Questo mockup, nei film che dispongano di un budget per la registrazione orchestrale, serve da un lato ad aiutare il regista o il produttore a capire come una certa musica scritta su carta funzioni su una data sequenza, dall’altro a predisporre i materiali sonori che non verranno registrati con l’orchestra, ad esempio loop percussivi, suoni sintetici o anche suoni orchestrali che si intende comunque sovrapporre all’orchestra dal vivo per aumentarne il corpo sonoro o per ottenere altri effetti (ad esempio, ritmi complessi o esecuzioni organologicamente impossibili).
In questa fase il programmatore MIDI si occupa spesso anche della conformazione della tempo map, cioè della sincronizzazione della musica alle immagini, per far sì che una data battuta musicale arrivi al tempo desiderato della sequenza. Il compositore ha già in mente i punti precisi in cui la musica deve “colpire” un determinato evento, ma il programmatore si occupa di aggiustare i tempi musicali in modo che questa sincronizzazione sia accurata al fotogramma.
Una volta che la colonna sonora viene completamente approvata dal committente, mentre orchestratori e copisti pensano a espandere le partiture e a preparare le parti per la registrazione con l’orchestra, noi programmatori – solitamente di concerto con il music editor – ci occupiamo di prepare le sessioni di registrazione, includendo clic e materiali preregistrati sopra i quali l’orchestra sarà chiamata a registrare.
Si tratta di un lavoro estremamente delicato, soprattutto se si pensa alla mole di lavoro necessaria a gestire quaranta, cinquanta cue con un organico di 80 elementi. Senza contare che i tempi di lavorazione sono spesso follemente accelerati.
CS: Raccontaci alcuni aneddoti sulle tue collaborazioni con nomi noti del panorama cine-musicale, quali Christopher Young, Alf Clausen, Nuno Malo e Paul Haslinger?
LP: Il rapporto di collaborazione più stabile è certamente quello con Christopher Young, che è anche il compositore che per primo mi ha accolto quando sono sbarcato qui a Los Angeles. Raccontare aneddoti che lo riguardano sarebbe impossibile. È un compositore estroso, forse un po’ eccentrico, ma certamente geniale. Mi dispiace solo che alcuni suoi lavori non siano stati valorizzati e promossi al grande pubblico come avrebbero meritato. Ho avuto il piacere di collaborare con lui a numerose colonne sonore, tra le quali Drag me to hell, Love happens, Priest. Una delle sue colonne sonore che più amo è Creation di Jon Amiel, il film drammatico sulla vita di Charles Darwin con Paul Bettany e Jennifer Connelly, dove Chris ha mirabilmente creato una colonna musicale che – come le scoperte darwiniane sembrerebbero suggerire – si evolve dal romanticismo di Chopin ai tintinnabuli di Arvo Pärt. Di sicuro una colonna sonora che non ha ricevuto l’esposizione che meritava e che vi consiglio caldamente di ascoltare, se non lo avete già fatto. L’esperienza con Chris è anche un altro buon esempio di quanto rapidamente la carriera di un compositore, qui a Los Angeles, possa evolversi con la giusta dose di competenze, intraprendenza e motivazione. Quando sono entrato nel suo team, nel 2008, ero il “runner”, cioè la persona che si occupa di tenere lo studio in ordine, dalla preparazione del caffè alla pulizia ordinaria delle sale. Ma già a poche settimane dal mio arrivo mi era stato dato modo di mettere in mostra le mie qualità e venivo interpellato ogniqualvolta si doveva effettuare una registrazione interna. Ormai mi divido la responsabilità degli studi di registrazione interni con il suo sound egnineer storico.
Con Alf Clausen ho avuto il piacere di collaborare per una internship di tre mesi alla 20th Century Fox. Alf è il compositore storico della serie The Simpsons e affiancarlo al lavoro è stata un’esperienza senza precedenti. Il suo talento è secondo solo alla sua capacità di adattare il materiale musicale alle immagini. Vedere Alf manipolare la musica che ha preparato per adattarla ai cambiamenti dell’ultim’ora che a volte vengono ricevuti quando si è già con i musicisti seduti in sala ti fa capire quale maestria e padronanza ci siano dietro questo compositore riservato e bonaccione. La cosa più impressionante è aver scoperto che da venticinque anni le musiche dei Simpsons vengono registrate ogni venerdi durante tutta la stagione e che nel corso di tutto questo tempo sono stati accumulati oltre 72000 cue, in una library musicale così vasta che risulta più semplice scrivere nuova musica per ogni episodio che fare delle ricerche per trovare quella adatta di volta in volta.
Nuno Malo invece è un giovane compositore che sta ottenendo grandissimi risultati e che posso orgogliosamente considerare uno dei miei migliori amici qui a Los Angeles. Con lui la collaborazione è continua, visto che ci sentiamo quotidianamente e capita spesso di dargli una mano per i suoi film. Il suo talento è impressionante anche in relazione alla sua età e vi consiglio vivamente di tenerlo d’occhio perché ne sentiremo presto parlare molto spesso.
Con Paul Haslinger la collaborazione si è limitata al film I tre moschettieri di Paul Anderson, ma mi piace ricordare questo aneddoto come la dimostrazione più evidente di come funzionano le cose qui a Los Angeles. Un giorno ricevo una sua telefonata: “Ciao Luigi, ho avuto il tuo numero dal mio orchestratore Tim Davies che mi ha suggerito di chiamarti dicendo che sei l’unico che può risolvere un problema che sto avendo con le temp map dei miei progetti in Cubase”. Ecco, questo è ciò che qui chiamano “word of mouth”.
CS: Perchè hai scelto la strada del film scoring?
LP: A livello pratico, io sono un appassionato di tecniche di sincronizzazione, con le quali mi piace sperimentare, soprattutto oggi che la tecnologia rende gli aspetti manuali estremamente sofisticati e offre quindi ampi spazi alla ricerca musicale, anche laddove è richiesta una sonorità più classica e tradizionale, che poi è il linguaggio espressivo in cui mi sento più a mio agio. Quando mesi fa partecipai a uno screening di Les Misèrables a cui era presente anche Claude-Michel Schönberg, autore della musica, fu estremamente intrigante sentir raccontare come le riprese dell’intero film erano state concepite in modo da consentire agli attori di cantare liberamente sul set, accompagnati da un semplice pianoforte nel backstage, che successivamente era stato sostituito dall’orchestra, scritta e registrata in modo che si asservisse alle loro esecuzioni canore. Una situazione del genere sarebbe stata pane per i miei denti, a livello di soluzioni tecnologiche da attuare per ottenere il risultato finale.
In The Investigator – con le dovute proporzioni, chiaramente – mi è capitata una situazione analoga. Il montatore era preoccupato per una scena in cui un personaggio canta a cappella e con voce un po’ traballante la parte finale dell’inno nazionale americano prima di una partita di baseball. È stata una soddisfazione vedere la sua espressione entusiastica quando gli ho mostrato la scena dove la mia musica, da puro underscore, diventa accompagnameto musicale per l’inno, in un intervento musicale che sfocia senza soluzione di continuità nella successiva sequenza di gioco.
Sono queste le tipiche situazioni che mi appassionano nel mio lavoro di film scoring.
CS: Parlaci della tua prima colonna sonora, The Investigator, un film indipendente scritto da Richard Romano, fratello del popolare attore Ray Romano - ben noto al pubblico americano e italiano per la fortunata serie Tutti amano Raymond.
LP: Verso la metà del 2010 venni contattato da Nicole Abisinio, una produttrice della Florida che aveva ricevuto il mio nome da un collega di Los Angeles. A pochi giorni di distanza dall’uscita del film che stava producendo in quel momento, si trovava in difficoltà per un paio di sequenze per le quali erano state utilizzate musiche di cui poi non avevano ottenuto la licenza d’uso. Chiese il mio aiuto, in cambio della promessa di affidarmi il suo prossimo lungometraggio, quandunque lo avesse prodotto. Musicai queste due scene finali e i titoli di coda del film e fui sommerso di gratitudine e di apprezzamenti, soprattutto per il clima di disponibile collaborazione che ero riuscito a instaurare.
Verso la fine del 2011 – ammetto con una certa dose di stupore, viste le numerose promesse disattese a cui questo ambiente purtroppo ti abitua – la promessa fatta un anno prima si materializzò in una mail dove Nicole mi annunciava di essere quasi alla fine delle riprese del suo nuovo film, chiedendomi se fossi interessato ad occuparmi stavolta dell’intera colonna sonora. Mi feci mandare subito la sceneggiatura e mi accorsi di quanto articolato fosse il film, soprattutto in relazione al fatto che si tratta di una storia autobiografica su alcuni eventi che hanno segnato la vita di Richard Romano, l’autore della sceneggiatura. Raccontato in poche parole, The Investigator racconta la storia di un poliziotto che, in conseguenza a un’operazione di polizia finita con una vittima innocente, viene costretto a dimissioni forzate, fatto che, insieme al recente aborto spontaneo della moglie, fa crollare la sua fede in Dio. La proposta da parte del fratello, un famoso attore di Hollywood (nel film come appunto nella vita reale dell’autore), di un posto come allenatore di baseball e insegnante di Giustizia Criminale in una scuola cattolica offre al protagonista lo spunto per affrontare la sua crisi di fede e redimersi, attraverso una “lezione investigativa” sugli eventi storici che riguardano la figura di Gesù Cristo.
I temi affrontati e gli spunti offerti sono così numerosi che è stato difficile trovare la giusta direzione da dare alla musica. All’inizio la cosa più impegnativa è stata far capire alla produttrice che la mia visione musicale poteva offrire una chiave di lettura più distaccata rispetto alla loro totale immersione nel progetto da oltre un anno. C’era la tendenza a sottovalutare le mie scelte come se non fossi abbastanza dentro alla storia per poter capire sfumature di cui loro avevano probabilmente discusso fino alla noia.
Alla fine lo score – prodotto esclusivamente facendo uso della mia strumentazione virtuale per esigenze di budget – mi rappresenta in massima parte, anche se sono stato costretto a fare delle scelte che non mi convincevano o alle quali, in almeno un paio di situazioni, ho cercato inutilmente di oppormi con tutte le forze. Ma anche questo fa parte della formazione che si acquisisce sul campo quando si deve interagire in un gruppo di lavoro.
CS: Hai fondato da poco tempo la società di produzione musicale Film Scoring Lab. Cos'è?
LP: Film Scoring Lab è una società che offre servizi di produzione musicale destinati all’industria cinematografica e che ho formato qui a Los Angeles insieme con altri due colleghi italiani, Fabrizio Mancinelli e Saverio Rapezzi, entrambi attivi e impegnati come me nel panorama musicale cinematografico, sia in Italia, sia qui negli USA.
Inizialmente la collaborazione tra noi tre era su base progettuale. Ognuno era impegnato in vario modo in progetti propri e in collaborazioni con altri compositori. Abbiamo cercato di mettere insieme le competenze di tutti per ottimizzare meglio tempi ed energie durante la lavorazione di un progetto. L’idea di Film Scoring Lab prende spunto dalla collaborazione, più che dalla competizione. Personalmente sono convinto che la musica, anche la sola musica per film, sia un campo troppo vasto per pensare di poterla affrontarla in solitaria. Durante la lavorazione di una colonna sonora, le problematiche da affrontare sono così numerose e così varie che l’approccio da “one man band” produce risultati decisamente inferiori, in termini qualitativi. Proprio per questo motivo Film Scoring Lab vuole diventare anche il punto di incontro tra professionisti che condividano con noi la passione per la musica per film.
Da questa missione nasce anche il sogno ambizioso di diventare un punto di riferimento per quanti vogliano cimentarsi in un’esperienza qui a Los Angeles, ma non sanno bene da che parte cominciare. Nel corso degli ultimi anni, anche solo a livello personale, non saprei contare il numero di musicisti e compositori che mi hanno contattato per chiedere consigli, anche sugli aspetti più pratici di una scelta del genere, e che nel mio piccolo ho cercato di aiutare a inserirsi da queste parti.
Chiaramente siamo ancora agli inizi, ma l’esperienza che stiamo facendo sul campo ci incoraggia a credere che siamo sulla buona strada.
CS: In che modo un giovane compositore italiano potrebbe intraprendere la via delle colonne sonore oltreoceano?
LP: Innanzitutto, senza pensare che sia mai troppo tardi per farlo. Io ho preso la decisione di trasferirmi a trentacinque anni e senza avere un contatto concreto. Qualcuno mi ha definito coraggioso. Forse e più semplicemente, sono stato un po’ incosciente. Ma dopo cinque anni, molti sono gli indizi che mi portano a pensare che sono sulla buona strada e che alla fine la mia incoscienza sta ricevendo un gradito quanto inaspettato riconoscimento.
La difficoltà più evidente per chi volge lo sguardo a quest’altra sponda dell’oceano è certamente di carattere burocratico. Nonostante quello americano sia un popolo caratterizzato da grande pragmatismo e la semplicità della burocrazia interna lascia spesso sbalorditi – soprattutto partendo dall’esperienza con quella italiana –, bisogna considerare che le leggi sull’immigrazione americane sono tra le più stringenti e severe al mondo. Chi si trasferisce qui è un visitatore fino a prova contraria e, in quanto tale, non ha una posizione fiscale che gli consente di pagare le tasse, quindi di percepire compensi, quindi, a catena, di lavorare. E ottenere un visto di lavoro prevede una procedura che può risultare lunga e disarmante anche per l’ottimista più incrollabile.
Di certo, il mio consiglio in questo mondo globalizzato è quello di esporre se stessi e il proprio lavoro contattando quanti più professionisti possibili si pensa possano essere interessati a ciò che si sa fare. Non bisogna sottovalutare il potere di una mail. Ma, d’altra parte, non si può trascurare l’importanza di essere fisicamente presenti. Ecco perché io consiglio a tutti di investire sul proprio futuro e programmare un’esperienza da queste parti, un periodo di valutazione di almeno uno o due mesi, per capire innanzitutto se questo ambiente offre ciò che si desidera avere e, in seconda battuta, se si hanno le carte in regola per pensare a una seconda più impegnativa mossa.
Un aspetto da non sottovalutare – e un altro consiglio che offro a tutti quelli che chiedono il mio parere – è quello di misurarsi con le altre realtà europee dove il livello e il numero delle produzioni è confrontabile con quello losangelino o dove, quantomeno, le modalità operative ricalcano le stesse utilizzate qui in America. Il primo esempio che mi viene in mente è Londra che offre una serie di evidenti vantaggi. Il più immediato è economico e geografico: volare a Londra è diventato ormai meno costoso e più veloce di spostarsi in treno da Roma a Milano. Ma il fattore più determinante che molto spesso non viene considerato è che un italiano che si trasferisce a Londra, essendo cittadino europeo, è autorizzato a lavorare il minuto stesso che mette piede sul suolo inglese. Il che non è propriamente da sottovalutare, se si pensa che in America si può impiegare mesi, a volte anni per sentirsi totalmente al sicuro da queste problematiche. Per dare un’idea, io ho deciso di trasferirmi nel 2008, ma solo nel 2013 ho ottenuto la residenza permanente. Sottovalutare questo aspetto significa esporsi al rischio di fallire nei propri intenti non per mancanza di competenze, ma per assenza di un piano programmato e realistico.
CS: Cosa significa per te "Musica per Immagini"?
LP: Da sempre il mio interesse per la musica si è concentrato sugli aspetti funzionali: che si tratti di una composizione liturgica o una musica di scena, di una colonna musicale o un ambiente sonoro, per me la musica è inscindibile da ciò che la ispira e con la quale viene messa in relazione, fino a diventarne parte integrante. Particolarmente, nel caso di una colonna sonora, la musica riveste il ruolo di narratrice invisibile, comunicando ciò che le parole non riescono a esprimere, a volte rassicurando lo spettatore, altre volte straniandolo da ciò che sta guardando. Poche altre forme d’arte riescono a creare con la stessa intensità questa connessione magica e quasi viscerale tra ciò che lo spettatore percepisce a livello sensoriale e quello che egli sente sul piano emotivo, fin nel profondo.
Concepire la musica per un film, insomma, rappresenta una sfida in cui si è chiamati a cimentarsi entro i vincoli che una produzione cinematografica impone, sia a livello filmico, sia a livello artistico e umano. Nella composizione di musica per film si fissano dei paletti di vario genere, stilistici, temporali, dinamici, espressivi, e in base a questi si è chiamati a incanalare il proprio flusso emotivo e a concretizzarlo in una musica che accresca il valore di ogni sequenza, senza diventare puro commento, ma anche evitando di prendere il sopravvento sulle immagini. Vedere questi limiti, queste restrizioni, questo recinto in cui si è chiamati a trovare la propria visione, vedere tutto questo come una ricchezza è, secondo me, ciò che veramente distingue un compositore da un compositore di musica per immagini.
Inoltre il gioco di relazioni personali che si instaura è un’esperienza istruttiva e unica ogni volta. Capire le esigenze del regista o del produttore, mostrandosi disponibile ad accogliere la loro visione, ma senza negarsi il diritto di esprimere la propria. È un gioco di equilibri in cui si impara qualcosa di nuovo ogni volta, perché si viene stimolati, a volte forzati, a non accontentarsi mai della prima intuizione.
Luigi Pulcini studia Composizione presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma e Ingegneria Informatica presso l’Università Politecnica delle Marche, dove discute una tesi dal titolo “L’Orchestra Virtuale” sulle nuove tecniche di programmazione MIDI e campionamento digitale destinate all’orchestrazione virtuale.
Negli ultimi dieci anni si rivolge con particolare attenzione al mondo della musica per immagini e la sua formazione culmina con il corso di “Film Scoring” presso il Berklee College of Music di Boston e le Masterclass “Fotogrammi e Pentagrammi” tenute dal Maestro Nicola Piovani presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, in occasione delle quali Piovani riconosce con entusiasmo la grande cura e professionalità dei suoi lavori.
Nel 2008 si trasferisce a Los Angeles dove stabilisce la sua carriera come compositore di musica per film. È qui che incontra Christopher Young, con il quale inizia una collaborazione che dura ancora oggi. Per Young, Luigi lavora a film come Love Happens (Qualcosa di speciale, 2009), Drag me to Hell (Id. , 2009), Priest (Id. , 2011). Sempre a Los Angeles Pulcini ha la possibilità di collaborare con Alf Clausen, Paul Haslinger, Andrea Morricone, Nuno Malo ed entrare in contatto con James Newton Howard e Harry Gregson-Williams.
Nel 2010, la prestigiosa “Society of Composers and Lyricists” di Hollywood lo seleziona tra gli otto compositori che partecipano quell’anno all’“SCL Mentor Program”.
Nel Novembre del 2012, la sua colonna musicale per il film The Investigator (inedito in Italia) viene premiata nel corso dei Global Music Award.
Luigi attualmente vive e lavora a Los Angeles, dove ha fondato Film Scoring Lab, una società di produzione musicale, gestita con i due soci e colleghi Saverio Rapezzi e Fabrizio Mancinelli.
Maggiori informazioni su:
http://www.luigipulcini.com/
Colonne Sonore: Quando nasce Luigi Pulcini musicista e compositore?
Luigi Pulcini: La mia passione musicale si perde nella mia memoria. Fin da quando, piccolissimo, dirigevo le sinfonie di Beethoven insieme a Karl Böhm e i Berliner Philarmoniker con il ferro da maglia di mia madre. A sette anni, le mie insistenti capacità di persuasione costrinsero i miei ad affittare un pianoforte, forse nella convinzione - poi delusa – di un capriccio passeggero. L’incontro con la composizione è nato da un bisogno, una pulsione, più che una scoperta. Mi ritengo una persona creativa, non solo nell’arte. Anche da Ingegnere Informatico il mio istinto di sperimentare, di “creare” è stato da sempre la componente che mi ha spinto a non limitarmi mai a ciò che trovavo fatto da altri, ma a cercare le mie strade.
Così, una volta che i miei studi ingegneristici stavano per volgere al termine, decisi di portare a compimento anche la mia formazione musicale, studiando nel Conservatorio di Fermo prima e nel Conservatorio Santa Cecilia di Roma poi. Ma gli studi erano assolutamente funzionali a ciò che avevo già in cuore di fare e ringrazio il cielo di aver sempre trovato insegnanti illuminati e disponibili ad assecondare le mie propensioni musicali.
CS: Perchè la decisione di abbandonare l'Italia e trasferirti oltreoceano per seguire l'Ottava Arte?
LP: Ho avuto una recente discussione sull’argomento con una persona che sosteneva che chi lascia il proprio Paese, in fondo, non fa altro che denunciare il proprio fallimento. Io dico che se di fallimento si può parlare questo non è di chi se ne va, ma del Paese che non fa nulla per evitarlo.
Le condizioni professionali in Italia sono sotto gli occhi di tutti, in pressoché tutti i campi. Nel campo artistico, questa situazione diventa tanto più evidente quanto drammatica. Nel dettaglio del mondo cinematografico, si arriva tristemente al “caso disperato”.
E tutto questo nonostante io ci abbia provato fino alla fine, giungendo a investire tutte le mie energie e i miei risparmi in uno studio di produzione musicale che, nel 2006, era dotato delle tecnologie più avanzate in Italia quanto a orchestrazione virtuale, anche grazie a una sperimentazione che era confluita nella mia tesi di laurea in Ingegneria Informatica, dal titolo “L’Orchestra Virtuale”.
Riguardo all’America, al di là delle considerazioni più scontate sull’enormità delle occasioni che riesce a offrire un ambiente produttivo come quello hollywoodiano, quello che ho rilevato fin dal primo momento è la grande capacità di offrire un’opportunità a tutti. Anche a chi è appena arrivato e non ha altro nelle mani se non le proprie competenze. Devo ammettere che, nonostante le grandi aspettative che io avessi, questo Paese è riuscito a stupirmi anche di più per la facilità con cui ti ritrovi nel bel mezzo della produzione di un “major motion picture” soltanto per un passaparola su quello che sai fare. In fondo, la vera chiave di lettura di questo è che in America le tue competenze vengono sempre viste come una risorsa da cui trarre vantaggio, mai come una minaccia da scongiurare.
CS: In cosa consiste il tuo lavoro di Ingegnere del suono per le colonne sonore?
LP: Più che “del suono”, direi “informatico-musicale”, perché queste sono le mie competenze specifiche. Un compositore-ingegnere ha un ruolo fondamentale nella produzione di una colonna sonora, per come si è trasformato il flusso di lavoro negli ultimi anni. A partire dallo spotting della musica sulle scene fino al missaggio finale, oggigiorno ogni fase si serve di soluzioni tecnologiche che aiutano a gestire ogni aspetto produttivo. Un compositore puro molto spesso annaspa tra problematiche tecniche che lo distolgono dagli aspetti musicali. Un ingegnere puro si trova a volte di fronte a questioni musicali che non sa bene come affrontare. Una figura mista ha l’indubbio vantaggio di poter gestire un più largo spettro di situazioni con maggior consapevolezza.
Nello specifico, il ruolo in cui mi adopero più spesso è quello di programmatore MIDI. In ogni film c’è sempre bisogno di creare un mockup orchestrale, cioè un bozzetto sonoro ultrarealistico che permetta di ascoltare il risultato sonoro prima di registrarlo con l’orchestra dal vivo. Questo mockup, nei film che dispongano di un budget per la registrazione orchestrale, serve da un lato ad aiutare il regista o il produttore a capire come una certa musica scritta su carta funzioni su una data sequenza, dall’altro a predisporre i materiali sonori che non verranno registrati con l’orchestra, ad esempio loop percussivi, suoni sintetici o anche suoni orchestrali che si intende comunque sovrapporre all’orchestra dal vivo per aumentarne il corpo sonoro o per ottenere altri effetti (ad esempio, ritmi complessi o esecuzioni organologicamente impossibili).
In questa fase il programmatore MIDI si occupa spesso anche della conformazione della tempo map, cioè della sincronizzazione della musica alle immagini, per far sì che una data battuta musicale arrivi al tempo desiderato della sequenza. Il compositore ha già in mente i punti precisi in cui la musica deve “colpire” un determinato evento, ma il programmatore si occupa di aggiustare i tempi musicali in modo che questa sincronizzazione sia accurata al fotogramma.
Una volta che la colonna sonora viene completamente approvata dal committente, mentre orchestratori e copisti pensano a espandere le partiture e a preparare le parti per la registrazione con l’orchestra, noi programmatori – solitamente di concerto con il music editor – ci occupiamo di prepare le sessioni di registrazione, includendo clic e materiali preregistrati sopra i quali l’orchestra sarà chiamata a registrare.
Si tratta di un lavoro estremamente delicato, soprattutto se si pensa alla mole di lavoro necessaria a gestire quaranta, cinquanta cue con un organico di 80 elementi. Senza contare che i tempi di lavorazione sono spesso follemente accelerati.
CS: Raccontaci alcuni aneddoti sulle tue collaborazioni con nomi noti del panorama cine-musicale, quali Christopher Young, Alf Clausen, Nuno Malo e Paul Haslinger?
LP: Il rapporto di collaborazione più stabile è certamente quello con Christopher Young, che è anche il compositore che per primo mi ha accolto quando sono sbarcato qui a Los Angeles. Raccontare aneddoti che lo riguardano sarebbe impossibile. È un compositore estroso, forse un po’ eccentrico, ma certamente geniale. Mi dispiace solo che alcuni suoi lavori non siano stati valorizzati e promossi al grande pubblico come avrebbero meritato. Ho avuto il piacere di collaborare con lui a numerose colonne sonore, tra le quali Drag me to hell, Love happens, Priest. Una delle sue colonne sonore che più amo è Creation di Jon Amiel, il film drammatico sulla vita di Charles Darwin con Paul Bettany e Jennifer Connelly, dove Chris ha mirabilmente creato una colonna musicale che – come le scoperte darwiniane sembrerebbero suggerire – si evolve dal romanticismo di Chopin ai tintinnabuli di Arvo Pärt. Di sicuro una colonna sonora che non ha ricevuto l’esposizione che meritava e che vi consiglio caldamente di ascoltare, se non lo avete già fatto. L’esperienza con Chris è anche un altro buon esempio di quanto rapidamente la carriera di un compositore, qui a Los Angeles, possa evolversi con la giusta dose di competenze, intraprendenza e motivazione. Quando sono entrato nel suo team, nel 2008, ero il “runner”, cioè la persona che si occupa di tenere lo studio in ordine, dalla preparazione del caffè alla pulizia ordinaria delle sale. Ma già a poche settimane dal mio arrivo mi era stato dato modo di mettere in mostra le mie qualità e venivo interpellato ogniqualvolta si doveva effettuare una registrazione interna. Ormai mi divido la responsabilità degli studi di registrazione interni con il suo sound egnineer storico.
Con Alf Clausen ho avuto il piacere di collaborare per una internship di tre mesi alla 20th Century Fox. Alf è il compositore storico della serie The Simpsons e affiancarlo al lavoro è stata un’esperienza senza precedenti. Il suo talento è secondo solo alla sua capacità di adattare il materiale musicale alle immagini. Vedere Alf manipolare la musica che ha preparato per adattarla ai cambiamenti dell’ultim’ora che a volte vengono ricevuti quando si è già con i musicisti seduti in sala ti fa capire quale maestria e padronanza ci siano dietro questo compositore riservato e bonaccione. La cosa più impressionante è aver scoperto che da venticinque anni le musiche dei Simpsons vengono registrate ogni venerdi durante tutta la stagione e che nel corso di tutto questo tempo sono stati accumulati oltre 72000 cue, in una library musicale così vasta che risulta più semplice scrivere nuova musica per ogni episodio che fare delle ricerche per trovare quella adatta di volta in volta.
Nuno Malo invece è un giovane compositore che sta ottenendo grandissimi risultati e che posso orgogliosamente considerare uno dei miei migliori amici qui a Los Angeles. Con lui la collaborazione è continua, visto che ci sentiamo quotidianamente e capita spesso di dargli una mano per i suoi film. Il suo talento è impressionante anche in relazione alla sua età e vi consiglio vivamente di tenerlo d’occhio perché ne sentiremo presto parlare molto spesso.
Con Paul Haslinger la collaborazione si è limitata al film I tre moschettieri di Paul Anderson, ma mi piace ricordare questo aneddoto come la dimostrazione più evidente di come funzionano le cose qui a Los Angeles. Un giorno ricevo una sua telefonata: “Ciao Luigi, ho avuto il tuo numero dal mio orchestratore Tim Davies che mi ha suggerito di chiamarti dicendo che sei l’unico che può risolvere un problema che sto avendo con le temp map dei miei progetti in Cubase”. Ecco, questo è ciò che qui chiamano “word of mouth”.
CS: Perchè hai scelto la strada del film scoring?
LP: A livello pratico, io sono un appassionato di tecniche di sincronizzazione, con le quali mi piace sperimentare, soprattutto oggi che la tecnologia rende gli aspetti manuali estremamente sofisticati e offre quindi ampi spazi alla ricerca musicale, anche laddove è richiesta una sonorità più classica e tradizionale, che poi è il linguaggio espressivo in cui mi sento più a mio agio. Quando mesi fa partecipai a uno screening di Les Misèrables a cui era presente anche Claude-Michel Schönberg, autore della musica, fu estremamente intrigante sentir raccontare come le riprese dell’intero film erano state concepite in modo da consentire agli attori di cantare liberamente sul set, accompagnati da un semplice pianoforte nel backstage, che successivamente era stato sostituito dall’orchestra, scritta e registrata in modo che si asservisse alle loro esecuzioni canore. Una situazione del genere sarebbe stata pane per i miei denti, a livello di soluzioni tecnologiche da attuare per ottenere il risultato finale.
In The Investigator – con le dovute proporzioni, chiaramente – mi è capitata una situazione analoga. Il montatore era preoccupato per una scena in cui un personaggio canta a cappella e con voce un po’ traballante la parte finale dell’inno nazionale americano prima di una partita di baseball. È stata una soddisfazione vedere la sua espressione entusiastica quando gli ho mostrato la scena dove la mia musica, da puro underscore, diventa accompagnameto musicale per l’inno, in un intervento musicale che sfocia senza soluzione di continuità nella successiva sequenza di gioco.
Sono queste le tipiche situazioni che mi appassionano nel mio lavoro di film scoring.
CS: Parlaci della tua prima colonna sonora, The Investigator, un film indipendente scritto da Richard Romano, fratello del popolare attore Ray Romano - ben noto al pubblico americano e italiano per la fortunata serie Tutti amano Raymond.
LP: Verso la metà del 2010 venni contattato da Nicole Abisinio, una produttrice della Florida che aveva ricevuto il mio nome da un collega di Los Angeles. A pochi giorni di distanza dall’uscita del film che stava producendo in quel momento, si trovava in difficoltà per un paio di sequenze per le quali erano state utilizzate musiche di cui poi non avevano ottenuto la licenza d’uso. Chiese il mio aiuto, in cambio della promessa di affidarmi il suo prossimo lungometraggio, quandunque lo avesse prodotto. Musicai queste due scene finali e i titoli di coda del film e fui sommerso di gratitudine e di apprezzamenti, soprattutto per il clima di disponibile collaborazione che ero riuscito a instaurare.
Verso la fine del 2011 – ammetto con una certa dose di stupore, viste le numerose promesse disattese a cui questo ambiente purtroppo ti abitua – la promessa fatta un anno prima si materializzò in una mail dove Nicole mi annunciava di essere quasi alla fine delle riprese del suo nuovo film, chiedendomi se fossi interessato ad occuparmi stavolta dell’intera colonna sonora. Mi feci mandare subito la sceneggiatura e mi accorsi di quanto articolato fosse il film, soprattutto in relazione al fatto che si tratta di una storia autobiografica su alcuni eventi che hanno segnato la vita di Richard Romano, l’autore della sceneggiatura. Raccontato in poche parole, The Investigator racconta la storia di un poliziotto che, in conseguenza a un’operazione di polizia finita con una vittima innocente, viene costretto a dimissioni forzate, fatto che, insieme al recente aborto spontaneo della moglie, fa crollare la sua fede in Dio. La proposta da parte del fratello, un famoso attore di Hollywood (nel film come appunto nella vita reale dell’autore), di un posto come allenatore di baseball e insegnante di Giustizia Criminale in una scuola cattolica offre al protagonista lo spunto per affrontare la sua crisi di fede e redimersi, attraverso una “lezione investigativa” sugli eventi storici che riguardano la figura di Gesù Cristo.
I temi affrontati e gli spunti offerti sono così numerosi che è stato difficile trovare la giusta direzione da dare alla musica. All’inizio la cosa più impegnativa è stata far capire alla produttrice che la mia visione musicale poteva offrire una chiave di lettura più distaccata rispetto alla loro totale immersione nel progetto da oltre un anno. C’era la tendenza a sottovalutare le mie scelte come se non fossi abbastanza dentro alla storia per poter capire sfumature di cui loro avevano probabilmente discusso fino alla noia.
Alla fine lo score – prodotto esclusivamente facendo uso della mia strumentazione virtuale per esigenze di budget – mi rappresenta in massima parte, anche se sono stato costretto a fare delle scelte che non mi convincevano o alle quali, in almeno un paio di situazioni, ho cercato inutilmente di oppormi con tutte le forze. Ma anche questo fa parte della formazione che si acquisisce sul campo quando si deve interagire in un gruppo di lavoro.
CS: Hai fondato da poco tempo la società di produzione musicale Film Scoring Lab. Cos'è?
LP: Film Scoring Lab è una società che offre servizi di produzione musicale destinati all’industria cinematografica e che ho formato qui a Los Angeles insieme con altri due colleghi italiani, Fabrizio Mancinelli e Saverio Rapezzi, entrambi attivi e impegnati come me nel panorama musicale cinematografico, sia in Italia, sia qui negli USA.
Inizialmente la collaborazione tra noi tre era su base progettuale. Ognuno era impegnato in vario modo in progetti propri e in collaborazioni con altri compositori. Abbiamo cercato di mettere insieme le competenze di tutti per ottimizzare meglio tempi ed energie durante la lavorazione di un progetto. L’idea di Film Scoring Lab prende spunto dalla collaborazione, più che dalla competizione. Personalmente sono convinto che la musica, anche la sola musica per film, sia un campo troppo vasto per pensare di poterla affrontarla in solitaria. Durante la lavorazione di una colonna sonora, le problematiche da affrontare sono così numerose e così varie che l’approccio da “one man band” produce risultati decisamente inferiori, in termini qualitativi. Proprio per questo motivo Film Scoring Lab vuole diventare anche il punto di incontro tra professionisti che condividano con noi la passione per la musica per film.
Da questa missione nasce anche il sogno ambizioso di diventare un punto di riferimento per quanti vogliano cimentarsi in un’esperienza qui a Los Angeles, ma non sanno bene da che parte cominciare. Nel corso degli ultimi anni, anche solo a livello personale, non saprei contare il numero di musicisti e compositori che mi hanno contattato per chiedere consigli, anche sugli aspetti più pratici di una scelta del genere, e che nel mio piccolo ho cercato di aiutare a inserirsi da queste parti.
Chiaramente siamo ancora agli inizi, ma l’esperienza che stiamo facendo sul campo ci incoraggia a credere che siamo sulla buona strada.
CS: In che modo un giovane compositore italiano potrebbe intraprendere la via delle colonne sonore oltreoceano?
LP: Innanzitutto, senza pensare che sia mai troppo tardi per farlo. Io ho preso la decisione di trasferirmi a trentacinque anni e senza avere un contatto concreto. Qualcuno mi ha definito coraggioso. Forse e più semplicemente, sono stato un po’ incosciente. Ma dopo cinque anni, molti sono gli indizi che mi portano a pensare che sono sulla buona strada e che alla fine la mia incoscienza sta ricevendo un gradito quanto inaspettato riconoscimento.
La difficoltà più evidente per chi volge lo sguardo a quest’altra sponda dell’oceano è certamente di carattere burocratico. Nonostante quello americano sia un popolo caratterizzato da grande pragmatismo e la semplicità della burocrazia interna lascia spesso sbalorditi – soprattutto partendo dall’esperienza con quella italiana –, bisogna considerare che le leggi sull’immigrazione americane sono tra le più stringenti e severe al mondo. Chi si trasferisce qui è un visitatore fino a prova contraria e, in quanto tale, non ha una posizione fiscale che gli consente di pagare le tasse, quindi di percepire compensi, quindi, a catena, di lavorare. E ottenere un visto di lavoro prevede una procedura che può risultare lunga e disarmante anche per l’ottimista più incrollabile.
Di certo, il mio consiglio in questo mondo globalizzato è quello di esporre se stessi e il proprio lavoro contattando quanti più professionisti possibili si pensa possano essere interessati a ciò che si sa fare. Non bisogna sottovalutare il potere di una mail. Ma, d’altra parte, non si può trascurare l’importanza di essere fisicamente presenti. Ecco perché io consiglio a tutti di investire sul proprio futuro e programmare un’esperienza da queste parti, un periodo di valutazione di almeno uno o due mesi, per capire innanzitutto se questo ambiente offre ciò che si desidera avere e, in seconda battuta, se si hanno le carte in regola per pensare a una seconda più impegnativa mossa.
Un aspetto da non sottovalutare – e un altro consiglio che offro a tutti quelli che chiedono il mio parere – è quello di misurarsi con le altre realtà europee dove il livello e il numero delle produzioni è confrontabile con quello losangelino o dove, quantomeno, le modalità operative ricalcano le stesse utilizzate qui in America. Il primo esempio che mi viene in mente è Londra che offre una serie di evidenti vantaggi. Il più immediato è economico e geografico: volare a Londra è diventato ormai meno costoso e più veloce di spostarsi in treno da Roma a Milano. Ma il fattore più determinante che molto spesso non viene considerato è che un italiano che si trasferisce a Londra, essendo cittadino europeo, è autorizzato a lavorare il minuto stesso che mette piede sul suolo inglese. Il che non è propriamente da sottovalutare, se si pensa che in America si può impiegare mesi, a volte anni per sentirsi totalmente al sicuro da queste problematiche. Per dare un’idea, io ho deciso di trasferirmi nel 2008, ma solo nel 2013 ho ottenuto la residenza permanente. Sottovalutare questo aspetto significa esporsi al rischio di fallire nei propri intenti non per mancanza di competenze, ma per assenza di un piano programmato e realistico.
CS: Cosa significa per te "Musica per Immagini"?
LP: Da sempre il mio interesse per la musica si è concentrato sugli aspetti funzionali: che si tratti di una composizione liturgica o una musica di scena, di una colonna musicale o un ambiente sonoro, per me la musica è inscindibile da ciò che la ispira e con la quale viene messa in relazione, fino a diventarne parte integrante. Particolarmente, nel caso di una colonna sonora, la musica riveste il ruolo di narratrice invisibile, comunicando ciò che le parole non riescono a esprimere, a volte rassicurando lo spettatore, altre volte straniandolo da ciò che sta guardando. Poche altre forme d’arte riescono a creare con la stessa intensità questa connessione magica e quasi viscerale tra ciò che lo spettatore percepisce a livello sensoriale e quello che egli sente sul piano emotivo, fin nel profondo.
Concepire la musica per un film, insomma, rappresenta una sfida in cui si è chiamati a cimentarsi entro i vincoli che una produzione cinematografica impone, sia a livello filmico, sia a livello artistico e umano. Nella composizione di musica per film si fissano dei paletti di vario genere, stilistici, temporali, dinamici, espressivi, e in base a questi si è chiamati a incanalare il proprio flusso emotivo e a concretizzarlo in una musica che accresca il valore di ogni sequenza, senza diventare puro commento, ma anche evitando di prendere il sopravvento sulle immagini. Vedere questi limiti, queste restrizioni, questo recinto in cui si è chiamati a trovare la propria visione, vedere tutto questo come una ricchezza è, secondo me, ciò che veramente distingue un compositore da un compositore di musica per immagini.
Inoltre il gioco di relazioni personali che si instaura è un’esperienza istruttiva e unica ogni volta. Capire le esigenze del regista o del produttore, mostrandosi disponibile ad accogliere la loro visione, ma senza negarsi il diritto di esprimere la propria. È un gioco di equilibri in cui si impara qualcosa di nuovo ogni volta, perché si viene stimolati, a volte forzati, a non accontentarsi mai della prima intuizione.