22 Apr2014
Lo ammazzò come un cane… Ma lui rideva ancora
Daniele Patucchi
Lo ammazzò come un cane… Ma lui rideva ancora (1972)
GDM Music ”The Hillside Series” CD 4172
16 brani (15 di commento + 1 canzone) – durata: 47’ 04’’
Scombinato esempio di western «de noantri», girato con due lire nella campagna laziale e basato sul consueto cliché della vendetta, Lo ammazzò come un cane… Ma lui rideva ancora, pur non distinguendosi dalla miriade di film dello stesso periodo grondanti di violenza e rudezze di ogni tipo, ha la particolarità di avere come centro morale della vicenda – e dunque non solo come vittima – la coprotagonista femminile: un caso raro nell’universo dello spaghetti western dove di solito le donne hanno un ruolo marginale ed accessorio.
Il commento musicale di Daniele Patucchi, di discreto interesse, individua come schema di riferimento l’alternanza tra due diversi registri. Il primo è riversato nel tema principale “Seq. 1 – Titoli”: un bell’arpeggio di chitarra acustica evolve in una performance orchestrale dal sapore nostalgico-romantico un po’ in antitesi con l’aura cupa e malsana gravante sull’intera vicenda. Le altre versioni, perlopiù intese come complemento alle lunghe e fin troppo frequenti scene di cavalcate, assumono un tono più ruvido per l’abbondante impiego dei suoni distorti della chitarra elettrica. Ritornano però, benché lievemente rivisitate, altre variazioni che sviluppano il discorso in chiave soffusa, a metà tra languore e malinconia: in “Seq. 4” con dei vocalizzi femminili, nelle rallentate “Seq. 11” e “Seq. 13” con l’impiego di flauto e chitarra su base orchestrale, in “A man is made of love” con la voce di Ann Collin, nota al pubblico degli appassionati per aver cantato anche “His name was King”, un motivo concepito da Luis Bacalov per Lo chiamavano King… (1971) e recentemente selezionato da Quentin Tarantino per il suo Django Unchained (2012). Più ricca di inventiva la seconda parte sperimentale con le sue atmosfere tensive talmente grevi e dark da poter funzionare egregiamente anche in un thriller: oltre alle dissonanze, ci sono improvvisi accordi sgranati di chitarra acustica, bassi ossessivi ed effetti elettronici tesi a riprodurre, dilatandoli, rumori ancestrali e versi animaleschi (tra le altre vedi “Seq. 4”). Qualche rintocco di campana serve a conferire solennità ad alcune scene, ad esempio quella della sepoltura (“Seq. 14”). Infine il costante impiego del flauto ha una precisa funzione allusiva al cattivo, chiamato «Piffero» perché spesso intento a eseguire lo stesso motivetto con un minuscolo strumento in legno (da qui il titolo per il mercato anglosassone).
Daniele Patucchi, al pari di tutti gli autori di formazione jazzistica (Piero Piccioni in testa), appare impegnato in questa partitura – come del resto nelle altre quattro da lui scritte per il western tricolore - a mischiare un po’ le carte del genere evitando di cedere automaticamente alle lusinghe dell’ortodossia morriconiana, ma senza prenderne completamente le distanze.
Lo ammazzò come un cane… Ma lui rideva ancora (1972)
GDM Music ”The Hillside Series” CD 4172
16 brani (15 di commento + 1 canzone) – durata: 47’ 04’’
Scombinato esempio di western «de noantri», girato con due lire nella campagna laziale e basato sul consueto cliché della vendetta, Lo ammazzò come un cane… Ma lui rideva ancora, pur non distinguendosi dalla miriade di film dello stesso periodo grondanti di violenza e rudezze di ogni tipo, ha la particolarità di avere come centro morale della vicenda – e dunque non solo come vittima – la coprotagonista femminile: un caso raro nell’universo dello spaghetti western dove di solito le donne hanno un ruolo marginale ed accessorio.
Il commento musicale di Daniele Patucchi, di discreto interesse, individua come schema di riferimento l’alternanza tra due diversi registri. Il primo è riversato nel tema principale “Seq. 1 – Titoli”: un bell’arpeggio di chitarra acustica evolve in una performance orchestrale dal sapore nostalgico-romantico un po’ in antitesi con l’aura cupa e malsana gravante sull’intera vicenda. Le altre versioni, perlopiù intese come complemento alle lunghe e fin troppo frequenti scene di cavalcate, assumono un tono più ruvido per l’abbondante impiego dei suoni distorti della chitarra elettrica. Ritornano però, benché lievemente rivisitate, altre variazioni che sviluppano il discorso in chiave soffusa, a metà tra languore e malinconia: in “Seq. 4” con dei vocalizzi femminili, nelle rallentate “Seq. 11” e “Seq. 13” con l’impiego di flauto e chitarra su base orchestrale, in “A man is made of love” con la voce di Ann Collin, nota al pubblico degli appassionati per aver cantato anche “His name was King”, un motivo concepito da Luis Bacalov per Lo chiamavano King… (1971) e recentemente selezionato da Quentin Tarantino per il suo Django Unchained (2012). Più ricca di inventiva la seconda parte sperimentale con le sue atmosfere tensive talmente grevi e dark da poter funzionare egregiamente anche in un thriller: oltre alle dissonanze, ci sono improvvisi accordi sgranati di chitarra acustica, bassi ossessivi ed effetti elettronici tesi a riprodurre, dilatandoli, rumori ancestrali e versi animaleschi (tra le altre vedi “Seq. 4”). Qualche rintocco di campana serve a conferire solennità ad alcune scene, ad esempio quella della sepoltura (“Seq. 14”). Infine il costante impiego del flauto ha una precisa funzione allusiva al cattivo, chiamato «Piffero» perché spesso intento a eseguire lo stesso motivetto con un minuscolo strumento in legno (da qui il titolo per il mercato anglosassone).
Daniele Patucchi, al pari di tutti gli autori di formazione jazzistica (Piero Piccioni in testa), appare impegnato in questa partitura – come del resto nelle altre quattro da lui scritte per il western tricolore - a mischiare un po’ le carte del genere evitando di cedere automaticamente alle lusinghe dell’ortodossia morriconiana, ma senza prenderne completamente le distanze.